Ci sono nella Bibbia espressioni e immagini che si possono cogliere appieno soltanto immergendosi nella geografia delle terre, dei mari e dei monti delle regioni in cui è nato il testo. Se dal mare o da qualunque luogo dei territori corrispondenti agli attuali Siria e Israele si guarda verso il Libano, ciò che lascia un’impressione profonda sono le imponenti catene montuose, con cime che, superando i 3.000 metri, si stagliano contro il cielo. Per i popoli delle regioni circostanti, abituati a climi torridi e a piane spesso desertiche, la visione di questi monti ha sempre suscitato timore e riverenza. Molti racconti ugaritici e mesopotamici fanno così delle cime libanesi dell’Ermon luoghi mitici e popolati da divinità. Data la loro altezza, esse sono spesso ricoperte di ghiacci e nevi, e questo fatto è all’origine del nome della regione. Laban nelle lingue semitiche è radice che significa “bianco” (oggi in arabo indica ad esempio il latte) e da qui il nome Libano. Oggi tali montagne appaiono brulle e rocciose, ma nell’antichità tutta la catena montuosa libanese era di un colore verde vivace dato dalle sterminate foreste di cedri che la ricoprivano. Certi panorami alpini possono soltanto essere un’ombra delle decine di chilometri di foreste ininterrotte che ricoprivano queste montagne, bianche per sei mesi l’anno e verde smeraldo per i restanti sei. Il cedro è una conifera, albero imponente che può raggiungere 2,5 metri di diametro per 40 di altezza. Essendo l’unica riserva di legno nell’immenso territorio che va dalle regioni dei grandi fiumi mesopotamici all’Egitto, gli oltre tre millenni di sfruttamento del legno per la costruzione di navi, abitazioni ed edifici religiosi da parte di egiziani, amorrei, fenici, cananei, israeliti, babilonesi, assiri, persiani, greci e romani hanno progressivamente ridotto il numero di questi alberi, tanto che, nel 118 d.C., l’imperatore Adriano, per tutelarli, emanò quello che può essere considerato uno dei primi decreti di protezione ambientale della storia. Oggi le poche centinaia di alberi rimasti sulle catene montuose libanesi sono concentrate in alcuni parchi naturalistici sotto la tutela dell’UNESCO. Queste imponenti conifere hanno rappresentato per i popoli biblici un simbolo di potenza e di ricchezza, di maestà e di imponenza. E con queste categorie ci confronteremo in questo contributo.
La bellezza dei cedri del Libano
Spesso nella Bibbia l’immaginario che evoca i cedri del Libano fa riferimento alla loro bellezza, al loro profumo, alla loro maestà. Il profeta Osea (i cui scritti risalgono all’VIII sec. a.C.) paragona il perdono di Dio di fronte alla conversione di Israele alla rugiada che rende verde e rigogliosa la pianticella che rappresenta il popolo, fino a farla diventare come un cedro del Libano.
Osea 14, 5-8
5Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente, poiché la mia ira si è allontanata da loro. 6Sarò come rugiada per Israele; fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano, 7si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell’olivo e la fragranza del Libano. 8Ritorneranno a sedersi alla mia ombra, faranno rivivere il grano, fioriranno come le vigne, saranno famosi come il vino del Libano.
In questo testo si coglie come guardare al Libano, ai suoi monti e ai suoi alberi imponenti, fosse per i popoli cananaici un riferimento positivo anche in termini esistenziali: in molti brani poetici il cedro del Libano è usato come archetipo di ricchezza e benessere: Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano; piantati nella casa del Signore, fioriranno negli atri del nostro Dio. Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi e rigogliosi (Salmi 92, 13-15); Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele! Si estendono come vallate, come giardini lungo un fiume, come aloe, che il Signore ha piantato, come cedri lungo le acque. Fluiranno acque dalle sue secchie e il suo seme come acque copiose (Numeri 24, 5-7). Addirittura, viene solennemente detto che la Gerusalemme del tempo di Salomone è così ricca che il cedro è un legno comune: Il re fece sì che a Gerusalemme l’argento abbondasse come le pietre e rese il legname di cedro tanto comune quanto i sicomori che crescono nella Sefela (1Re 10, 27, ripetuto in 2Cronache 1, 15 e 9, 27). Dalla descrizione naturalistica si passa poi al simbolo, dato che l’immagine è frequente nel Cantico dei Cantici per descrivere la bellezza del fidanzato amato: il suo aspetto è quello del Libano, magnifico come i cedri (5, 15; cfr anche 4, 11.15 e 7, 5). Infine si usa l’immagine del cedro per descrivere persino la personificazione della sapienza divina: Sono cresciuta come un cedro sul Libano, come un cipresso sui monti dell’Ermon (Siracide 24, 13).
