La riflessione della tradizione cristiana sulla politica è tanto
antica quanto sterminata. Nell’affrontare il tema occorre perciò
innanzi tutto delimitare il campo. In questo contributo ci
focalizzeremo sulla riflessione della dottrina sociale della Chiesa
sulla politica in senso stretto – i suoi fondamenti, la sua finalità e
le condizioni della sua legittimità – e su alcune questioni
fondamentali di carattere generale che a questo tema sono collegate,
come la democrazia, il pluralismo, il dovere di impegnarsi in politica.
Volutamente non saranno considerati le prese di posizione e gli
interventi della Chiesa – del Vaticano o delle conferenze episcopali
nazionali – su specifiche questioni politiche, per quanto di grande
importanza, quali la laicità, la giustizia sociale, l’immigrazione, la
tutela dei diritti dell’uomo, la salvaguardia dell’ambiente, ecc.
Inoltre, le pagine che seguono sono dedicate esclusivamente alla
trattazione della politica da parte del Concilio Vaticano II,
rimandando a un successivo contributo l’analisi degli sviluppi del
discorso nei cinquant’anni successivi.
Competenza politica della Chiesa
La prima questione da affrontare, che puntualmente si ripropone
ogni volta che il Magistero interviene su questioni controverse,
riguarda l’ambito di competenza della Chiesa: sconfina dalla propria
missione quando si esprime su situazioni, avvenimenti, evoluzioni
sociali che toccano da vicino il campo politico? È una domanda che molti
si pongono, anche all’interno della compagine ecclesiale. La risposta,
nella sostanza, è data dal Concilio Vaticano II nella Costituzione
pastorale Gaudium et spes (1965), in particolare dove si
afferma: «sempre e dovunque, e con vera libertà, è suo [della Chiesa]
diritto predicare la fede e insegnare la propria dottrina sociale,
esercitare senza ostacoli la propria missione tra gli uomini e dare il
proprio giudizio morale, anche su cose che riguardano l’ordine
politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della
persona e dalla salvezza delle anime. E farà questo utilizzando tutti e
soli quei mezzi che sono conformi al Vangelo e in armonia col bene di
tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni» (n. 76).
Secondo i Padri conciliari, dunque, la difesa dei «diritti fondamentali
della persona» fa parte della missione della Chiesa allo stesso titolo
della «salvezza delle anime». Questa difesa – è importante precisarlo –
non si colloca direttamente sul terreno politico, ma su quello del
«giudizio morale»: sta qui la sola giustificazione dei pronunciamenti
della Chiesa sulle «cose che riguardano l’ordine politico».
Necessità della comunità politica
Sulla politica in quanto tale il Concilio Vaticano II propone una
esposizione organica della dottrina cattolica classica. La si trova nel
cap. IV della seconda parte della Gaudium et spes, intitolato «La vita della comunità politica», specialmente al n. 74 («Natura e fine della comunità politica»).
Secondo il Concilio, la necessità di costituire una «comunità
politica», più ampia e più strutturata della «comunità civile», deriva
dal fatto che quest’ultima è di per se stessa incapace di realizzare il
bene comune. È proprio in vista del bene comune che «gli uomini, le
famiglie e i diversi gruppi che formano la comunità civile […]
avvertono la necessità di una comunità più ampia, nella quale tutti
rechino quotidianamente il contributo delle proprie capacità» (n. 74).
«La comunità politica esiste dunque in funzione di quel bene comune,
nel quale essa trova significato e piena giustificazione e che
costituisce la base originaria del suo diritto all’esistenza» (ivi).
Inoltre, al fine di evitare che questa comunità si disgreghi a
motivo della diversità di opinioni, «è necessaria un’autorità
[pubblica] capace di dirigere le energie di tutti i cittadini verso il
bene comune, non in forma meccanica o dispotica, ma prima di tutto come
forza morale che si appoggia sulla libertà e sul senso di
responsabilità» (ivi). Ad essa i cittadini devono obbedienza, a
condizione che il suo esercizio si collochi all’interno dell’ambito
dell’ordine morale e senza abusi di autorità.
Oltre al richiamo alla teologia politica tradizionale sul piano dei principi, la Gaudium et spes
segna alcuni progressi su due punti importanti, scarsamente affrontati
fino a quel momento da parte dell’insegnamento sociale della Chiesa:
la democrazia e il pluralismo.
Democrazia
Osteggiata dalla Chiesa lungo tutto il XIX secolo, la democrazia
viene in seguito tollerata e poi menzionata come un regime politico
accettabile. Pio XII, nel Radiomessaggio natalizio del 1944,
segnava già importanti sviluppi sulla legittimità della democrazia e
sui benefici che ci si poteva attendere da essa. Con il Concilio
Vaticano II essa è presentata come il solo regime pienamente conforme
alla visione cristiana dell’uomo e della società. Il termine
“democrazia” non compare, forse per non mettere in difficoltà gli
episcopati di Paesi all’epoca non democratici come Spagna e Portogallo,
ma le formulazioni del Concilio designano senza la minima ambiguità
questo tipo di regime politico: «È pienamente conforme alla natura
umana che si trovino strutture giuridico-politiche che sempre meglio
offrano a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione, la
possibilità effettiva di partecipare liberamente e attivamente sia alla
elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politica, sia al
governo degli affari pubblici, sia alla determinazione del campo
d’azione e dei limiti dei differenti organismi, sia alla elezione dei
governanti» (GS, n. 75).
Constatando il rifiuto sempre più generalizzato delle forme di
regime politico che «impediscono la libertà civile o religiosa» (GS, n.
