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Mattarella, un arbitro per la partita italiana

Fascicolo: marzo 2015
Il 31 gennaio 2015, con un consenso molto più ampio di quello richiesto e sfiorando la maggioranza qualificata dei due terzi, Sergio Mattarella è stato eletto 12° presidente della Repubblica italiana. Il 3 febbraio alla Camera, dopo il giuramento, di fronte ai grandi elettori, ha tenuto il discorso d’insediamento, interrotto 42 volte da applausi scroscianti e prolungati.
Il neopresidente ha spiegato come intende svolgere il ruolo di garante della Costituzione, ricorrendo all’immagine dell’arbitro sportivo: «All’arbitro – ha detto testualmente – compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere – e sarà – imparziale. I giocatori lo aiutino con la loro correttezza».
Dunque, per conoscere chi è Sergio Mattarella e per comprenderne il messaggio politico, è bene rifarsi all’immagine con la quale egli stesso si è presentato: 1) quale “partita” si gioca oggi in Italia? 2) quali devono essere le “regole del gioco”?; 3) chi veramente è colui al quale è stato affidato il compito di “arbitro”?


La partita

Secondo Mattarella, la vera partita che oggi si gioca in Italia è tra la sfiducia della gente verso le istituzioni democratiche e la politica e la speranza di un futuro migliore
, fondata non solo sulle attese degli italiani, ma anche sulle energie vive di cui il Paese dispone.
Da un lato, la sfiducia dei cittadini è grande. Mattarella la descrive così: «La lunga crisi, prolungatasi oltre ogni limite, ha inferto ferite al tessuto sociale del nostro Paese e ha messo a dura prova la tenuta del suo sistema produttivo. Ha aumentato le ingiustizie. Ha generato nuove povertà. Ha prodotto emarginazione e solitudine. Le angosce si annidano in tante famiglie per le difficoltà che sottraggono il futuro alle ragazze e ai ragazzi. Il lavoro che manca per tanti giovani, specialmente nel Mezzogiorno, la perdita di occupazione, l’esclusione, le difficoltà che si incontrano nel garantire diritti e servizi sociali fondamentali. Sono questi i punti dell’agenda esigente su cui sarà misurata la vicinanza delle istituzioni al popolo».
D’altro lato, è viva la speranza alimentata sia dalle attese della gente, sia dalle notevoli energie disponibili, che anelano a esprimersi compiutamente e attendono solo di averne la possibilità: «Penso ai giovani che coltivano i propri talenti e che vorrebbero vedere riconosciuto il merito. Penso alle imprese, piccole medie e grandi che, tra rilevanti difficoltà, trovano il coraggio di continuare a innovare e a competere sui mercati internazionali. Penso alla pubblica amministrazione che possiede competenze di valore ma che deve declinare i principi costituzionali, adeguandosi alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e alle sensibilità dei cittadini, che chiedono partecipazione, trasparenza, semplicità degli adempimenti, coerenza nelle decisioni».

Questa, dunque, è la partita che oggi si gioca in Italia: il confronto tra sfiducia e speranza. Di fronte al pericolo reale che la crisi metta in discussione i principi e i valori su cui si fonda il patto sociale sancito dalla Costituzione – afferma Mattarella –, è certamente necessario il consolidamento finanziario, ma da solo non basta; occorre, nello stesso tempo, elaborare una coraggiosa strategia di crescita, anzitutto a livello europeo. Soprattutto, però, per ridare speranza agli italiani, è fondamentale rafforzare l’unità del Paese. Ciò potrà avvenire attraverso la piena valorizzazione della Carta repubblicana: «Sussiste oggi l’esigenza di confermare il patto costituzionale che mantiene unito il Paese e che riconosce a tutti i cittadini i diritti fondamentali e pari dignità sociale e impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza». Per ridare al Paese un orizzonte di speranza occorre ripartire dalla Costituzione.
In essa, infatti, si trovano scritte le “regole del gioco” da osservare per una “buona politica”, necessaria affinché la speranza vinca la sfiducia e i cittadini si riavvicinino alle istituzioni. Su questo punto, Mattarella non ha dubbi: «Condizione primaria per riaccostare gli italiani alle istituzioni è intendere la politica come servizio al bene comune, patrimonio di ognuno e di tutti», attraverso la partecipazione responsabile di tutti alla vita pubblica, voluta e garantita dalla nostra Costituzione. Tuttavia, la Carta repubblicana, immutata nei principi fondamentali, va interpretata e adeguata nelle sue regole, poiché «la democrazia non è una conquista definitiva ma va inverata continuamente, individuando le formule più adeguate al mutamento dei tempi».

Per questo, il nuovo Presidente approva e incoraggia la strada intrapresa dal Governo Renzi: «È significativo che il mio giuramento sia avvenuto mentre sta per completarsi il percorso di un’ampia e incisiva riforma della seconda parte della Costituzione. Senza entrare nel merito delle singole soluzioni, che competono al Parlamento nella sua sovranità, desidero esprimere l’auspicio che questo percorso sia portato a compimento con l’obiettivo di rendere più adeguata la nostra democrazia. Riformare la Costituzione per rafforzare il processo democratico».


