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La “porta stretta” verso il futuro. Pensare insieme dopo il lockdown

Lo choc della pandemia ci spinge a interrogarci sui cambiamenti da apportare all’assetto della società. L’incrocio di prospettive diverse, accomunate dalla preoccupazione per la giustizia, stimola coraggio e immaginazione. È questo il senso di un editoriale a più voci con interventi di:
Maurizio Ambrosini, Mario Cucinella, Silvia Landra, Mariagrazia Midulla e Adriano Patti.
Fascicolo: giugno-luglio 2020

Non c’è dubbio che la pandemia da COVID-19 costituisca uno choc epocale, di quelli che accadono una volta ogni generazione. Sono passaggi della storia, personale e collettiva, in cui la normalità quotidiana – del pensiero come dell’azione – entra in una sorta di sospensione, mentre l’orizzonte si stringe fino a farci dubitare che non ci sia più un futuro. Pian piano poi si comincia a intravedere un insospettato passaggio, magari angusto e tortuoso. Quando l’orizzonte si riapre, l’impressione è di trovarsi in un mondo nuovo, in cui è possibile quello che prima non si riusciva neanche a concepire come tale, ma in cui è sempre in agguato la tentazione della nostalgia e la spinta a provare a tornare indietro senza cambiare niente.

Per cogliere le opportunità inattese e non soccombere al rimpianto serve quindi capacità di visione e di immaginazione, serve uno sforzo personale e collettivo per riconfigurare il modo in cui si pensa e si agisce. E servono il coraggio e la volontà di farlo. Solo in questo modo si riesce ad attraversare gli choc. È così che la Grande depressione del 1929 aprì le porte a una politica economica radicalmente diversa, che siamo abituati a chiamare keynesiana, mentre, pochi anni dopo, il secondo conflitto mondiale diede alla luce il welfare State (il Rapporto Beveridge è del 1942) e il sogno di una casa comune europea libera dalla guerra. Sono queste le basi per lo straordinario periodo di prosperità e progresso (almeno in Occidente) degli anni del boom economico nel secondo dopoguerra.

Intrecci di prospettive

La novità, tanto più se è radicale, la si mette meglio a fuoco insieme, specie in un mondo che durante il lockdown non è certo diventato meno complesso. Del resto, credo che sia esperienza comune di questo tempo quanto incontri e confronti autentici possano aiutare a fare chiarezza o perlomeno a non rimanere chiusi nelle proprie idee. È ciò che è avvenuto anche all’interno della nostra Redazione e soprattutto negli scambi con tante persone che anni di lavoro ci hanno portato a incrociare e con cui si è sviluppata una sintonia.

Questo mi ha suggerito di provare a “rompere gli schemi” abituali della Rivista e trasformare quello che da anni è il posto in cui prende la parola il Direttore in uno spazio che accoglie e intreccia più voci. Nasce così l’idea di questo editoriale “condiviso”, che prova a riprodurre su carta l’incrocio di prospettive diverse sull’unico interrogativo che oggi sta a cuore a tutti, quello che riguarda il nostro futuro. Questa varietà è però tenuta insieme da una opzione di fondo, la stessa che muove la nostra Rivista fin dalla sua origine: uno sguardo che parte dai poveri e dagli esclusi, non per retorica ma per impegno quotidiano e per rispetto della dignità di ogni essere umano, e che mette al centro dell’attenzione le dinamiche che generano inequità e disuguaglianza. Nelle pagine che seguono troveranno spazio le voci di alcuni amici che hanno risposto al nostro invito, ritagliando un po’ di tempo per riflettere e scrivere in una fase che per molti è parecchio concitata. Ringrazio ciascuno di loro per la disponibilità e lo sforzo. Appariranno in ordine alfabetico, perché è necessario disporli in una qualche successione, ma senza alcun disegno strategico. Immaginare la novità richiede di essere liberi da format. Le loro prospettive non esauriscono tutte quelle rilevanti – non basterebbero le pagine –, ma stiamo già lavorando per dare spazio ad altre nei prossimi numeri, riguardanti ad esempio il mondo della scuola, quello dell’accoglienza e del volontariato, le questioni di genere o le prospettive internazionali.

Connessioni trasversali

Ciascuno dei contributi che compongono questo editoriale reca con forza il marchio di chi lo ha steso, della sua competenza e delle specificità del settore in cui opera, ma soprattutto della sua passione e dedizione. Leggendoli insieme emergono pian piano anche consonanze e rimandi reciproci: al di là delle peculiarità di ogni ambito, le domande di fondo che la pandemia suscita sono trasversali. O meglio, ci rendiamo conto di come le questioni settoriali siano tutte incardinate nella logica di funzionamento della società e della cultura, che è la stessa. “Tutto è collegato” – lo ripetiamo spesso – non è una frase a effetto, ma un dato di fatto che un evento inatteso come la pandemia fa balzare agli occhi con evidenza ancora maggiore.