73), il Concilio giudica positive molte delle caratteristiche proprie
di ogni regime democratico:
il suffragio universale: «Si ricordino perciò tutti i cittadini del
diritto, che è anche dovere, di usare del proprio libero voto per la
promozione del bene comune» (GS, n. 75);
la necessità di instaurare un ordine politico-giuridico capace di
garantire e tutelare «nella vita pubblica i diritti della persona: ad
esempio, il diritto di liberamente riunirsi, associarsi, esprimere le
proprie opinioni e professare la religione in privato e in pubblico»
(GS, n. 73);
la salvaguardia dei diritti delle minoranze e dell’effettivo
godimento dei diritti personali da parte di tutti i cittadini (cfr ivi);
l’esistenza dei partiti politici, il cui dovere è «promuovere ciò
che, a loro parere, è richiesto dal bene comune», senza mai anteporvi
il proprio interesse (GS, n. 75).
Pluralismo politico dei cristiani
Si tratta di un tema piuttosto nuovo, poiché le autorità
ecclesiastiche non ne avevano fino ad allora quasi affatto parlato; si
poteva dunque supporre che questo pluralismo fosse considerato più come
un fatto da constatare – o addirittura da deplorare – che come un
valore.
Nella Gaudium et spes questo plu-ralismo appare pienamente
legittimato; parlando della responsabilità dei laici cristiani, che
«agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati»
(GS, n. 43), i Padri conciliari si esprimono sulla diversità delle
loro opinioni e dei loro impegni nei termini seguenti: «Per lo più sarà
la stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe
circostanze, a una determinata soluzione. Tuttavia, altri fedeli
altrettanto sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla
medesima questione, come succede abbastanza spesso e legittimamente» (ivi). Quest’ultimo avverbio afferma in modo inequivocabile la legittimità del pluralismo.
Logicamente, il testo mette in guardia contro ogni tentativo di
imporre una opzione particolare in nome della fede: «Ché se le
soluzioni proposte da un lato o dall’altro, anche oltre le intenzioni
delle parti, vengono facilmente da molti collegate con il messaggio
evangelico, in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di
rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità
della Chiesa» (ivi).
Oggi queste affermazioni godono di un consenso assai ampio nel
popolo cristiano, tanto che molti restano stupiti dall’apprendere che è
stato necessario attendere la metà degli anni ’60 perché diventassero
la posizione ufficiale della Chiesa. Tuttavia esse lasciano aperte
molte questioni sensibili, a partire da quella dei limiti del
pluralismo, poiché non tutto è compatibile con la fede.
Piste di sviluppo
Nella sua concisione, questo capitolo della Gaudium et spes tocca alcuni importanti aspetti della realtà politica che saranno oggetto di riflessioni ulteriori.
Un nodo problematico di particolare rilevanza è quello del potere,
della sua natura e della sua gestione, cioè di quella parte
dell’attività politica che ha a che fare con la coercizione e l’uso
della forza. È indubbio che le riflessioni del n. 74 della Gaudium et spes
possano sembrare persino ireniche. In particolare, ipotizzare che
tutte le forze operanti nell’ambito pubblico mirino sinceramente al
bene comune e divergano solo sui modi di realizzarlo, rende assai
difficile mettere a fuoco in tutta la sua portata la questione
propriamente politica del potere, anche nella sua componente di
coercizione.
Ugualmente giustificare la necessità di una autorità politica con
la diversità delle opinioni senza menzionare quella degli interessi,
rischia di sottovalutare la potenza di questi ultimi nell’agone
politico concreto e di rendere più difficile percepire gli ostacoli sul
cammino della mediazione politica e della necessità di arrivare anche a
imporre alcune soluzioni. Manca quindi una riflessione etica sulla
legittimità del ricorso all’uso della forza.
Anche il lessico sembra lasciar trasparire una certa fatica ad
affrontare il tema del potere: il termine compare infatti solo
nell’espressione “pubblici poteri”, mentre il testo ricorre normalmente
al più classico “autorità”. La questione della violenza e della sua
legittimità in politica viene affrontata solo nell’importante cap. V,
intitolato «La promozione della pace e la comunità delle nazioni» e
dedicato alle questioni internazionali, a partire da quella della
guerra. Questo rischia di indurre a pensare che la questione non si
ponga anche a livello della politica interna.
Per quanto riguarda i “fini” della politica, si apre lo spazio per
una declinazione più concreta e operativa della nozione tradizionale di
bene comune. È il Concilio stesso ad aprire il cammino in questa
direzione, attraverso l’arco che unisce le due definizioni del bene
comune fornite dal n. 26 della Gaudium et spes. La prima, che
possiamo definire formale, ricalca quella ripresa al n. 74: «l’insieme
di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi
quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più
pienamente e più speditamente»; la seconda invece ne esprime la
concretezza: «Occorre perciò che sia reso accessibile all’uomo tutto
ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana, come il
vitto, il vestito, l’abitazione, il diritto a scegliersi liberamente lo
stato di vita e a fondare una famiglia, il diritto all’educazione, al
lavoro, alla reputazione, al rispetto, alla necessaria informazione,
alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza,
alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in
campo religioso».
Si tratta di un elenco aperto e potenzialmente infinito: l’azione
dei credenti e gli sviluppi del Magistero successivi al Concilio si
incaricheranno di esplorarne tutta la ricchezza e tutta la potenza di
liberazione dell’uomo e di costruzione della giustizia.
La rubrica
«Cristiani e cittadini» è realizzata in collaborazione con il CERAS
(Centre de Recherche et Action Sociales di Parigi) e la sua rivista
Projet. I testi originali sono disponibili sul sito
www.ceras-projet.org/dsc. La traduzione italiana è a cura di Rocco Baione SJ. Per i testi del magistero si fa riferimento alla versione disponibile su
www.vatican.va.