Il Sinodo dei vescovi, che si celebrerà il prossimo ottobre sul tema «Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale», riporta l’attenzione a un’area del pianeta che riassume le problematiche ecologiche note al grande pubblico: il valore della biodiversità, i diritti dei popoli indigeni, gli effetti dei meccanismi economici globali e il ruolo degli attori internazionali. Senza dubbio, la vastità e la varietà dell’ecosistema amazzonico ne fanno da sempre un paradiso ecologico ma anche, fin dai tempi della colonizzazione, un deposito di risorse da sfruttare, spesso a discapito degli interessi delle popolazioni locali. A tutt’oggi, il riscaldamento globale e la consapevolezza dell’interdipendenza fra le aree del pianeta portano l’attenzione sul significato del territorio amazzonico per la comunità mondiale. Tuttavia il Sinodo metterà in luce anche la dimensione ecclesiale delle sfide dell’Amazzonia, decentrando lo sguardo della Chiesa su una regione di fatto marginale nello scenario geopolitico e invitando a cogliervi le risorse per una riflessione a più ampio raggio. Già il 15 febbraio 2017, papa Francesco, rivolgendosi ai rappresentanti dei popoli indigeni riuniti alla FAO (Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite), indicava in loro i testimoni privilegiati di un rapporto con la terra, profondamente intessuto nella cultura, che rappresenta un modello per il resto del mondo. Anche l’enciclica Laudato si’ aveva portato l’attenzione a «quei polmoni del pianeta colmi di biodiversità che sono l’Amazzonia e il bacino fluviale del Congo, le grandi falde acquifere e i ghiacciai» e sottolineava «l’importanza di questi luoghi per l’insieme del pianeta e per il futuro dell’umanità» (n. 38). Ancora il 19 gennaio 2018, a Maldonado (Perù), papa Francesco ricordava agli indigeni la necessità di modellare una Chiesa «dal volto amazzonico».
La Rete ecclesiale pan-amazzonica (REPAM), istituita nel 2014, è un frutto di questo orientamento della Chiesa, volta a incarnare il Vangelo in una porzione particolarmente vulnerabile del popolo di Dio, assumendone le ferite ma anche le risorse. La REPAM coordina l’attività di religiosi e di Organizzazioni non governative cattoliche nella regione amazzonica, svolgendo attività di advocacy, organizzando la pastorale itinerante, comunicando all’esterno tramite network internazionali e promuovendo progetti locali di sviluppo sostenibile.
Una casa comune per l’umanità e la natura
Quando gli europei sbarcarono sulle coste americane, trovarono un territorio già abitato da migliaia di anni da popolazioni che, con il loro lavoro, ne avevano modificato l’ecosistema. L’apparente “foresta vergine” era, in realtà, un ambiente antropizzato (cfr Roca Alcázar 2019). Nel corso dei secoli, gli indigeni avevano elaborato tecniche di gestione del suolo, tali da incrementarne la fertilità; avevano scavato terrazze con sistemi di drenaggio per le coltivazioni in quota; erano in grado di trasferire le specie vegetali, introducendo colture in nuovi territori; avevano una buona conoscenza dei sistemi idrografici e padroneggiavano la navigazione fluviale; le loro pratiche mediche comprendevano l’uso dei principi attivi delle piante. Questo insieme di tecniche testimoniava la possibilità di una relazione di alleanza fra essere umano e natura, basata sulla gestione intelligente dell’ambiente. La questione torna di grande attualità di fronte all’incremento demografico che, anche in Amazzonia, rischia di innescare nuovi conflitti per l’accesso alle risorse.
L’ambiente amazzonico assume oggi un’importanza inedita per due ordini di motivi: per l’impatto delle sue risorse sull’ecosistema globale e perché la gestione di questo territorio può divenire paradigmatica per il resto del mondo. L’Amazzonia è, senza dubbio, un enorme “pozzo di carbonio”, cioè un sistema in grado di assorbire l’anidride carbonica dall’atmosfera. Tuttavia, le ragioni principali della sua importanza per la biosfera sono due: la sua funzione di produttore d’acqua dolce, che raggiunge il 20% della produzione planetaria, e la ricchezza della sua biodiversità, che la rende un luogo strategico per lo sviluppo della vita sulla Terra (cfr López Oropeza et al. 2015). Questi due aspetti sono interconnessi: la foresta e l’acqua vanno sempre insieme, in virtù di un ciclo che comprende la pioggia, la rugiada, l’evaporazione, l’acqua dei fiumi e degli stagni. Tuttavia, le riserve idriche amazzoniche sono oggi minacciate da almeno tre fattori: il disboscamento, l’inquinamento dei fiumi e i progetti di grandi infrastrutture.