Le regole del gioco

A questo punto, diviene centrale la parte del discorso di Mattarella sulle “regole del gioco”, quella che meglio ne rivela la cultura politica. In pratica, il Presidente si rifà fedelmente agli articoli della Costituzione e ne trae le regole del gioco, applicandole ai problemi della vita quotidiana dei cittadini italiani. Lo fa nella sua nuova veste di garante della Costituzione, persuaso che «la garanzia più forte della nostra Costituzione consiste nella sua applicazione. Nel viverla giorno per giorno».

Enumera, perciò, facendone un elenco quasi puntiglioso, i problemi sui quali oggi è urgente intervenire applicando fedelmente le norme costituzionali: il diritto allo studio e quello al lavoro; la necessità di promuovere la cultura; la tutela dei tesori ambientali e artistici; il ripudio della guerra e la promozione della pace; i diritti dei malati; il dovere di concorrere lealmente alle spese della comunità nazionale; la necessità di una giustizia certa e rapida; la tutela dei diritti della donna e l’attenzione ai disabili; il sostegno alla famiglia; la difesa dell’autonomia e del pluralismo dell’informazione; la memoria della Resistenza; la libertà come sviluppo dei diritti civili, non solo di quelli sociali ed economici, ma anche di quelli personali e affettivi. Con forza, poi, Mattarella insiste sul fatto che garantire la Costituzione significa affermare e diffondere un senso forte della legalità. Dedica, perciò, un denso paragrafo alla lotta contro la mafia e la corruzione, che definisce priorità assoluta; spiega quindi: «La corruzione ha raggiunto un livello inaccettabile. Divora risorse che potrebbero essere destinate ai cittadini. Impedisce la corretta esplicazione delle regole del mercato. Favorisce le consorterie e penalizza gli onesti e i capaci. L’attuale pontefice, Francesco, che ringrazio per il messaggio di auguri che ha voluto inviarmi, ha usato parole severe contro i corrotti: “Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini”. È allarmante la diffusione delle mafie, antiche e nuove, anche in aree geografiche storicamente immuni. Un cancro pervasivo, che distrugge speranze, impone gioghi e sopraffazioni, calpesta diritti. […] Nella lotta alle mafie abbiamo avuto molti eroi. Penso, tra gli altri, a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per sconfiggere la mafia occorre una moltitudine di persone oneste, competenti, tenaci. E una dirigenza politica e amministrativa capace di compiere il proprio dovere».

Queste dunque sono le “regole del gioco”, contenute nella Costituzione; tuttavia, in un mondo globalizzato, esistono anche altri gravi problemi da affrontare, che oltrepassano i confini e le competenze nazionali: «a minacce globali servono risposte globali». In particolare, per quanto riguarda il terrorismo internazionale, va condannato chi strumentalizza il proprio credo a fini di dominio, calpestando il diritto fondamentale alla libertà religiosa, evitando, però, il grave errore di considerare il terrorismo fondamentalista come uno scontro tra religioni o civiltà diverse: «La minaccia è molto più profonda e più vasta. L’attacco è ai fondamenti di libertà, di democrazia, di tolleranza e di convivenza». Ecco perché nessuna nazione da sola può combattere un fenomeno così grave, in grado di usare strumenti di comunicazione sofisticati che sfuggono a una dimensione meramente territoriale. La comunità internazionale ha, perciò, il dovere di reagire, unendo insieme tutte le proprie risorse.

Dal canto suo, l’Italia ha trovato nell’Unione Europea il modo di affermare la propria sovranità, nella prospettiva di una vera unione politica che è tempo di rilanciare, senza altri indugi. In quest’ottica, «l’affermazione dei diritti di cittadinanza rappresenta il consolidamento del grande spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia». Lo esigono anche le ingenti masse di profughi, che, fuggendo da fame, guerre, attentati terroristici e persecuzioni politiche, etniche e religiose, giungono da noi; esse costituiscono «un’emergenza umanitaria, grave e dolorosa, che deve vedere l’Unione Europea più attenta, impegnata e solidale». L’Italia ha fatto e sta facendo bene la sua parte, ma il problema supera le sue forze e le sue frontiere.

In sostanza, Mattarella con questo discorso d’insediamento ha compiuto una rilettura della Costituzione, rimanendo all’interno della cultura riformista liberal-sociale, propria del cattolicesimo democratico, che ha sempre ispirato il suo impegno politico. È in continuità con la cultura politica del popolarismo di don Sturzo, che contribuì in modo determinante, insieme con le altre tradizioni democratiche, alla stesura della Carta repubblicana. Si può dire che Mattarella, entrato in politica all’inizio degli anni ’80 dopo l’assassinio del fratello Piersanti da parte della mafia, ha seguito e accompagnato la progressiva evoluzione della cultura cattolico-democratica, nelle successive versioni storiche attraverso cui è passata: dalla DC al Partito popolare, alla Margherita, all’Ulivo, fino al PD.

