Per un dialogo autentico sugli OGM

Fascicolo: aprile 2014
Tra i vari temi particolarmente controversi nel mondo contemporaneo le biotecnologie e l’introduzione di organismi geneticamente modificati (OGM) in agricoltura occupano un posto di rilievo: sostenitori e oppositori si affrontano spesso in una polemica muro contro muro che genera confusione nell’opinione pubblica. A metà ottobre 2013, a Des Moines (Iowa, USA), il card. Turkson si è trovato di fronte a esponenti delle due parti: il 17 ha infatti accolto l’invito di prendere parte alla cerimonia di consegna del World Food Prize, appuntamento annuale dell’industria biotech, mentre il giorno precedente ha incontrato i dirigenti della campagna Occupy the World Food Prize, che al potere di quella industria intende opporsi. A entrambi i gruppi ha rivolto un identico messaggio: la Chiesa non ha ancora formulato una posizione ufficiale definitiva in merito agli OGM, ma ne ha una sul modo di affrontare la questione. Solo un dialogo autentico e onesto, a cui possano partecipare con pari dignità tutte le parti in causa, può condurre a un consenso in vista della promozione del bene comune dell’umanità. Tale dialogo non può prescindere dall’ancoraggio a una serie di principi etici, di cui la dottrina sociale della Chiesa offre una possibile formulazione. Su tale base il card. Turkson ha anche offerto la disponibilità a facilitare questo processo di dialogo. Pubblichiamo qui una traduzione adattata delle parole da lui pronunciate in entrambe le occasioni.

La Chiesa è vicina a chiunque cerchi in buona fede di affrontare la sfida della fame nel mondo: lo ha affermato papa Francesco1 a un incontro della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), il 20 giugno 2013. Non potrebbe essere altrimenti, visto che, circa cinquant’anni fa, il Concilio Vaticano II ha aggiornato con cura la formulazione della missione della Chiesa cattolica nel mondo moderno, esprimendo l’urgenza che essa, con tutte le sue risorse, accompagni l’umanità nel suo cammino lungo la storia. Ha fatto proprie «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono»2.

Il dicastero vaticano a cui fu affidato il compito di studiare e promuovere il modo in cui la Chiesa accompagna l’umanità è il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, di cui sono presidente. Il Vaticano II esprime lo spirito del nostro lavoro – e della mia presenza qui oggi – con queste bellissime parole: «il Concilio, testimoniando e proponendo la fede di tutto intero il popolo di Dio riunito dal Cristo, non potrebbe dare una dimostrazione più eloquente di solidarietà, di rispetto e di amore verso l’intera famiglia umana, dentro la quale è inserito, che instaurando con questa un dialogo sui vari problemi sopra accennati»3.

Condividere l’impegno per il dialogo è un buon punto di partenza per uno scambio di opinioni sulle preoccupazioni che nutriamo e sulle posizioni che assumiamo, anche quando registriamo una differenza di vedute. Tuttavia, poiché la posta in gioco è alta, facilmente si perde la calma e punti di vista in profonda divergenza rendono il dialogo stridente. Quando questo accade, come il Concilio aveva previsto, dobbiamo avere il coraggio di spingere il dialogo a una maggiore profondità: «La Chiesa […] riconosce sinceramente che tutti gli uomini, credenti e non credenti, devono contribuire alla giusta costruzione di questo mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: ciò, sicuramente, non può avvenire senza un leale e prudente dialogo»4.

Quando si giustappongono World Food Prize e Occupy the World Food Prize5, a prima vista le posizioni possono apparire e suonare come diametralmente opposte. L’urgenza della fame e dell’insicurezza alimentare certamente esige che si contribuisca «alla giusta costruzione di questo mondo» e quindi richiede il dialogo. Anche per questa ragione sono qui: per prendere posizione a favore del dialogo e promuoverlo. La Chiesa sostiene l’ascolto, il dialogo, la pazienza, il rispetto per l’altro, la sincerità e anche la disponibilità a correggere il proprio punto di vista; incoraggia, orienta e arricchisce il confronto e il dibattito6; si sforza di dare orientamenti a quanti sono tecnicamente e politicamente responsabili di affrontare i problemi concreti.


La concezione cristiana della terra e della natura

La terra, come ci dicono le Scritture, fu creata come casa della famiglia umana. La terra è bella, buona e perfettamente adatta allo scopo di sostenere la vita umana. Successivamente, però, il profeta Isaia ci dice che «È in lutto, languisce la terra» (Isaia 24,4) per i peccati degli uomini che la abitano. Di fronte a questa misera condizione, san Paolo annuncerà la speranza della redenzione della terra, insieme a quella dell’uomo a cui fu affidata in custodia, per mezzo di Cristo (cfr Romani 8,21).

