Politica (II): dopo il Concilio Vaticano II

Fascicolo: gennaio 2013

Alla politica il Concilio Vaticano II ha dedicato pagine importanti, che abbiamo esaminato in un precedente contributo (Mellon 2012). Rivolgiamo ora la nostra attenzione agli sviluppi successivi, da Paolo VI fino alle più recenti encicliche sociali di Benedetto XVI.
Del resto, come afferma proprio una di queste, la Deus caritas est, «la costruzione di un giusto ordinamento sociale e statale, mediante il quale a ciascuno venga dato ciò che gli spetta, è un compito fondamentale che ogni generazione deve nuovamente affrontare» (DC, n. 28), al quale la Chiesa intende contribuire. Per questo, a ogni generazione, è necessario che essa approfondisca la propria riflessione alla luce delle novità che la storia del mondo incessantemente produce.
Anche nell’esaminare il magistero sociale postconciliare in materia di politica, ci limiteremo alla considerazione degli aspetti per così dire fondamentali, quali la ragion d’essere e la legittimità della politica, e di importanti questioni di carattere generale, quali la democrazia, il pluralismo o il dovere dell’impegno politico dei credenti. Volutamente quindi non saranno presi in considerazione gli interventi della Chiesa universale e delle Chiese locali su specifiche tematiche oggetto di dibattito politico, come ad esempio l’immigrazione, la promozione della giustizia sociale, il lavoro, la salvaguardia dell’ambiente, ecc.

Paolo VI: la Octogesima adveniens
Nel 1971, a sei anni dalla chiusura del Concilio, Paolo VI, nella lettera apostolica Octogesima adveniens, esprime alcune posizioni che rispondono in parte alle questioni lasciate aperte dal Concilio e si confrontano con i dibattiti politici del momento. Se il fondamento della politica viene nuovamente presentato, in termini classici, come il perseguimento del bene comune, il testo prende in considerazione la necessità di conferirgli consistenza in un progetto di società in grado di orientare l’azione politica in modo un po’ più preciso. Ora, un tale progetto non può evitare di confrontarsi con le ideologie che dominano i dibattiti del momento: marxismo e liberalismo. Entrambe vengono decisamente criticate (cfr OA, n. 26).
In conformità con una linea costante a partire dalla Rerum novarum, Paolo VI richiama, tra le ragioni che giustificano la necessità della politica, il fatto che spetta a essa controllare l’economia (cfr OA, n. 46). L’attività economica può contribuire al bene comune soltanto se è regolata, controllata, dalla politica. Così, a proposito delle imprese multinazionali, il Papa deplora che la grande abbondanza di mezzi economici di cui dispongono consenta loro di «applicare strategie autonome, in gran parte indipendenti dai poteri politici nazionali, e perciò senza controllo dal punto di vista del bene comune» (OA, n. 44). Dopo aver ricordato che «La politica è una maniera esigente – ma non è la sola – di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri» (OA, n. 46), il testo si conclude con un appello a impegnarsi in questo campo (cfr OA, nn. 48-49). Infine, richiamando quanto affermato nel n. 43 della Gaudium et spes, Paolo VI ribadisce l’esistenza di «una legittima varietà di opzioni possibili. Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi», e invita i cristiani che hanno fatto scelte differenti alla «reciproca comprensione» (OA, n. 50).