Le cause della deforestazione vanno ricercate nel mercato illegale del legname ma anche nell’allevamento e nelle vaste monocolture, spesso destinate alla produzione di mangimi. Invece, lo sfruttamento minerario del mercurio e le estrazioni di idrocarburi, insieme allo sversamento di acque nere dai centri urbani, provocano l’inquinamento dei fiumi. Anche i progetti di sviluppo delle infrastrutture possono minacciare gli equilibri del bacino amazzonico. Le dighe delle centrali idroelettriche, per esempio, alterano l’affluenza delle acque che fertilizzano il basso corso dei fiumi. Questo problema è al centro delle controversie sulla costruzione della centrale di Belo Monte (Brasile), progettata per essere la terza più grande al mondo. In Perù, la realizzazione della Idrovia amazzonica, che renderebbe navigabili i principali fiumi del Paese, incontra l’opposizione dei popoli autoctoni, preoccupati per le ricadute sulle riserve ittiche (Servindi 2018).
Un’ulteriore preoccupazione per le popolazioni locali deriva dalla creazione di aree naturalistiche protette, destinate al turismo, che implica nuovi limiti di utilizzo, in contrasto con le pratiche tradizionali degli autoctoni.
Le problematiche evocate non sono esclusive del bacino amazzonico: per tale motivo, il modo nel quale saranno affrontate ha un valore che supera i limiti continentali. In altri termini, l’Amazzonia rappresenta una sorta di “laboratorio” della sostenibilità che interessa l’intero pianeta.
Le dimensioni di un’unica sfida
Il modello dell’ecologia integrale proposto dalla Laudato si’ permette di cogliere l’interconnessione fra problemi ambientali e sociali; seguendo questo approccio, possiamo descrivere le problematiche del territorio amazzonico, articolandone correttamente i livelli. Si rende necessario un metodo di riflessione che, a partire dall’esperienza, renda ragione delle sfide non solo ambientali ma anche economiche, giuridiche, culturali, storiche, teologiche e pastorali. Alcune tematiche, in particolare, richiamano la nostra attenzione: i processi sociali e demografici in atto nelle città amazzoniche, il rapporto fra centro e periferie, la condizione degli indigeni immigrati nei centri urbani e degli sfollati interni e il ruolo svolto dalla Chiesa nella situazione attuale.
L’Amazzonia comprende tre principali agglomerati urbani: Belém do Pará e Manaus, in Brasile, che contano entrambe oltre un milione di abitanti, e Iquitos in Perù, che ha circa mezzo milione di abitanti. Il problema principale dell’urbanizzazione in Amazzonia risiede nel suo carattere di processo non controllato, connotato da intensi spostamenti di popolazione dalle campagne alle città. Questo evidenzia certamente l’esistenza di criticità nelle regioni rurali, tali da autorizzare l’adozione della categoria delle migrazioni forzate. Due fenomeni suscitano particolare preoccupazione: il primo è lo spostamento di popolazioni come conseguenza di grandi progetti economici, quali le grandi monocolture, gli allevamenti o anche l’istituzione di riserve naturali. L’espulsione degli agricoltori indigeni dalle loro terre fa di essi degli sfollati interni a pieno titolo. Il secondo sono i movimenti transfrontalieri, che vedono affluire nelle città amazzoniche i profughi provenienti da Haiti e dal Venezuela. L’attuale fisionomia dei tessuti urbani appare pertanto come il risultato di conflitti economici ed etnici e di ingiustizie che interessano il territorio amazzonico da molto tempo. Questo volto delle città amazzoniche rappresenta una sfida anche per la Chiesa: come creare delle comunità fra masse di persone che si sono spostate in maniera forzata e che per lo più si ritrovano isolate nei nuovi contesti? «Conversando con i migranti venezuelani – spiega la sociologa Marcia de Oliveira – praticamente il 90% si dichiara cattolico ma non è inserito in una comunità ecclesiale. Come Chiesa, quale risposta possiamo dare? Ospitare tutti nei centri d’accoglienza, senza alcuna prospettiva di comunità, di partecipazione, di protagonismo, non è una vera risposta ecclesiale. L’assistenza è necessaria, importante, fondamentale, ma bisogna anche andare oltre» (Modino 2018).