Nel 2008, con la fine della legislatura, Mattarella lascia la politica attiva, ma continua il suo impegno sul territorio, a livello amministrativo, sociale e culturale. È un periodo durante il quale, attraverso convegni e dibattiti, si preoccupa di mantenere accesa sotto la cenere la cultura politica cattolico-democratica che, grazie alla sua elezione alla presidenza della Repubblica, è riemersa viva e attuale. Cosicché oggi molti si chiedono se con Renzi a Palazzo Chigi e con Mattarella sul Colle stia per avverarsi davvero il sogno di intere generazioni di cittadini «liberi e forti», il sogno di Sturzo e De Gasperi, di Dossetti e Lazzati, di Zaccagnini, Martinazzoli e Moro (cfr SORGE B., «Renzi, il PD e l’Italia: alle radici di un progetto», in Aggiornamenti Sociali, 2 [2015] 116-124). È appena il caso di notare come sia del tutto privo di senso parlare di ritorno della DC o definire Mattarella e Renzi democristiani, come alcuni hanno scritto con superficialità. Infatti, il discorso riguarda la cultura politica del cattolicesimo democratico, non le forme storiche in cui essa si è espressa. In particolare, la DC è finita per sempre, né può rinascere, dopo che con la caduta del Muro di Berlino si è definitivamente conclusa la lunga stagione delle ideologie del ’900.


L’arbitro

A questo punto, è necessario dire una parola sulla personalità stessa dell’arbitro che oggi siede sul Colle. Riservato e schivo, molti italiani ne avranno certamente sentito il nome per la prima volta il giorno della sua elezione. Invece non è stato così per me, che ho avuto la ventura di incontrarlo frequentemente a Palermo, durante gli undici anni della mia permanenza in quella città, dalla metà degli anni ’80 fino ai primi del ’90. E lo ricordo proprio come un ottimo arbitro, imparziale!

Quando giunsi in Sicilia nel 1985, più che la crudeltà degli omicidi della mafia, mi colpì la rassegnazione della popolazione siciliana, la sua incapacità di indignarsi dinanzi all’arroganza della criminalità organizzata. Non dimenticherò mai la frase che una mano anonima scrisse nel luogo dove fu assassinato il generale Dalla Chiesa: «Oggi qui è stata uccisa la speranza degli onesti». Trovai una Sicilia senza speranza.
Era evidente che nell’Isola la vera partita si giocava non tanto tra le forze dell’ordine e i mafiosi, quanto tra la sfiducia dei siciliani e la loro speranza – troppo flebile – di riscatto e di legalità. In quella partita, non mancarono giocatori corretti e generosi, alcuni anche eroici (come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Pino Puglisi); tuttavia la “Primavera di Palermo” poté aver luogo solo quando la società civile ritrovò, con la speranza, la propria unità e la consapevolezza che uniti si può vincere anche la mafia. Mi fece tanta impressione vedere la lunga catena umana di tre chilometri – uomini e donne, giovani e anziani, benestanti e poveri, autorità e semplici cittadini che si davano la mano – sfilare attraverso il centro di Palermo al grido di «Basta con la mafia!». Purtroppo si trattò solo del primo tempo, giocato bene, di una partita che ancora non è conclusa. Ma qui importa mettere in luce che, in quella prima vittoria della speranza, Mattarella esercitò in modo esemplare il suo ruolo di arbitro. Senza il suo arbitraggio, la “Primavera” non ci sarebbe stata.

Fui testimone dell’ultima telefonata di Mattarella, allora commissario della DC di Palermo, quando nel 1987 sbloccò una situazione che appariva impossibile smuovere. Stava per scadere il tempo per la presentazione delle liste per le imminenti elezioni comunali, e a Roma non ne volevano sapere che a Palermo nascesse quella che poi passò alla storia come la “giunta anomala” di Orlando. Fu Mattarella a strappare il consenso, proprio all’ultimo momento. Con la sua pacatezza e con la forza dei suoi argomenti, senza mai alzare la voce, riuscì a esercitare una moral suasion degna del più esperto arbitro politico. Quella medesima capacità di arbitrare tra sfiducia e speranza, di cui ero stato testimone nella difficile situazione siciliana, l’ho ritrovata nel discorso d’insediamento, con il quale Mattarella è riuscito a ottenere il consenso e l’applauso convinto e pressoché unanime dei grandi elettori, sulla rilettura della Costituzione, fatta in termini di cultura politica cattolico-democratica.

Ecco chi è l’arbitro che oggi siede al Quirinale. Con le sue qualità – non c’è dubbio – egli continuerà a stimolare i giocatori in campo a comportarsi correttamente sia nel confronto sempre duro tra squadre diverse, sia nel costruire insieme l’unità del Paese, grazie al rispetto delle regole comuni, contenute nella nostra Costituzione. Il nuovo Capo dello Stato, dunque, sarà il garante non solo della Costituzione, ma anche dell’unità del Paese e della buona politica.


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