Giovanni Paolo II
Giovanni Paolo II prese posizione su molte questioni politiche concrete, dalla resistenza non violenta ai regimi dittatoriali (con particolare riferimento al crollo del comunismo e all’esperienza polacca: cfr CA, n. 23), all’impegno per il rispetto dei diritti umani (a partire dalla sua prima enciclica, Redemptor hominis), fino al grande tema della pace (ad esempio con l’opposizione all’intervento americano in Iraq). Non affronta invece in modo diretto la questione del fondamento della politica, ma ne tratta indirettamente, specialmente nell’analisi del mondo contemporaneo contenuta nell’enciclica Centesimus annus (CA, nn. 12-21), laddove sottolinea la necessità di sottoporre i dinamismi economici all’orientamento etico ad opera di chi ha la responsabilità del bene comune (lo Stato, ma anche i corpi intermedi) e di tenere sotto controllo le tendenze che, lasciate a se stesse, sarebbero disumanizzanti e apportatrici di morte. Inoltre, il regime democratico, che la Gaudium et spes elogiava senza nominarlo (cfr GS, n. 75), viene esplicitamente designato: «La Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno» (CA, n. 46).
Sul dovere dell’impegno politico, Giovanni Paolo II è tra i pontefici che più vi hanno insistito, specialmente nell’esortazione apostolica Christifideles laici (1988), pubblicata dopo il Sinodo del 1987 sui laici: questi non possono «abdicare alla partecipazione alla “politica”, ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune. Come ripetutamente hanno affermato i Padri sinodali, tutti e ciascuno hanno diritto e dovere di partecipare alla politica, sia pure con diversità e complementarietà di forme, livelli, compiti e responsabilità» (n. 42). Osserviamo che Giovanni Paolo II fornisce qui della politica una definizione assai ampia: la «molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune». Il Papa si preoccupa anche di contrastare i diffusi timori per i rischi morali insiti nell’attività politica: «Le accuse di arrivismo, di idolatria del potere, di egoismo e di corruzione che non infrequentemente vengono rivolte ai membri del Governo, del Parlamento, della classe dominante, dei partiti politici; come pure l’opinione non poco diffusa che la politica sia un luogo di necessario pericolo morale, non giustificano minimamente né lo scetticismo né l’assenteismo dei cristiani per la cosa pubblica» (ivi).

Benedetto XVI: politica e giustizia
Nei nn. 26-29 dell’enciclica Deus caritas est, Benedetto XVI, nel contesto della questione del rapporto fra giustizia e carità, fornisce precisazioni piuttosto innovative sui ruoli rispettivi della Chiesa e della politica. Ricorda che sarebbe un errore opporre giustizia e carità e, partendo dall’affermazione che da un lato «Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica», e dall’altro che «L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta» (DC, n. 28), egli sviluppa l’idea che struttura tutta la sua riflessione: la giustizia è il compito proprio della politica e la carità quello della Chiesa.
Questo non comporta un indebolimento dell’insistenza sul dovere dell’impegno politico dei cristiani. Certo, la Deus caritas est evita di riprendere l’espressione “carità politica” che Pio XI forgiò in un famoso discorso agli universitari cattolici nel 1927: la politica – affermò in quella occasione – è «il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore». Benedetto XVI preferisce assumere dal Catechismo della Chiesa cattolica l’espressione “carità sociale” (CCC, n. 1939). Ma la necessità dell’impegno politico dei laici cristiani viene chiaramente riaffermata: «Il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società è invece proprio dei fedeli laici» (DC, n. 29), in collaborazione con gli altri cittadini.
La lotta per la giustizia definisce l’ambito della politica e la Chiesa da un lato non deve sostituirsi allo Stato prendendola direttamente nelle proprie mani, dall’altro non può né deve restarne ai margini. In che modo dunque la Chiesa vi partecipa rispettando «l’autonomia delle realtà temporali» e senza prendere il posto dello Stato? Per Benedetto XVI il suo apporto assume molteplici forme.
Innanzi tutto la Chiesa propone la propria dottrina sociale, accessibile a tutti poiché essa argomenta «a partire dalla ragione e dal diritto naturale»: contribuisce così a rendere meglio percepibili le vere esigenze della giustizia, ossia «garantire a ciascuno […] la sua parte dei beni comuni » (DC, n. 26). Inoltre la dottrina sociale è un mezzo per «contribuire alla purificazione della ragione» (DC, n. 28): infatti, quando si tratta di dare una risposta concreta alla domanda di giustizia, la ragione pratica corre sempre il rischio dell’«accecamento etico, derivante dal prevalere dell’interesse e del potere» (ivi). È qui che «politica e fede si toccano» (ivi): la fede, in quanto vero incontro con il Dio vivente, può liberare la ragione dal proprio accecamento e aiutare l’attore politico a restare lucido su tutto ciò che, in ogni programma mirante a realizzare la giustizia, potrebbe nascondere di fatto il perseguimento di interessi di parte o la ricerca del potere.
Lo sguardo della fede aiuta a mantenere viva la consapevolezza dei limiti della politica e protegge contro la tentazione di crederla capace di «fare ora quello che il governo del mondo da parte di Dio, a quanto pare, non consegue: la soluzione universale di ogni problema» (DC, n. 36). La Chiesa, infine, forma le coscienze dei laici cristiani, risvegliando le loro «forze spirituali» che l’impegno per la giustizia sempre richiede per essere capaci di agire anche in contrasto «con situazioni di interesse personale» (DC, n. 28).
Nel 2009, nell’enciclica Caritas in veritate, Benedetto XVI riprende a suo modo l’espressione “carità politica”, precisando ciò che intende con la formula, veramente nuova, di “via istituzionale della carità”: «Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d’incidenza nella polis. È questa la via istituzionale – possiamo anche dire politica – della carità, non meno qualificata e incisiva di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della polis» (CV, n. 7).