Strettamente collegato al tema delle città è il rapporto fra centri e periferie. L’Amazzonia presenta un paradosso: da un lato, le città crescono e invadono i boschi; d’altro lato, i centri abitati minori si stanno spopolando. Questa migrazione rivela uno squilibrio nella distribuzione dei servizi, che sono concentrati in quelli grandi e indica che alcune fasce della popolazione tendono a essere escluse dalla programmazione politica: gli indigeni, coloro che vivono lungo i fiumi, ma anche gli abitanti dei piccoli villaggi intorno alle città.
Tali questioni investono il significato stesso dell’ambiente naturale, percepito da alcuni come un deposito di risorse da consumare, da altri come la propria casa ancestrale, all’interno della quale le popolazioni locali vivono in equilibrio con i processi ecosistemici. Infatti, sin dalla sua “scoperta” da parte dei colonizzatori, il territorio amazzonico è stato storicamente interpretato come uno spazio “vergine” e inabitato, disponibile a essere occupato da soggetti esterni interessati a sfruttarne le ricchezze. A questa narrativa si oppone però la lettura dell’Amazzonia come un bioma, un sistema vivo, che raccoglie una straordinaria diversità non solo biologica ma anche etnica e sociale.
Il conflitto di significati rimanda ai conflitti sociali in atto: da una parte, lo sfruttamento intensivo del territorio, soprattutto attraverso le attività estrattive e l’industria agroalimentare, dall’altro le varie forme di resistenza che fanno leva anche sulle risorse della foresta, sulle possibilità di vita offerte dalla terra. Tuttavia, l’obiettivo di sviluppare alternative al presente modello di sfruttamento, che sembra vincente, passa per la partecipazione dei cittadini e il rafforzamento “dal basso” di un tessuto comunitario. Qui entra in gioco anche il ruolo della Chiesa, attraverso la sua capacità di consolidare le comunità locali, secondo le esigenze e le caratteristiche proprie di ogni contesto. Da questo punto di vista, pertanto, l’Amazzonia rappresenta un banco di prova per la “Chiesa in uscita” auspicata da papa Francesco: questa regione provoca la Chiesa a pensare se stessa in maniera meno monolitica e più incarnata nelle realtà locali.
Laudato si’ in azione: il ruolo della REPAM
Nel discorso ai vescovi del Brasile del 27 luglio 2013, papa Francesco segnalava la fragilità delle reti ecclesiali nel Paese. Ciò vale soprattutto per la regione amazzonica, per due ragioni. Da un lato, la precarietà strutturale delle équipe pastorali, con carenza di missionari, scarsezza di mezzi finanziari, isolamento e difficoltà di comunicazione. Dall’altro, le diocesi e le altre strutture ecclesiali locali soffrono di una prospettiva limitata e stentano a riconoscersi all’interno di processi che riguardano tutta la regione. Oggi, la consapevolezza della vasta portata dei fenomeni che sperimentiamo localmente spinge a superare la frammentazione. Inoltre, le sopraffazioni e le sofferenze che hanno segnato la storia amazzonica risuonano oggi nella Chiesa come un appello alla conversione, che porta a chiedere perdono per tutte le volte in cui la Chiesa non è riuscita a liberarsi dall’influenza del sistema coloniale. Da ciò che non è stato fatto in passato, impariamo la lezione di cosa si debba fare oggi al servizio dei più vulnerabili. Ma nell’Amazzonia possiamo ritrovare un patrimonio di esperienze antiche di vita in armonia con la natura: i popoli indigeni offrono un esempio e un insegnamento di come si possa “coltivare e custodire” la creazione che Dio ha affidato all’umanità (cfr Genesi 2,15).
La REPAM è un frutto della risposta della Chiesa a queste sollecitazioni. La riflessione che nasce al suo interno va compresa all’interno del percorso storico della Chiesa in America latina, con particolare riferimento alla V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano di Aparecida (CELAM 2007) che, riconosciuta «l’importanza dell’Amazzonia per tutta l’umanità», invitava a «stabilire, fra le Chiese locali dei diversi Paesi sudamericani che fanno parte del bacino amazzonico, una cura pastorale globale con priorità differenziate per creare un modello di sviluppo che privilegi i poveri e serva al bene comune» (n. 475). Questa richiesta dei vescovi è stata messa in atto attraverso la missione della REPAM, che consiste nel rafforzare l’azione della Chiesa nell’Amazzonia, realizzando opzioni apostoliche coordinate, integrate e su più livelli, ispirate alla dottrina sociale della Chiesa, all’interno di una piattaforma di condivisione della quale fanno parte le Chiese locali, le congregazioni religiose, altre istituzioni ecclesiali e movimenti laicali. La dimensione sovranazionale, il carattere ecclesiale e l’impegno per la difesa della vita fondano l’identità della Rete, come ha riconosciuto il card. Peter Turkson, all’epoca presidente del Pontificio consiglio della Giustizia e della pace e attualmente prefetto del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, osservando che «il modo in cui la REPAM, agendo come una “piattaforma”, si strutturerà e definirà il suo modo di funzionamento, le sue priorità di azione, i suoi alleati o le sue modalità di accreditamento, potrebbe servire come modello ad altre Chiese locali di altri continenti che si trovano ad affrontare sfide analoghe».
