Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo». Queste parole, tratte dal n. 15 della
Populorum progressio (1967, PP), l’enciclica dedicata al tema dello sviluppo da Paolo VI, sintetizzano la concezione della dottrina sociale su questo tema. Limitarsi a considerazioni di ordine materiale ed economico, o anche politico e persino culturale, senza includerle tutte e senza aprirsi alla dimensione spirituale, non sarebbe sufficiente, così come non tenere conto di tutti gli uomini e di tutti i popoli. In realtà, radicata nella sua tradizione di fede, la Chiesa riafferma costantemente la grandezza della vocazione di tutti gli esseri umani, creati a immagine e somiglianza di Dio e chiamati a essere un’unica famiglia.
Con questa proposta la Chiesa entra nel dibattito sullo sviluppo durante gli anni ’60 del secolo scorso. Questa visione, che è al cuore della PP, viene confermata e arricchita nei decenni seguenti, durante i quali il tema dello sviluppo si intreccia con le sfide della globalizzazione e dell’ambiente. Il concetto di sviluppo umano integrale, che ha profonde radici antropologiche e teologiche, appare come un principio organizzativo che permette alla Chiesa di professare la fede cristiana intervenendo sulle questioni dello sviluppo in modo critico e costruttivo.
Giovanni XXIII precursore
Il tema dello sviluppo appare nei documenti ecclesiali a partire dalle encicliche di Giovanni XXIII,
Mater et magistra (1961, MM) e
Pacem in terris (1963, PT), ed è presente anche nella Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo
Gaudium et spes del Concilio Vaticano II (1965, GS). Prendendo atto che la questione sociale ha ormai una dimensione globale e si manifesta nelle disuguaglianze tra i Paesi economicamente sviluppati e quelli in via di sviluppo (MM, n. 143), questi tre documenti forniscono alcuni principi fondamentali. Lo sviluppo dei popoli è un diritto (PT, n. 49) ed è quindi un dovere dei Paesi cosiddetti “sviluppati” dare il proprio contribuito, e non solo una scelta dettata da motivi di interesse (MM, nn. 144-146; GS, n. 86). Tuttavia i primi protagonisti dello sviluppo sono gli individui e i popoli. Il pericolo è utilizzare le diverse forme di aiuto e cooperazione allo sviluppo come strumenti di dominazione politica, economica e sociale, minando così il rispetto della dignità delle persone e dei popoli (MM, n. 158; PT, n. 65; GS, n. 85). Infine, lo sviluppo deve essere integrale: il miglioramento delle condizioni sociali deve accompagnare la crescita economica (MM, n. 68) e deve avere come obiettivo «la piena espansione umana» di tutti i cittadini, inclusa la dimensione spirituale (GS, n. 86).
Paolo VI
Nella
Populorum progressio tutti questi elementi vengono presentati in modo più sistematico. L’enciclica si fonda sull’esperienza dei cattolici impegnati nei dibattiti e nell’azione per lo sviluppo. Tra questi, il domenicano francese Louis-Joseph Lebret (1897-1966) svolge un ruolo primario. Fondatore nel 1941 dell’associazione
Économie et humanisme (Economia e umanesimo), che mira a promuovere un’economia al servizio dell’uomo, è consulente di vari Governi in America Latina, Africa e Asia. A lui si deve la nozione di sviluppo integrale di «tutto l’uomo e di tutti gli uomini». Nel solco del Vaticano II, l’enciclica opera un discernimento dei segni dei tempi, rappresentati in questo caso dal grido dei «popoli della fame [che] interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza» (PP, n. 3) e obbligano a rileggere i Vangeli, più volte citati.
Lo sviluppo è personale (PP, n. 15), ma anche comunitario: «lo sviluppo integrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità» (PP, n. 43). Si impone perciò un dovere di solidarietà tra i popoli e le persone, ma anche un profondo rispetto per la loro capacità di decisione e di azione. Lo sviluppo è presentato come la strada più sicura per la pace: è «il nuovo nome della pace» (PP, n. 76-80). L’enciclica non intende proporre un’unica teoria o soluzioni tecniche alle sfide poste dalla problematica dello sviluppo, ma un criterio di valutazione e discernimento, fonte d’ispirazione per l’azione. Vero sviluppo si ha col passaggio da condizioni meno umane a condizioni più umane (PP, n. 21).
