Quella tra Russia e Ucraina non è la prima guerra raccontata sui social
media, ma è la prima in cui le propagande di entrambe le parti
utilizzano al massimo il potenziale di tutte le piattaforme social,
producendo quantità elevate di disinformazione e fomentando forme di
attivismo che sono passate facilmente dalla tastiera alle armi.
I social, nuovo campo di battaglia
In realtà è stato il conflitto siriano il debutto bellico delle piattaforme
di Telegram, grazie anche al coinvolgimento russo a fianco del presidente
siriano Bashar al-Assad e all’uso contestuale che della piattaforma facevano
gruppi di milizie non statuali, per scambiarsi informazioni, diffondere
propaganda e reclutare uomini e donne. Dopo il 2012, tutti i conflitti
regionali, che si siano allargati o meno (Yemen, Libia, Repubblica democratica
del Congo, Camerun, Sahel, Mozambico, Tigray, Myanmar,
Nagorno Karabakh, Kashmir, Venezuela), hanno sempre utilizzato le
piattaforme social: per veicolare informazioni di natura militare sia da
account ufficiali di Governi, eserciti o milizie strutturate, sia da account di singoli militari o miliziani; per testimoniare eccidi o massacri tutti da
verificare; per accendere la propaganda e orientare l’opinione pubblica,
interna e internazionale, con il ricorso a troll e bot; per tracciare attivisti e
oppositori politici ai fini dell’arresto, della minaccia, dell’assassinio.
Tutto questo armamentario, diffuso soprattutto nelle lingue locali,
giunge adesso a pieno perfezionamento, con dinamiche identiche e con
l’aggravante che, trattandosi di un conflitto sul suolo europeo che coinvolge
in via diretta o interposta due grandi potenze mondiali come Russia e
Stati Uniti, riceve un’attenzione ancora maggiore dai media tradizionali,
che utilizzano gli stessi canali sia come fonte sia come piattaforma di distribuzione
dei propri contenuti.
[Continua]
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