Invito ciascun lettore a scoprire queste consonanze e poi a farle risuonare all’interno degli ambiti che pratica con il suo lavoro, il suo studio o il suo impegno civile o di volontariato, alla ricerca di ulteriori connessioni, coinvolgendo in questo lavoro le reti comunitarie di cui fa parte, in ambito sociale, professionale, ecclesiale, ecc. Qui mi limito a indicarne alcune che mi hanno particolarmente colpito.

La prima è la sensazione di una forte accelerazione di processi che erano già in atto. In altre parole la pandemia sembra comportarsi come un catalizzatore delle dinamiche economiche, sociali e culturali e delle loro contraddizioni: non introduce elementi di novità radicale, ma porta i nodi al pettine con maggiore velocità e svela quanto prima rimaneva più facilmente nascosto o implicito, anche se gli osservatori più attenti lo avevano già evidenziato. Che lavoro, casa, ambiente o salute fossero nodi cruciali lo sapevamo anche prima, così come sapevamo quanto contraddittorie, problematiche e persino potenzialmente catastrofiche fossero alcune scelte e comportamenti. In altre parole, quello che ci sta accadendo è che non possiamo più far finta di non vedere quanto fosse insostenibile il futuro che con le nostre azioni e le nostre scelte ci stavamo costruendo in quello che oggi ci appare come il nostro passato. È evidente che dobbiamo cambiare, ma è ancora più chiaro che la vera domanda è se vogliamo farlo.

Una seconda risonanza trasversale è quella legata alla ricorrente emersione di un rinnovato bisogno di governo, cioè di una istanza capace di fare scelte, dare indirizzi e assicurarne attuazione, soprattutto attraverso un efficace coordinamento dei molti attori e dei molti livelli che sono chiamati a partecipare ai processi. Non bastano i meccanismi di autoregolazione, le mani invisibili e probabilmente nemmeno gli algoritmi. Scopriamo di avere ancora bisogno di politica, nel senso pieno di esercizio responsabile dell’autorità e non solo di apparato di gestione del consenso. Di per sé neanche questa è una grossa novità, ma lo sguardo sistemico che la gestione di una crisi complessa come l’emergenza pandemia ci ha obbligato ad assumere ci può aiutare a rimettere le cose in prospettiva: la questione della politica, nel senso di un esercizio dell’autorità che abbia di mira il bene comune e non gli interessi di parte, non si esaurisce con l’identificazione del leader, dell’uomo solo al comando. Una politica sana resta un’azione corale, che nella diversità dei ruoli e delle funzioni ci chiama in causa tutti, i singoli cittadini così come gli attori sociali collettivi (le diverse forme di realtà istituzionali, le associazioni, le imprese, tutti quelli che si usavano chiamare corpi intermedi, le banche, i media, il mondo della scuola e della ricerca, ecc.). Il modo in cui gestiremo la ripartenza e il rilancio del Paese sarà una cartina al tornasole non solo per il mondo politico, ma per l’intera classe dirigente del Paese e in fin dei conti per ogni cittadino. E quindi anche per la comunità ecclesiale italiana, che è chiamata a fare la propria parte.

Rinverdire la cultura della partecipazione

La sfida resta quella della partecipazione, ma questo richiede innanzi tutto un cambio di passo in termini di cultura e di atteggiamenti. Si apre in questo modo una opportunità di rinnovamento per la democrazia, che è stata messa in questione dalle modalità emergenziali in cui ha dovuto funzionare, rinunciando anche ad alcune delle sue procedure ordinarie. Queste modalità non possono che essere transitorie, ma ci sfidano a chiederci quali valori vogliamo che le nostre norme tutelino, al di là delle forme e delle procedure con cui questo avviene. Cambiamento ed evoluzione sono necessari, ma non possono mettere in discussione i diritti fondamentali della persona.

A questo lavoro collettivo mi auguro che le pagine che seguono possano dare un contributo, sperando in particolare che questo incrocio di prospettive possa innescare dinamiche di confronto e di scambio anche tra i nostri lettori e le persone con cui lavorano, riflettono, sognano. L’ambizione di una Rivista come Aggiornamenti Sociali è proprio di partecipare all’animazione del tessuto sociale, perché possa trovare nuova vitalità il senso di appartenenza a quella che con il lessico dei social media potremmo essere tentati di chiamare community, ma che resta meglio indicare con il più tradizionale, ma per le nostre orecchie ben più ricco, “comunità”.

Immigrati, lavoratori “essenziali”, di Maurizio Ambrosini

Inimmaginabile, di Mario Cucinella

Ripartiamo da salute e cura, di Silvia Landra

Ambiente e clima: accelerare la transizione, di Mariagrazia Midulla

Coronavirus e diritto: quale contagio?, di Adriano Patti


3 giugno 2020
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