Non è necessario spendere molte parole per introdurre il tema del vertiginoso aumento dei prezzi dell’energia elettrica e del gas naturale degli ultimi mesi, efficacemente sintetizzata dall’espressione “caro bollette”. Tutti stiamo facendo i conti con il rincaro delle utenze domestiche; in più, quanti hanno un ruolo dirigenziale nell’ambito pubblico (dagli uffici della pubblica amministrazione alle scuole e agli ospedali), nel settore industriale o commerciale, si trovano nella difficile condizione di dover gestire le conseguenze causate da questi rialzi, lottando in alcuni casi per assicurare la sopravvivenza dell’attività di cui sono responsabili o la prosecuzione del servizio che assicurano. Non stupisce, perciò, la centralità che questo tema ha avuto nelle agende politiche e nella campagna elettorale in vista del voto del 25 settembre. Ci troviamo di fronte a scelte difficili da compiere ed è essenziale capire perché è venuta a crearsi questa situazione e quali sono i possibili criteri per i passi successive da compiere.
Tanti ingredienti per un’unica crisi
Se siamo abbastanza consapevoli sulle conseguenze del “caro bollette”, sono meno conosciute le cause. Di certo il conflitto in corso in Ucraina sta pesando in modo decisivo per l’incertezza che inevitabilmente ogni guerra porta con sé, ma soprattutto per il braccio di ferro in atto tra l’Unione Europea, che ha adottato vari pacchetti di sanzioni, e la Russia, che ha ridotto la propria fornitura di gas, essenziale per coprire i fabbisogni energetici di vari Paesi europei, in primis l’Italia e la Germania, determinandone così un aumento del prezzo. Per il modo in cui funziona il mercato dell’energia europeo, ogni variazione a questo livello si ripercuote anche sulle bollette dell’energia elettrica, dato che il prezzo dell’elettricità è determinato di fatto da quanto costa produrla facendo ricorso al gas naturale.
Eppure gli aumenti nel mercato del gas erano iniziati ben prima dello scoppio della guerra in Europa. Secondo i dati dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, da gennaio a dicembre del 2021, il prezzo del gas era aumentato di quasi il 500% (da 21 a 120 €/MWh nei valori medi mensili). A spingere in alto questo valore nelle contrattazioni dei mercati dedicati al gas vi sono state ragioni congiunturali e altre di carattere più strutturale. In prima battuta, la maggiore e improvvisa richiesta di gas dopo la fine del lockdown non ha trovato una sufficiente offerta sul mercato per vari motivi, tra cui il calo della produzione di alcuni giacimenti, in particolare nel Mare del Nord, le richieste provenienti dal mercato asiatico, il rifiuto dei russi ad aumentare la propria esportazione per ottenere due obiettivi: il via libera dei Paesi europei al gasdotto Nord Stream 2, che penalizzava l’Ucraina (poi fermato dal nuovo Governo tedesco), e la firma di contratti di fornitura a lungo termine.
A questi fattori ne vanno aggiunti altri, che evidenziano la fragilità dell’intero sistema. Alcuni eventi naturali possono causare una momentanea indisponibilità di energia, come il grande gelo che nel 2021 ha paralizzato il Texas, Stato chiave per il sistema energetico statunitense, o la siccità della scorsa estate che ha ridotto in modo significativo la produzione di energia idroelettrica. Vi sono poi alcune strozzature che non possono essere risolte nel breve periodo, come nel caso della costruzione di nuove infrastrutture o l’ammodernamento di quelle esistenti per il trasporto e lo stoccaggio di gas o la produzione di elettricità, che richiedono tempi lunghi e, alle volte, complessi negoziati con i territori interessati prima di essere realizzate. Infine, in una chiave più generale, va tenuto conto che
il costo di estrazione del gas, così come degli altri idrocarburi, è destinato a crescere per l’esaurirsi delle risorse a disposizione.
Non tutte le soluzioni possibili sono uguali
Il quadro appena descritto ci aiuta a capire che l’attuale aumento dei prezzi dell’energia non è pertanto così sorprendente e inatteso, dato che tutta una serie di criticità, come l’eccessiva dipendenza da una fonte energetica e da un partner commerciale, erano conosciuti da tempo. Richiamare questo contesto è essenziale per articolare una risposta adeguata alla crisi energetica che stiamo attraversando, che rischia di infliggere un duro colpo alla ripresa economica del nostro Paese dopo la pandemia, con tutte le ricadute in chiave sociale che questo comporta.
