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Praedicate Evangelium: la Curia romana al servizio della Chiesa in uscita

Fascicolo: maggio 2022

Attesa da tempo, richiesta da più parti all’interno della Chiesa, sollecitata nelle riunioni preparatorie al conclave del 2013, la riforma della Curia romana è stata fin dall’inizio del suo pontificato al centro dell’attenzione di papa Francesco e del Consiglio di Cardinali che ha nominato per aiutarlo. A nove anni di distanza – durante i quali non sono mancate decisioni importanti riguardo l’istituzione di nuovi organismi o la riorganizzazione di alcuni esistenti, ad esempio la creazione del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale o le novità nell’ambito economico e della tutela dei minori – si è giunti a una riforma organica di estremo rilievo dell’insieme degli uffici curiali con la pubblicazione della Costituzione apostolica Praedicate Evangelium (PE) il 19 marzo 2022.

 

Ritorniamo su questo documento, che non ha avuto grande eco a causa dei gravi e concomitanti eventi internazionali, non tanto per presentarlo, quanto per evidenziarne alcuni passaggi particolarmente significativi e così cogliere il volto della Chiesa in questo inizio di Ventunesimo secolo e le scelte compiute affinché esso si incarni anche a livello di strutture amministrative. La riforma si propone infatti di «meglio armonizzare l’esercizio odierno del servizio della Curia col cammino di evangelizzazione, che la Chiesa, soprattutto in questa stagione, sta vivendo» (PE, Preambolo, n. 3). Ponendo l’evangelizzazione come criterio centrale e ispiratore dei vari cambiamenti introdotti, PE include pertanto anche la “macchina vaticana” – e non solo essa, visto il riferimento indubbio che la Curia romana ha per le strutture organizzative ecclesiali nelle sue varie articolazioni – nel ben più ampio e profondo movimento di conversione che la Chiesa sta vivendo in chiave missionaria e sinodale. Una scelta da cui derivano varie conseguenze, soprattutto per quanto riguarda lo stile di presenza e testimonianza della Chiesa nella società.

 

Il lievito della missionarietà

Che l’evangelizzazione sia il principio ispiratore della riforma emerge fin dal titolo del documento, Praedicate Evangelium, tratto da un versetto del Vangelo di Marco (16,15) sul mandato missionario dato da Gesù risorto ai discepoli. Questa impostazione è in profonda consonanza sia con l’immagine della Chiesa in uscita proposta dall’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG) del 2013, che è il testo di riferimento per comprendere il magistero di papa Francesco, sia con il processo sinodale in corso, che ha proprio nella missione l’orizzonte decisivo del camminare insieme.

 

Nella prospettiva di PE, la missionarietà è una dimensione trasversale a tutti gli organi della Curia romana, che trova poi in alcuni di essi un rilievo più esplicito. È così per il Dicastero per l’Evangelizzazione, che significativamente apre la lista degli organismi della Curia ed è presieduto direttamente dal Papa. Frutto dell’unificazione della storica Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e del più recente Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, il nuovo Dicastero attesta l’abbandono di una visione dell’annuncio legata alla distinzione tra territori di antica e nuova cristianità, ormai anacronistica. Il focus è invece duplice: sostenere da un lato lo sforzo dell’evangelizzazione, facendo attenzione al contesto socioeconomico e ambientale dei destinatari, ai processi di inculturazione, al discernimento dei segni dei tempi; accompagnare dall’altro le Chiese nate nei territori di prima evangelizzazione. Allo stesso modo, la creazione del Dicastero per il Servizio della carità, chiamato anche Elemosineria apostolica, va compresa come una diretta espressione della missione della Chiesa, che «testimonia, in parole e opere, la misericordia che ella stessa gratuitamente ha ricevuto» (PE, Preambolo, n. 1), attraverso la sua vicinanza e cura nei confronti di quanti «vivono in situazioni di indigenza, di emarginazione o di povertà» (PE, art. 80).

 

La missionarietà costituisce per gli organi ecclesiali una maniera di comprendere il proprio servizio e il modo in cui realizzarlo. Nel n. 27 di EG, papa Francesco scriveva che «La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita”». Queste parole non valgono solo per le attività pastorali, ma anche per il lavoro svolto dalle strutture organizzative ecclesiali, che partecipano appieno alla missione e da essa sono plasmate per quanto riguarda i criteri che le reggono e le finalità da perseguire. In questo senso, per gli uffici della Curia romana, al pari di ogni altra realtà ecclesiale, l’annuncio evangelico e l’apertura verso l’esterno diventano criteri di verifica continui del modo in cui si concepiscono e operano. È il lievito evangelico capace di rinnovare e vivificare qualunque realtà si lasci toccare e trasformare.