Ricevuta la terra in custodia, la famiglia umana ha la missione di amare la creazione di Dio, di accompagnarla verso il suo compimento definitivo e di renderla feconda: una creazione feconda di cui possano fruire le generazioni presenti e future e che soddisfa tutti i bisogni dell’umanità. Ecco perché già papa Leone XIII affermava: «Il necessario al mantenimento e al perfezionamento della vita umana la terra ce lo somministra largamente, ma ce lo somministra a questa condizione, che l’uomo la coltivi e le sia largo di provvide cure»7. Allo stesso modo, il Compendio della dottrina sociale della Chiesa osserva: «La visione cristiana della creazione comporta un giudizio positivo sulla liceità degli interventi dell’uomo sulla natura, ivi inclusi anche gli altri esseri viventi, e, allo stesso tempo, un forte richiamo al senso di responsabilità»8.

Nel pensiero cattolico, poi, la natura non è né sacra né divina, né da temere né da riverire e lasciare intatta. Piuttosto, è un dono offerto dal Creatore perché la comunità umana ci viva e lo usi, affidato all’intelligenza e alla responsabilità morale di uomini e donne. Perciò è legittimo che con il corretto atteggiamento gli esseri umani intervengano sulla natura e la modifichino. Secondo le parole che il Compendio applica alla biotecnologia: «Per questo egli [l’uomo] non compie un atto illecito quando, rispettando l’ordine, la bellezza e l’utilità dei singoli esseri viventi e della loro funzione nell’ecosistema, interviene modificando alcune loro caratteristiche e proprietà»9.


La Chiesa, la dottrina sociale e la ricerca biotecnologica

Non esistono a priori limiti al concetto di “intervenire modificando”, né sono precluse azioni su quella che può essere considerata come la parte più intima degli organismi viventi, il genoma. Ad esempio, Giovanni Paolo II, in un discorso ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze, espresse sostegno alla ricerca genetica, dicendo: «È inoltre da sperare, sempre in ordine ai vostri lavori, che le nuove tecniche di modificazione del genoma, in casi particolari di malattie genetiche o cromosomiche, costituiscano motivo di speranza per una grande quantità di persone colpite da quelle infermità»10. Ha proseguito con il medesimo tenore per quanto riguarda la produzione di cibo, affermando: «Desidero rammentare da ultimo, insieme con i pochi casi che ho citato di benefici provenienti dalla sperimentazione biologica, gli importanti vantaggi che provengono dall’aumento di prodotti alimentari e dalla formazione di nuove specie vegetali a vantaggio di tutti e specialmente delle popolazioni più bisognose»11.

Ancora, rivolgendosi alla 24a Assemblea generale della FAO, Giovanni Paolo II osservò quanto le avversità climatiche influiscano sulla produzione alimentare nei Paesi poveri e affermò: «Le scoperte della scienza devono essere utilizzate per assicurare un’alta produttività del territorio in modo che sia garantito alle popolazioni cibo e sostentamento senza distruggere la natura»12. Infine, in occasione di una settimana di studio della Pontificia Accademia delle Scienze e dell’Accademia reale svedese delle Scienze sul tema «Le foreste tropicali e la conservazione delle specie», egli fece riferimento al fatto che «Altre piante hanno valore come sorgenti di cibo o come mezzo per migliorare geneticamente le specie di piante commestibili»13.

Alla luce di quanto appena affermato, abbiamo motivo di gioire ricordando i risultati raggiunti da Norman Borlaug: nel 1970 gli fu assegnato il premio Nobel per la pace come riconoscimento per una vita di lavoro dedicata a nutrire gli affamati. Lottò incessantemente perché la produzione di frumento in Messico beneficiasse dei risultati della ricerca e di valide tecnologie. Il suo lavoro spaziava dai laboratori di ricerca ai campi dei contadini e il suo frutto è stato chiamato Rivoluzione verde: la produzione di sementi con stabile e ampia resistenza alle malattie, capaci di adattarsi a una varietà di condizioni di crescita e con un elevato potenziale di resa. Infine, concepì e realizzò l’idea del World Food Prize per incoraggiare la prosecuzione del lavoro in vista della sicurezza alimentare e della vittoria sulla fame.