Condizioni meno umane e più umane (Populorum progressio, n. 21)
Meno umane: le carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale, e le carenze morali di coloro che sono mutilati dall’egoismo. Meno umane: le strutture oppressive, sia che provengano dagli abusi del possesso che da quelli del potere, dallo sfruttamento dei lavoratori che dall’ingiustizia delle transazioni. Più umane: l’ascesa dalla miseria verso il possesso del necessario, la vittoria sui flagelli sociali, l’ampliamento delle conoscenze, l’acquisizione della cultura. Più umane, altresì: l’accresciuta considerazione della dignità degli altri, l’orientarsi verso lo spirito di povertà, la cooperazione al bene comune, la volontà di pace. Più umane, ancora: il riconoscimento da parte dell’uomo dei valori supremi, e di Dio che ne è la sorgente e il termine. Più umane, infine e soprattutto: la fede, dono di Dio accolto dalla buona volontà dell’uomo, e l’unità nella carità del Cristo che ci chiama tutti a partecipare in qualità di figli alla vita del Dio vivente, Padre di tutti gli uomini
Alla luce del contesto degli anni ’60, l’enciclica propone varie raccomandazioni concrete per l’attuazione di questo passaggio, a partire da riforme agrarie nelle regioni dove grandi popolazioni agricole sopravvivono nella miseria, per mancanza di una terra propria da coltivare, mentre vaste aree rimangono incolte (PP, n. 24). L’industrializzazione è considerata un fenomeno positivo a patto che non sia volta esclusivamente al profitto (PP, nn. 25-26). L’urgenza della situazione invoca un’immediata azione di programmazione da parte delle autorità governative con il concorso delle iniziative private e dei corpi intermedi (PP, n. 33). Il commercio internazionale richiede profonde riforme, perché le disuguaglianze non possono essere corrette dai soli meccanismi del libero mercato (PP, n. 58). Infine, l’enciclica incoraggia la creazione di un fondo internazionale per lo sviluppo (PP, n. 51).
Con queste raccomandazioni, la Chiesa si ritrova sulle posizioni di una corrente riformista internazionale, rappresentata in particolare dalla Commissione economica delle Nazioni Unite per l’America latina e i Caraibi (CEPAL) e dal suo segretario generale, l’economista argentino Raúl Prebisch (1901-1986). In contrasto con le teorie della modernizzazione, che vedono nel sottosviluppo un semplice ritardo all’interno di un processo ineluttabile che basta sostenere con l’apporto di capitali dall’estero, la corrente “strutturalista” vuole intervenire sui legami strutturali tra il supersviluppo del Nord del mondo e il sottosviluppo del Sud. Questo si traduce, ad esempio, in un’azione sulle regole del commercio internazionale, in una maggiore pianificazione nei Paesi in via di sviluppo, nel rifiuto di una divisione del lavoro che confinerebbe alcuni Paesi al ruolo di produttori di materie prime, mentre in altri si troverebbero le industrie di trasformazione. Prendendo posizioni vicine a quelle degli strutturalisti, Paolo VI non pretende di identificare la visione della Chiesa con questa teoria (Sutton 1991), ma fa eco a un approccio che esprime una visione di sviluppo umano integrale.
La Conferenza di Medellín
In nome di questa visione, i vescovi dell’America Latina, riuniti a Medellín (Colombia), adottano nel 1968 un approccio più radicale. Interpellati dallo scandalo della povertà e delle crescenti disuguaglianze nel loro continente, denunciano una situazione di dipendenza economica e politica, in particolare nei confronti degli Stati Uniti, e chiedono un’azione per affrontare le nuove forme di colonialismo.
Alcuni elementi di questa posizione sono ripresi dal magistero romano, in particolare nel documento finale del Sinodo dei vescovi del 1971,
La giustizia nel mondo, e nell’esortazione apostolica postsinodale
Evangelii nuntiandi di Paolo VI (1975). Prendendo esplicitamente atto delle situazioni di neocolonialismo, la Chiesa associa lo sviluppo umano integrale alla nozione di liberazione: «Se le nazioni e le regioni che sono in via di sviluppo non giungono alla liberazione attraverso lo sviluppo, c’è davvero il pericolo che le condizioni di vita, create soprattutto dalla dominazione coloniale, possano evolvere verso una nuova forma di colonialismo, per la quale le nazioni in via di sviluppo resteranno vittime del gioco delle forze economiche internazionali» (
La giustizia nel mondo, n. 1252). Tuttavia, in nome del principio di un’umanità considerata nel suo insieme, l’appello alla liberazione si realizza nel rifiuto della violenza e attraverso la promozione della cooperazione e della partecipazione.