 

La centralità del servizio

La dimensione missionaria illumina un altro aspetto rilevante della riforma, evidenziato già nel sottotitolo del documento: la Curia romana è a servizio della Chiesa nel mondo. Servizio è una parola chiave, tra le più ricorrenti nell’intero documento, perché definisce e qualifica il lavoro che viene svolto dai vari organi della Curia, mettendolo in relazione in modo costitutivo con un ulteriore servizio rivolto all’intera umanità, quello affidato al Papa e ai Vescovi in quanto successori di Pietro e degli apostoli. Su questo punto, PE riprende il magistero conciliare (cfr il decreto Christus Dominus), integrandolo e arricchendolo con le consapevolezze acquisite di recente grazie all’approfondimento della dimensione sinodale della Chiesa.

 

La Curia romana non solo collabora e aiuta il Papa, dal quale riceve l’autorità per svolgere la missione in suo nome e in forza della cosiddetta potestà vicaria, ma è «pure in rapporto organico con il Collegio dei Vescovi e con i singoli Vescovi, e anche con le Conferenze episcopali e le loro Unioni regionali e continentali, e le Strutture gerarchiche orientali» (PE, Preambolo, n. 8). Per dare più concretezza a questo modo di declinare il servizio della Curia, PE fa ricorso a un’immagine spaziale: «La Curia Romana non si colloca tra il Papa e i Vescovi, piuttosto si pone al servizio di entrambi secondo le modalità che sono proprie della natura di ciascuno» (ivi). Inoltre, senza fare confusione tra i rispettivi compiti e responsabilità, la Costituzione apostolica dà rilievo alla sussidiarietà, a una «sana decentralizzazione», basata sulla corresponsabilità per «lasciare alla competenza dei Pastori la facoltà di risolvere nell’esercizio del “loro proprio compito di maestri” e di pastori le questioni che conoscono bene e che non toccano l’unità di dottrina, di disciplina e di comunione della Chiesa» (PE, Preambolo, n. 2).

 

A chiarire in che cosa consista il servizio a cui è chiamata la Curia romana è l’art. 1: adempiere «con spirito evangelico la propria funzione, operando al bene e al servizio della comunione, dell’unità e dell’edificazione della Chiesa universale e attendendo alle istanze del mondo nel quale la Chiesa è chiamata a compiere la sua missione» (PE, art. 1). In questo passaggio, vi è un riferimento esplicito alla missione della Chiesa, ma anche l’indicazione che la Curia con la sua azione concorre alla costruzione di una più profonda comunione nella Chiesa, che è la sorgente del suo «volto di sinodalità» (PE, Preambolo, n. 4). In PE, tutto questo si traduce in una molteplicità di scelte concrete sul piano amministrativo e organizzativo: l’attenzione alla cattolicità, richiedendo che i collaboratori della Curia provengano da culture diverse; la durata quinquennale del mandato di chi vi lavora, affinché la dimensione evangelica del servizio non sia ferita da logiche di “occupazione” di spazi di potere; l’ampio rilievo dato alla collaborazione sia all’interno di un Dicastero e tra Dicasteri diversi sia con le varie Chiese locali, valorizzando – e questa è una grande novità – anche quelle espressioni di comunione costituite dalle conferenze episcopali ai vari livelli.

 

Il servizio che la Curia romana assicura al Papa e all’insieme dei vescovi si gioca pertanto nello stretto legame che tiene insieme missione e comunione, dove una comunione profonda alimenta la missione, ed è essa stessa annuncio evangelico, mentre la missione crea e rafforza la comunione. Con il suo operato, la Curia può favorire il camminare insieme delle diverse realtà ecclesiali, valorizzando la ricchezza di esperienze realizzate in tutto il mondo, rafforzando i reciproci legami di fraternità tra le realtà ecclesiali, mettendo in comune conoscenze e iniziative, prospettive e riflessioni. E lo può fare se si radica in uno spirito di servizio, che rinvia a una ben precisa postura di ascolto reciproco, collaborazione e condivisione della comune finalità missionaria, efficace antidoto alle “malattie curiali”, dal sentirsi indispensabili all’esibizionismo, indicate da papa Francesco negli auguri natalizi della Curia romana del 22 dicembre 2014.