L’orgoglio e la caduta
Si comprende anche intuitivamente come il contrappasso della bellezza, della ricchezza e della potenza sia l’orgoglio che ne può derivare. Forse la parabola più evocativa al riguardo è il testo di Ezechiele 31 (testo alla pagina seguente). In questo splendido testo, che andrebbe letto nella sua interezza, si narra la vicenda di un cedro meraviglioso che non riconosce in Dio la fonte della propria bellezza e prosperità: l’orgoglio lo spinge al delirio di onnipotenza che si infrangerà contro gente rozza, armata solo di un’ascia. Il cedro imponente è caduto e la distruzione diventa la sua sorte. Fin dall’inizio della narrazione parabolica, questo cedro è la personificazione di un popolo nemico di Israele, che due secoli prima di Ezechiele aveva provocato la distruzione del regno di Israele e la deportazione del suo popolo. Si tratta del popolo assiro che ha dominato tutto il Medio Oriente, fino all’Egitto dal IX al VII secolo a.C.. La sua distruzione in seguito all’ascesa dei babilonesi è quindi vista come la conseguenza del suo orgoglio.
Ezechiele 31
2 Figlio dell’uomo, di’ al faraone, re d’Egitto, e alla sua gente: A chi credi di essere simile nella tua grandezza? 3Ecco, l’Assiria era un cedro del Libano, bello di rami e folto di fronde, alto di tronco; fra le nubi era la sua cima. 4Le acque lo avevano nutrito, l’abisso lo aveva fatto innalzare, inviando i suoi fiumi attorno al suolo dov’era piantato e mandando i suoi ruscelli anche a tutti gli alberi dei campi. 5 Per questo aveva superato in altezza tutti gli alberi dei campi: durante la sua crescita i suoi rami si erano moltiplicati, le sue fronde si erano distese per l’abbondanza delle acque. 6Fra i suoi rami fecero il nido tutti gli uccelli del cielo, sotto le sue fronde partorirono tutte le bestie selvatiche, alla sua ombra sedettero tutte le grandi nazioni. 7Era bello nella sua altezza e nell’ampiezza dei suoi rami, poiché la sua radice era presso grandi acque. […] 10Perciò dice il Signore Dio: Poiché si era elevato in altezza e aveva messo la cima fra le nubi e il suo cuore si era inorgoglito per la sua grandezza, 11io lo diedi in balìa di un principe di nazioni; lo rigettai a causa della sua empietà. 12Nazioni straniere, fra le più barbare, lo tagliarono e lo gettarono sui monti. Per ogni valle caddero i suoi rami e su ogni pendice della terra furono spezzate le sue fronde. Tutti i popoli del paese si allontanarono dalla sua ombra e lo abbandonarono. 13Sui suoi resti si posano tutti gli uccelli del cielo e fra i suoi rami ogni bestia selvatica, 14perché ogni albero irrigato dalle acque non si esalti nella sua altezza fino a elevare la cima fra le nubi; ogni albero che beve le acque non confidi in sé per la propria grandezza, poiché tutti sono destinati alla morte, alla regione sotterranea, in mezzo ai figli dell’uomo, fra coloro che scendono nella fossa.
