Raccontare la guerra, tra vecchi e nuovi media

Fascicolo: aprile 2022

Quella tra Russia e Ucraina non è la prima guerra raccontata sui social media, ma è la prima in cui le propagande di entrambe le parti utilizzano al massimo il potenziale di tutte le piattaforme social, producendo quantità elevate di disinformazione e fomentando forme di attivismo che sono passate facilmente dalla tastiera alle armi.

 

I social, nuovo campo di battaglia

In realtà è stato il conflitto siriano il debutto bellico delle piattaforme di Telegram, grazie anche al coinvolgimento russo a fianco del presidente siriano Bashar al-Assad e all’uso contestuale che della piattaforma facevano gruppi di milizie non statuali, per scambiarsi informazioni, diffondere propaganda e reclutare uomini e donne. Dopo il 2012, tutti i conflitti regionali, che si siano allargati o meno (Yemen, Libia, Repubblica democratica del Congo, Camerun, Sahel, Mozambico, Tigray, Myanmar, Nagorno Karabakh, Kashmir, Venezuela), hanno sempre utilizzato le piattaforme social: per veicolare informazioni di natura militare sia da account ufficiali di Governi, eserciti o milizie strutturate, sia da account di singoli militari o miliziani; per testimoniare eccidi o massacri tutti da verificare; per accendere la propaganda e orientare l’opinione pubblica, interna e internazionale, con il ricorso a troll e bot; per tracciare attivisti e oppositori politici ai fini dell’arresto, della minaccia, dell’assassinio.

Tutto questo armamentario, diffuso soprattutto nelle lingue locali, giunge adesso a pieno perfezionamento, con dinamiche identiche e con l’aggravante che, trattandosi di un conflitto sul suolo europeo che coinvolge in via diretta o interposta due grandi potenze mondiali come Russia e Stati Uniti, riceve un’attenzione ancora maggiore dai media tradizionali, che utilizzano gli stessi canali sia come fonte sia come piattaforma di distribuzione dei propri contenuti. [Continua]

 

 

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