Giovanni Paolo II
Anche Giovanni Paolo II pone il tema dello sviluppo al centro della sua seconda enciclica,
Sollicitudo rei socialis (1987). Ne sottolinea la dimensione morale, ribadendo che non si tratta di una questione puramente tecnica, ma di un campo in cui entrano in gioco vere e proprie scelte, da valutare in base al contributo che danno (o non danno) al bene comune. Nel contesto, ancora presente, della guerra fredda e dell’opposizione tra capitalismo e comunismo, Giovanni Paolo II ribadisce che lo sviluppo autentico non può essere confuso né con il mito del progresso indefinito né con una semplice espansione della ricchezza materiale, arrivando a denunciare le forme di «supersviluppo» dei Paesi ricchi (SRS, n. 28). Lo sviluppo è l’espressione moderna della vocazione umana – essere immagine e somiglianza di Dio creatore – e la Chiesa fonda il proprio impegno per lo sviluppo nella meditazione sulla figura di Cristo redentore e nella piena realizzazione di questa vocazione (SRS, nn. 30-31). Guardando gli ostacoli allo sviluppo in prospettiva teologica, Giovanni Paolo II denuncia come strutture di peccato la logica dei blocchi o un ordine economico mondiale pervertito dal desiderio di profitto e dalla sete di potere «a qualsiasi prezzo» (SRS, n. 37). Lo sviluppo autentico si realizza attraverso la promozione della solidarietà, che «non è un sentimento di vaga compassione», ma «la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune […] perché tutti siamo veramente responsabili di tutti» (SRS, n. 38). L’enciclica sottolinea inoltre che uno sviluppo autentico deve tener conto del rispetto per l’ambiente e dei limiti alla disponibilità di risorse naturali non rinnovabili.
La visione dello sviluppo umano integrale trova un significativo riscontro nella direzione presa dall’UNDP (United Nations Development Programme) nel 1990. Sotto la guida degli economisti Mahbub Ul Haq e Amartya Sen, l’agenzia dell’ONU promuove lo sviluppo come «processo che amplia il ventaglio delle opportunità per gli individui» e inizia a usare l’Indice di sviluppo umano (ISU o HDI), che non si limita, come il Prodotto interno lordo (PIL), a misurare la ricchezza di un Paese in termini di reddito, ma tiene conto di fattori come la speranza di vita e l’istruzione.
Alcuni anni dopo, nel 2000, le Nazioni Unite lanciano gli Obiettivi di sviluppo del millennio: eliminare la povertà estrema e la fame; assicurare l’istruzione primaria universale; promuovere l’uguaglianza di genere e l’autonomia delle donne; ridurre la mortalità infantile; migliorare la salute materna; combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie; assicurare la sostenibilità ambientale; sviluppare un partenariato globale per lo sviluppo. Questo elenco ricorda il brano di PP sul passaggio da condizioni meno umane a condizioni più umane e ripropone una visione dello sviluppo che non si limita a criteri economici, ma cerca di mettere al centro gli uomini e le donne, tenendo conto di tutte le dimensioni della loro umanità. Non sorprende perciò che molte organizzazioni cattoliche, a partire da Caritas internationalis, li abbiano adottati come asse del proprio impegno.
In occasione del Giubileo del 2000 queste organizzazioni, con il sostegno di Giovanni Paolo II, prendono parte con decisione alla campagna globale per la cancellazione del debito dei Paesi più poveri. Come aveva sottolineato il Papa (SRS, n. 19), l’eccessivo indebitamento numerosi Paesi in via di sviluppo è una questione etica, che tocca l’interdipendenza e la solidarietà tra i popoli, e non solo un problema economico. In questo ambito la visione dello sviluppo umano integrale trova un luogo di applicazione concreta.
Benedetto XVI
Due decenni dopo la SRS, una globalizzazione sempre più complessa e una crescente secolarizzazione, in particolare in Europa, inducono Benedetto XVI a riprendere il tema dello sviluppo. Nell’enciclica
Caritas in veritate (2009, CV) insiste sull’apertura alla trascendenza come componente chiave dello sviluppo umano integrale (CV, n. 78). Le crisi che affliggono l’umanità all’inizio del terzo millennio sono l’occasione per un discernimento più profondo e per scelte in vista di un futuro migliore, fondato sui valori umani fondamentali in una «nuova sintesi umanistica» (CV, n. 21), al cui interno si colloca la dimensione del dono e della gratuità, all’opera ad esempio nelle forme creative di economia solidale (CV, n. 34).