La struttura della Rete è concepita per articolare l’unità ecclesiale e la pluralità delle istanze locali. Presieduta dal Dipartimento giustizia e solidarietà del CELAM, dalla Commissione amazzonica della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, dal Segretariato latinoamericano Caritas e dalla Conferenza latinoamericana dei religiosi, è organizzata in commissioni tematiche. Un punto importante è l’articolazione della missione con le istanze nazionali, stabilite dagli episcopati dei rispettivi Paesi.
Quali sono le sfide della Laudato si’ per la Rete? Osserviamo, anzitutto, che la REPAM condivide le radici teologiche e la metodologia dell’enciclica di papa Francesco: il punto di partenza è l’elaborazione di un’esperienza; in particolare, si tratta della vita condivisa con i più vulnerabili e dell’avere ascoltato «tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (LS, n. 49). Il Pontefice afferma chiaramente che, se l’attuale crisi ecologica mette a repentaglio il futuro di tutta l’umanità, tuttavia le conseguenze peggiori ricadono sui più poveri del pianeta. Seguendo questi stimoli, la Rete si impegna a leggere la realtà attraverso tre prospettive.
La prima è la metanoia, cioè la conversione, che nel Nuovo Testamento indica una trasformazione profonda e radicale del cuore. La «conversione ecologica» sollecitata da Laudato si’ (nn. 216-221) significa ripensare il nostro modo di vivere, mettendo al centro la preservazione degli equilibri ecosistemici e i diritti dei più deboli.
La seconda è orientare lo sguardo all’altro: significa trovare il senso della propria vita in relazione agli altri: «il mistero della vita ci riempie, nella misura in cui riconosciamo noi stessi agli occhi degli altri. E per i credenti, questo avviene con l’assoluta certezza che questo sguardo ultraterreno deve soprattutto essere sostenuto e cementato in quello dei più vulnerabili, che rappresentano la carne di Cristo» (López Oropeza et al. 2015, 515).
Il terzo è la parresia, nel senso del coraggio di impegnarsi, prendere la parola e mettere in discussione l’esistente.
Trasformazione del cuore, decentramento dell’attenzione ai più vulnerabili, impegno pubblico per trasformare il presente: sono tre dimensioni che caratterizzano l’atteggiamento della “Chiesa in uscita” che si incontrerà nel prossimo Sinodo.
CELAM (2007), V Conferencia General del Episcopado latinoamericano y del Caribe, Discípulos y Misioneros de Jesucristo para que nuestros pueblos en Él tengan vida “Yo soy el Camino, la Verdad y la Vida” (Jn 16,4). Documento conclusivo, Aparecida, 13-31 maggio, CELAM, Bogotà.
Papa Francesco (2015), lettera enciclica Laudato si’, in <www.vatican.va>.
— (2013), Incontro con l’episcopato brasiliano. Viaggio apostolico a Rio de Janeiro in occasione della XXVIII Giornata mondiale della gioventù, 27 luglio, in <www.vatican.va>.
López Oropeza M. et al. (2015), «La Red Ecclesial Pan-Amazónica – REPAM: una apuesta de comunión por el cuidado del nuestra casa común», in Medellín, 163, 503-517.
Modino L.M. (2018), «Marcia de Oliveira: Los nuevos caminos del Sínodo pasan por descolonizar una Iglesia que trajo todo listo», <www.consolata.org/new/index.php/mission/finestra/item/2370-marcia-de-oliveira-los-nuevos-caminos-del-sinodo-pasan-por-descolonizar-una-iglesia-que-trajo-todo-listo>.
Roca Alcázar F. (2019), «Les ressources ménacées de l’Amazonie», in Ètudes, 4256, 19-28.
Servindi (ed.) (2018), «Presentan serios cuestionamientos al proyecto Hidrovía Amazónica», in Servindi, 16 agosto, <www.servindi.org/15/08/2018/indigenas-cuestionan-hidrovia-amazonica-por-riesgos-ambientales>.
Turkson P.K.A. et al. (2015), Conferenza stampa di presentazione della Rete Ecclesiale Panamazzonica (REPAM), 2 marzo, <https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/03/02/0153/00338.html>.