Ma è anche vero che i tempi sono cambiati: i risultati di Norman Borlaug furono accolti con acceso entusiasmo e la Rivoluzione verde con grande ottimismo. Perché oggi ci sono invece tanta insoddisfazione e sfiducia, tanto scetticismo e forte opposizione? Finora non avevo mai ricevuto tanta posta come in vista della mia presenza alla consegna del World Food Prize: un po’ per spingermi a cambiare idea e rifiutare l’invito, un po’ per riaffermare il valore degli OGM, molta per raccontare la distruzione e le sofferenze collegate all’agricoltura industrializzata globale che promuove l’utilizzo degli OGM. Che cosa non funziona, visto che Giovanni Paolo II si esprimeva in termini positivi rispetto a questo campo di ricerca?

Per continuare il dialogo faccio ritorno alle sue parole. Nel momento in cui incoraggiava la ricerca genetica ad aumentare la produzione di cibo, infatti, indicava anche con chiarezza i parametri entro i quali svolgerla: «Terminando queste mie considerazioni che vi dimostrano quanto io approvi e appoggi le vostre ricerche» – disse alla Pontificia Accademia delle Scienze –, «riaffermo che esse tutte debbono subordinarsi ai principi e valori morali che rispettano e realizzano nella sua pienezza la dignità dell’uomo»14.

È chiaro, allora, che nella mente di Giovanni Paolo II le varie operazioni che possono essere chiamate “manipolazione genetica” devono essere oggetto di un vero discernimento morale. «A dire il vero» – affermò in un’altra occasione –, «l’espressione “manipolazione genetica” resta ambigua». Da una parte infatti offre «applicazioni benefiche nei campi della biologia animale e vegetale utili per la produzione alimentare», dall’altra nasconde «tentativi avventurosi»15. In questo caso, può essere arbitraria e ingiusta, soprattutto quando perde di vista il benessere integrale della persona umana. Per questo «è più che mai necessario superare la separazione tra scienza ed etica, ritrovare la loro profonda unità»16.

Di conseguenza, l’auspicato dialogo dovrà andare molto in profondità, in modo da includere la motivazione e la visione che guidano la ricerca biologica e genetica e le biotecnologie; in altre parole, non solo la cosiddetta ricerca “pura”, ma anche la visione e la motivazione che ne guidano la traduzione in politiche, scambi, colture agricole e pratiche commerciali nelle situazioni tanto varie delle diverse parti del mondo. E perché il dialogo possa procedere in buona fede, è necessario che tutte le parti interessate vi siano rappresentate per davvero e partecipino in modo significativo.


Il problema dell’insicurezza alimentare

La fame nel mondo è una ingiustizia molto grave, segno di una profonda mancanza di rispetto per la dignità umana. Giovanni Paolo II la definì la «prima e fondamentale forma di indigenza»17. Insufficienza alimentare cronica, fame e malnutrizione rappresentano un fallimento globale dell’umanità che, a nostra vergogna, si trascina da decenni. È una sciagura e un indicatore di lungo periodo di un sistema che non funziona correttamente. Alcuni individuano nella crisi economica degli ultimi anni la ragione per cui il mondo non può fare di meglio, ma è solo una scusa: l’insicurezza alimentare persiste da decenni, in periodi di prosperità così come in quelli più difficili.

Ma il problema non è, ovviamente, la scarsità di cibo a livello globale. Oggi il mondo produce cibo più che sufficiente a sfamare i suoi 7 miliardi di abitanti, ma nel mondo un miliardo di persone soffre la fame (circa 1 su 7), negli Stati Uniti 50 milioni (circa 1 su 6). Molto cibo va perduto dopo il raccolto o, semplicemente, viene gettato via; un recentissimo documento si apre con queste parole: «la FAO stima che ogni anno circa un terzo del cibo prodotto per il consumo umano nel mondo vada perso o sprecato»18. Altre stime sono ancora più elevate. A partire dagli anni ’80 i pontefici, sulla base delle statistiche della FAO, hanno sottolineato che la disponibilità di cibo pro capite sul pianeta è in costante aumento. Quindi è chiaro che, in gran parte, la fame è un problema di distribuzione o di accesso al cibo: o non raggiunge alcune persone, oppure queste non hanno i mezzi per comprarlo. Ad altri, invece, esso arriva con grande abbondanza, anche da molto lontano, tanto che possono sprecarlo. In altri casi, infine, si registrano carenze nei sistemi di stoccaggio dei raccolti o nella catena di distribuzione dei prodotti alimentari.