Infine, il tema dello sviluppo è oggi legato a quello dell’ambiente (CV, n. 48). Vent’anni dopo il Rapporto Brundtland (1987), che ha adottato la nozione di sviluppo sostenibile, la consapevolezza della scarsità di alcune risorse naturali e dei danni, spesso irreversibili, causati all’ambiente da uno sviluppo industriale irresponsabile, diventa sempre più forte. La voce della Chiesa cattolica, che in precedenza appariva piuttosto timida a riguardo, si fa sentire con più forza. La responsabilità personale nei confronti dei poveri – tema che papa Francesco riprenderà nel n. 186 dell’esortazione apostolica
Evangelii gaudium – e delle generazioni future è ribadita da Benedetto XVI, che chiede una riforma degli stili di vita in reazione al consumismo delle società dell’opulenza (CV, n. 48-51). La preoccupazione per una rinnovata solidarietà intergenerazionale e per i più deboli permette di continuare a parlare di “sviluppo” nel senso di una crescita in umanità nella solidarietà. Impegno per la tutela dell’ambiente e per la giustizia nei confronti dei più deboli vanno oggi di pari passo.
Nella varietà delle situazioni e dei dibattiti sul tema, il concetto di sviluppo umano integrale, costantemente mantenuto dalla dottrina sociale della Chiesa, si propone come un criterio cardine per valutare le opzioni politiche, economiche o sociale, a livello individuale e collettivo. Come principio orientato all’azione, risveglia la coscienza dei cattolici e contribuisce a ispirare la loro azione e più in generale quella di «uomini e donne di buona volontà». Per la Chiesa cattolica, considerare tutti gli esseri umani e tutte le dimensioni della persona umana nel dinamismo della loro vocazione è la posta in gioco nella promozione dello sviluppo, al di là delle sue forme concrete.
RISORSE
CV = BENEDETTO XVI, enciclica
Caritas in veritate, 2009
EG = FRANCESCO, esortazione apostolica
Evangelii gaudium, 2013.
EN = PAOLO VI, ESORTAZIONE APOSTOLICA
Evangelii nuntiandi, 1975.
GS = CONCILIO VATICANO II, costituzione pastorale
Gaudium et spes, 1965.
MM = GIOVANNI XXIII, enciclica
Mater et magistra, 1961.
PP = PAOLO VI, enciclica
Populorum progressio, 1967.
PT = GIOVANNI XXII, enciclica
Pacem in terris, 1963.
SRS = GIOVANNI PAOLO II, enciclica
Sollicitudo rei socialis, 1987.
«Documenti della seconda Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano (Medellín, 26 agosto-7 settembre 1968)», IN
Documenti della Chiesa latinoamericana, EMI, BOLOGNA 1995,
PONTIFICIA COMMISSIONE «IUSTITIA ET PAX»,
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SINODO DEI VESCOVI, «LA GIUSTIZIA NEL MONDO», 1971, IN
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PREBISCH R.,
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RAPPORTO BRUNTLAND = COMMISSIONE MONDIALE PER L’AMBIENTE E LO SVILUPPO,
Il futuro di noi tutti, BOMPIANI, MILANO 1988.
SUTTON M. (1991), «LES CONTINGENCES D’UNE ENCYCLIQUE: POPULORUM PROGRESSIO. L’ÉCONOMIE POLITIQUE ET LA THÉOLOGIE DE LA LIBÉRATION», IN ASSOCIATION FRANÇAISE D’HISTOIRE RELIGIEUSE CONTEMPORAINE
, Les chrétiens et l’économie, CENTURION, PARIGI, 31-155.
UNDP (1990),
Rapporto sullo sviluppo umano 1990. Come si definisce, come si misura, ROSENBERG & SELLIER, TORINO 1992.
Titolo originale: «Développement intégral», disponibile sul sito del CERAS <
www.ceras-projet.org/dsc>. La traduzione italiana è a cura della Redazione. Per i testi del magistero si fa riferimento alla versione disponibile su <
www.vatican.va>.