La ricerca delle possibili soluzioni deve giustamente tenere in conto le urgenze del momento (le conseguenze dei rincari nelle bollette di famiglie e attività economiche), ma non può limitarsi a considerare solo il presente, perché tali soluzioni rimangano efficaci anche dopo essere state attuate, uscendo da una logica “emergenziale”. Situazioni analoghe a quelle che stiamo vivendo potranno infatti ancora ripetersi nel futuro e segnalano le storture del modello attuale, che si ripercuotono tanto sulla società quanto sull’ambiente. La partita fondamentale per il domani si gioca sul terreno della transizione ecologica, che consiste nel ripensare il nostro sistema economico e gli stili di vita e di consumo alla luce delle sfide poste dai cambiamenti climatici, e che vede impegnata nel suo insieme l’UE con il Green Deal. Su questi temi non vi è più uno spazio realistico per le azioni in solitaria di un Paese. Fa parte di questo processo anche la transizione energetica, cioè il passaggio da un mix energetico centrato sui combustibili fossili a uno basato su altre fonti energetiche che implichino una consistente riduzione delle emissioni di carbonio. Questo passaggio non è più rinviabile e va affrontato. Purtroppo, nella campagna elettorale estiva del 2022, questi temi non sono emersi a sufficienza. Si è parlato del caro bollette, si sono proposte soluzioni tampone, ma ancora una volta non è stata colta l’occasione per avere un confronto serio su una questione decisiva per il futuro.
Le risposte ai problemi posti dalla crisi energetica in corso vanno collocati all’interno di questo scenario di lungo termine. Le proposte avanzate al riguardo dalla Commissione europea e in attesa di essere adottate spaziano su vari fronti: la revisione del sistema in uso per calcolare il prezzo dell’energia elettrica, slegandolo dal prezzo del gas; la previsione di un piano di razionamento per ridurre il consumo di energie nelle fasce orarie in cui si registrano i picchi; l’applicazione di un massimale temporaneo sui ricavi dei produttori di energia elettrica che non fanno ricorso a idrocarburi, perché non sostengono le conseguenze del rialzo dei prezzi del gas (cioè non sperimentano alcun aumento dei costi), mentre possono vendere l’energia prodotta ai prezzi correnti; l’introduzione di un contributo temporaneo di solidarietà sugli utili in eccesso generati dalle attività nei settori del petrolio, del gas, del carbone e della raffinazione.
A una prima lettura, questo elenco può apparire molto tecnico, ma la domanda da porsi è: quale criterio di valore è sottostante alle scelte della Commissione? Il filo che accomuna le misure, alcune temporanee, altre di lunga durata, è la ricerca di meccanismi che assicurino una redistribuzione dei costi di questa crisi energetica tra chi è più forte e chi è più debole. L’introduzione di massimali sui ricavi di alcuni produttori per recuperare risorse da destinare a chi è più in difficoltà va in questa direzione in modo chiaro, così come i contributi di solidarietà che sono stati previsti. Allo stesso modo, la previsione di un piano di razionamento è un modo per riconoscere e rispondere al grave problema di scarsità di gas e di prezzi alti dell’elettricità che ci accomuna tutti attraverso una scelta politica. Invece che lasciare al funzionamento del mercato l’aggiustamento tra domanda e offerta, con la scarsità che spinge i prezzi alle stelle e taglia fuori i più poveri, si cerca di redistribuire gli oneri di questa fase secondo criteri di giustizia più ampi e diversificati, evitando che gravino soprattutto su chi ha meno risorse e proponendo una soluzione basata sulla solidarietà.
Se pensiamo tanto agli scenari a lungo termine quanto alle soluzioni che potrebbero essere adottate nell’immediato, tocchiamo con evidenza il rilievo che ha la politica perché di fronte a una crisi generale possa esservi una risposta improntata alla ricerca dell’equità, per evitare che si approfondiscano le diseguaglianze esistenti o se ne creino altre, affinché non si scarichi il costo su chi è oggi più debole o, in modo cieco, ne siano gravate le generazioni future, penalizzate sia dalla procrastinazione del processo di transizione ecologica, sia dalla scelta di contenere i costi energetici tramite l’erario (le riduzioni fiscali già in essere e ancora di più l’indebitamento dovuto a un eventuale scostamento di bilancio).
Le risposte che daremo a questa crisi energetica ci diranno molto non solo su quale potrà essere nel futuro prossimo il nostro sistema delle fonti energetiche, ma anche su quale energia anima e sostiene la nostra vita in comune in Italia e in Europa.