Conclusione
In questo tempo, in cui si parla molto di crisi della politica o, più specificamente, di crisi della democrazia, almeno in Europa, dove aumentano l’astensionismo elettorale e il voto di protesta e sono ricorrenti le critiche alla classe politica, non si può non sottolineare la tonalità nettamente positiva dei testi della Chiesa su questo tema. Alla politica viene riconosciuta una serie di nobili missioni: perseguire il bene comune, orientare le energie, fare rispettare la dignità dell’uomo, controllare l’economia, assicurare in modo pacifico l’avvicendamento dei governanti, proteggere le libertà, ridurre le ingiustizie, ecc. In tutto questo essa costituisce un servizio reso alla società, una “via istituzionale della carità”, secondo la recente formula di Benedetto XVI.
Dai diversi testi qui esaminati si può ricavare una serie di elementi che rappresentano i capisaldi di una sorta di dottrina sulla politica: la promozione del bene comune come principio, la democrazia pluralista come mezzo, il dovere etico dell’impegno politico come attuazione concreta. Ma alcuni punti richiederebbero ulteriori sviluppi o approfondimenti, in particolare per meglio entrare nel dibattito con la filosofia politica contemporanea, o per tener conto delle domande che i cristiani si pongono di fronte alle scelte politiche che devono compiere. Se ne possono richiamare tre: la questione della coercizione, specialmente nella sua componente di violenza (mantenimento dell’ordine pubblico e sistema penale), quella dei limiti del pluralismo e quella dell’atteggiamento da assumere in caso di conflitto tra convinzioni etiche e necessità del compromesso politico. In questi campi, come altrove, la dottrina sociale della Chiesa è in costruzione.

RISORSE
CA = GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica Centesimus annus, 1991.
CCC = Catechismo della Chiesa cattolica, LEV, Città del Vaticano 1992.
ChL = GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica Christifideles laici, 1988.
CV = BENEDETTO XVI, lettera enciclica Caritas in veritate, 2009.
DC = BENEDETTO XVI, lettera enciclica Deus caritas est, 2005.
GS = CONCILIO VATICANO II, costituzione apostolica Gaudium et spes, 1965.
OA = PAOLO VI, esortazione apostolica Octogesima adveniens, 1971.
PIO XI, «Discorso agli universitari cattolici», in L’Osservatore Romano, 23 dicembre 1927.
RH = GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica Redemptor hominis, 1979.
RN = LEONE XIII, lettera enciclica Rerum novarum, 1891.
MELLON C. (2012), «Politica (I): la riflessione del Concilio Vaticano II», in Aggiornamenti Sociali, 12, 881-884.
SORGE B., Introduzione alla dottrina sociale della Chiesa, Queriniana, Brescia 20112.

La rubrica «Cristiani e cittadini» è realizzata in collaborazione con il CERAS (Centre de recherche et action sociales di Parigi) e la sua rivista Projet. I testi originali sono disponibili sul sito <www.ceras-projet.org/dsc>. La traduzione italiana è a cura di Rocco Baione SJ. Per i testi del magistero si fa riferimento alla versione disponibile su <www.vatican.va>.

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