Il profeta postesilico Ezechiele propone cioè una lettura parabolica delle vicende internazionali dei tre secoli precedenti. Non guarda solo a Israele e Giuda. Non si ferma unicamente a una visione particolaristica del rapporto tra un popolo e il suo dio. Piuttosto, vede tutti i popoli sotto la tutela del Dio di Israele e auspica implicitamente che il buon uso del potere da parte dei popoli e in particolar modo da parte delle superpotenze del tempo (prime fra tutte Egitto e Babilonia), possa giovare al benessere e alla prosperità di tutti, specialmente dei popoli vassalli o ormai sconfitti dalla storia e in diaspora, come gli ebrei. Questa visione universalistica, caratteristica di molti testi biblici scritti dopo la distruzione di Gerusalemme e l’esilio in Babilonia, non deve apparire così strana. Il popolo di Israele, infatti, non ha più una terra, non ha più alcuna autonomia e non dispone più di potere politico. Questo spinge la riflessione degli autori biblici a riconsiderare la figura stessa dei popoli “altri”, che da nemici da conquistare e combattere (quando Israele era uno Stato forte ed esteso), e poi da cui difendersi (quando lo Stato era piccolo e assediato), diventano ora la “nuova casa” in cui abitare. Il Nuovo Testamento propone espressioni simili per la piccolissima comunità cristiana che vive in mezzo alle enormi e popolose città ellenistiche: Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono attireranno su di sé la condanna (Romani 13, 1-2). Oppure: Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità (1Timoteo 2, 1-4). Certamente la tonalità con cui i profeti postesilici veicolano questo messaggio non è così irenica e pacifica, ma lo fanno con invettive aspre che invitano i governanti di queste nazioni “straniere” – ma chi di loro avrebbe mai potuto ascoltare oscuri profeti di un piccolo gruppo di esiliati? – a non chiudersi nel loro orgoglio per aprirsi al Dio di Israele e, quindi, al messaggio del suo popolo. Si pensi a testi come Ezechiele 28, 2.6-7: Figlio dell’uomo, parla al principe di Tiro: Così dice il Signore Dio: Poiché il tuo cuore si è insuperbito e hai detto: “Io sono un dio, siedo su un trono divino in mezzo ai mari”, mentre tu sei un uomo e non un dio, hai reso il tuo cuore come quello di Dio. Perciò così dice il Signore Dio: Poiché hai reso il tuo cuore come quello di Dio, ecco, io manderò contro di te i più feroci popoli stranieri; snuderanno le spade contro la tua bella saggezza, profaneranno il tuo splendore. Ti precipiteranno nella fossa e morirai della morte degli uccisi in mare. Allo stesso modo, numerose altre invettive sulle nazioni evocano la grandezza e la bellezza del cedro – albero “straniero” per Israele –, ma anche la sua fragilità, visto che rischia sempre di essere tagliato, distrutto, bruciato (cfr ad esempio Naum 1, 2-8; Zaccaria 11, 1-3).
Entrare in competizione con il cedro
Il profeta Geremia utilizza lo stesso simbolo non soltanto nei confronti delle nazioni straniere, ma anche nei confronti del regno di Giuda e dei suoi regnanti.
Geremia 22
11 Poiché dice il Signore riguardo a Sallum, figlio di Giosia, re di Giuda, che regna al posto di Giosia, suo padre: «Chi esce da questo luogo non vi farà più ritorno,12ma morirà nel luogo dove lo condurranno prigioniero e non rivedrà più questa terra»13Guai a chi costruisce la sua casa senza giustizia e i suoi piani superiori senza equità, fa lavorare il prossimo per niente, senza dargli il salario, 14e dice: «Mi costruirò una casa grande con vasti saloni ai piani superiori», e vi apre finestre e la riveste di tavolati di cedro e la dipinge di rosso. 15Pensi di essere un re, perché ostenti passione per il cedro? Forse tuo padre non mangiava e beveva? Ma egli praticava il diritto e la giustizia e tutto andava bene, 16tutelava la causa del povero e del misero e tutto andava bene; non è questo che significa conoscermi? Oracolo del Signore. […] 23Tu che dimori sul Libano, che ti sei fatta il nido tra i cedri, come gemerai quando ti coglieranno i dolori, come le doglie di una partoriente!
Uno dei passi più interessanti in questo senso è il cap. 22 dove, al v. 15, viene utilizzata la singolare espressione ebraica (tradotta diversamente nella nostra Bibbia italiana): pensi di essere re perché fai a gara con il cedro? In un momento di crisi economica e politica, il re di Giuda è solo preoccupato di ostentare la sua ricchezza e di mostrare il proprio potere entrando in competizione con coloro che hanno potuto utilizzare abbondantemente il legno dei cedri per abbellire i propri palazzi. Non sono condannati il potere e la ricchezza in quanto tali, ma il venir meno alle responsabilità che da essi derivano. Viene trascurata infatti la giustizia sociale, di cui il leader politico dovrebbe essere garante. Vale quindi a livello individuale quello che altri profeti avevano proposto a livello internazionale. Non sono mai la bellezza, la forza, la maestà del cedro a essere condannate o viste con sospetto. Le invettive profetiche sono dirette piuttosto alla pretesa di rinchiudersi con autosufficienza nel proprio benessere e nei propri privilegi, rifiutando la responsabilità che deriva dall’essere in relazione. I cedri del Libano rappresentano in questo senso il simbolo dell’autoreferenzialità di ogni casta e dei rischi che essa comporta. Vale la pena ricordarlo ancora oggi.