 

Una Chiesa dai tanti volti

Il principio ispiratore dell’evangelizzazione si ritrova in un’altra novità di PE, radicata nell’insegnamento del Concilio Vaticano II e nello stile sinodale: «Il Papa, i Vescovi e gli altri ministri ordinati non sono gli unici evangelizzatori nella Chiesa» (PE, Preambolo, n. 10), ma condividono questo compito con ogni cristiano, che è discepolo missionario in virtù del battesimo (EG, n. 120). Per questo la riforma prevede una piena partecipazione di laiche e laici anche nei compiti di governo e responsabilità dei Dicasteri, tenendo conto della «peculiare competenza, potestà di governo e funzione di quest’ultimi» (PE, Principi e criteri, n. 5). Si tratta di una scelta che apre a un cambiamento significativo, fondata dal punto di vista teologico e di diritto canonico sull’affermazione che la guida di un Dicastero o un altro organismo della Curia, nonché lo svolgimento di altri compiti al loro interno, dipende dalla potestà ricevuta dal Papa ed esercitata nel suo nome, ossia dalla missione canonica, e non dal sacramento dell’ordine1.

 

PE sottolinea che la presenza e partecipazione di laiche e laici è «imprescindibile, perché essi cooperano al bene di tutta la Chiesa»: affermazioni importanti in sé e ancor di più se riferite alla partecipazione da parte delle donne alla vita ecclesiale, che ha già visto qualche primo passo compiersi negli ultimi anni con la nomina di alcune religiose e laiche ai massimi livelli dei Dicasteri. Il documento sottolinea in particolare anche l’insostituibilità del contributo che i laici danno «per la loro vita familiare, per la loro conoscenza delle realtà sociali e per la loro fede che li porta a scoprire i cammini di Dio nel mondo» (PE, Preambolo, n. 10). L’accento posto su questi aspetti non va però interpretato come una frontiera: sarebbe un errore pensare che gli unici ambiti in cui si possa immaginare un loro coinvolgimento siano quelli legati alla famiglia e alla società. Anche in altri uffici curiali, pur non assumendo posizioni di responsabilità per la loro specifica natura (ad esempio nel Dicastero per i Vescovi o per il Clero), laici preparati possono dare un apporto originale e propositivo, a beneficio dell’azione svolta nel suo insieme dalla Curia romana.

 

Questa apertura rende la Chiesa viva e feconda. Grazie alla pluralità e ricchezza di vocazioni e carismi esistenti al suo interno, dei vari itinerari di vita personali o comunitari, ognuno dei quali è custode e testimone di esperienze, visioni e spiritualità distinte, la Chiesa può mettersi in un ascolto più profondo e attento delle domande e dei bisogni espressi dalle donne e dagli uomini nei vari angoli del mondo e può farsi prossima come il buon samaritano. Se si entra appieno in questa prospettiva, in cui è la stessa evangelizzazione che sollecita il contributo di tutti, allora si può evitare il tranello di una lettura “concorrenziale” del rapporto tra ministri ordinati, religiosi e laici a proposito di ruoli e competenze, per approdare a una visione che prenda atto della realtà polifonica della Chiesa, del cammino insieme che si compie per ricercare modi e forme di annuncio del Vangelo nel mondo di oggi.

 

Il pressante invito alla conversione missionaria

Pensare una riforma delle istituzioni curiali avendo l’evangelizzazione come principio di riferimento significa scardinare una visione burocratica del loro operato. Il testo non trascura o svaluta la professionalità e la competenza di quanti vi lavorano (un aspetto a cui è dedicato molto spazio in vari passaggi) e ne sottolinea lo stretto legame con la dimensione spirituale, riferendola tanto ai singoli membri della Curia quanto all’insieme dei suoi uffici. L’orizzonte di riferimento è quello della conversione missionaria, una dinamica di rinnovamento interiore ed esteriore centrale nel pensiero di papa Francesco, che ricorre più volti in testi fondamentali come la Evangelii gaudium o la Laudato si’.

 

Anche in Praedicate Evangelium è perciò questione di conversione: «la riforma non è fine a se stessa, ma un mezzo per dare una forte testimonianza cristiana» (PE, Principi e criteri, n. 12), riscoprendo la consapevolezza e la bellezza di essere discepoli missionari. Se ciò non si verificasse, se la riforma fosse condotta solo su un piano organizzativo, allora sarebbe un processo monco, un maquillage istituzionale per cercare di preservare quanto esiste, tamponando le crepe di senso che si aprono all’interno, resistendo agli urti e alle contestazioni che vengono dall’esterno. Questo vale per la Curia romana, ma interpella ogni realtà cristiana che genuinamente vuole cooperare con l’azione rinnovatrice dello Spirito.

 

 

1 Cfr Ghirlanda G., «La Costituzione apostolica “Praedicate Evangelium” sulla Curia romana», in La Civiltà Cattolica, 4123 (2022) 51-53.

 

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