Mi permetto di proporre una piccola parabola. Un uomo è ansioso di migliorare la forza delle sue braccia. Un chirurgo gli propone di trapiantare nelle braccia i muscoli delle gambe: «In questo modo le sue braccia diventeranno grandi e forti molto in fretta». «Ma che cosa succederà alle mie gambe?», chiede l’uomo. «Diventeranno molto più deboli» – risponde il chirurgo– «e forse dovremo amputarle». Terrorizzato, l’uomo rifiuta. In alcune circostanze, la promessa della sicurezza alimentare semplicemente attraverso la crescita della produttività agricola è simile. Si promuovono le nuove tecnologie asserendo che aumenteranno il cibo a disposizione di ciascuno, ma questo è solo un pezzo della storia. In realtà, le innovazioni sono concepite e realizzate a beneficio di un numero circoscritto di persone già molto abbienti. Man mano che si procede, molti piccoli produttori saranno inevitabilmente esclusi e/o spostati dalle loro terre. Saranno “amputati” dalle loro occupazioni tradizionali e dal loro stile di vita. Lo sradicamento di singoli, famiglie e comunità non è soltanto una dolorosa separazione dalla terra, ma investe il loro intero ambiente esistenziale e spirituale, minacciando e talvolta sconvolgendo le poche certezze della loro vita. Non dovrebbe sorprenderci il fatto che alcune popolazioni rifiutino certe innovazioni, non perché siano cattive o percepite come tali, ma perché il modo in cui vengono diffuse comporta costi insostenibili per coloro che in teoria dovrebbero beneficiarne. Non sono loro che non capiscono; è chi si rifiuta di guardare il quadro dell’insicurezza alimentare nel suo complesso – le persone, la loro dignità e la loro vita, oltre alla produzione e alla distribuzione del cibo – a non cogliere il nocciolo della questione, proprio come il chirurgo che ha in mente solo le braccia e non la persona intera.

Da dove la Chiesa ricava la propria conoscenza sulla fame nel mondo, l’agricoltura sostenibile o gli OGM? Prima di tutto, essa è in contatto con l’esperienza diretta del suo popolo. Un altro importante canale di conoscenza sono i membri della Chiesa che operano come scienziati o professionisti nelle università, nella pubblica amministrazione o nell’industria. Un terzo canale è il lavoro di diversi organismi della Curia romana: la Pontificia Accademia per la Vita, la Pontificia Accademia delle Scienze, la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, la Congregazione per la Dottrina della Fede, la Missione della Santa Sede presso la FAO e altri organismi internazionali, la Segreteria di Stato e il nostro Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Quest’ultimo nel 2004 ha pubblicato il già citato Compendio della dottrina sociale della Chiesa. Nove dei suoi 583 paragrafi (nn. 472-480) sono dedicati alle biotecnologie: non alla scienza o all’industria biotech, ma ai criteri etici che le persone di buona volontà dovrebbero applicare allo sviluppo e all’utilizzo di queste tecnologie. Raccomando vivamente questo testo a tutti coloro che sono coinvolti nel lavoro sugli OGM.


Un orizzonte di riferimento etico

A chi cerca di combattere la fame, soprattutto nel campo delle biotecnologie applicate al settore agricolo, rivolgo un appello: procedete sempre lungo un percorso di discernimento etico.

È comune trovare scienziati e attivisti che sostengono con forza una certa posizione e altri quella opposta, e che attaccano o addirittura ridicolizzano le opinioni contrarie alle proprie, magari non nei convegni o sulle riviste scientifiche, ma certamente nei media, lasciando l’opinione pubblica profondamente confusa. Esiste però un diverso modo di procedere, che si impernia sul dialogo, sullo scambio paziente di opinioni e obiezioni. Quando è in gioco qualcosa di così importante per l’umanità come il problema della fame, e qualcosa di così controverso come gli OGM, cerchiamo di incoraggiare la ricerca sulla base di linee guida etiche solide (e non evanescenti), e, quando ne condividiamo i risultati, facciamolo in un clima di ascolto e di dialogo.

A partire dalla Gaudium et spes sappiamo che la Chiesa accompagna la scienza, proprio perché la scienza non può procedere senza etica, e non «un’etica qualsiasi, bensì […] un’etica amica della persona»19, per usare le parole che Benedetto XVI applica all’economia. Tutto ciò che ha a che fare con bios, che significa “vita”, deve essere maneggiato con rispetto, cioè in modo eticamente corretto, e probabilmente questo vale in modo speciale per le biotecnologie. È azzardato – e in ultima analisi assurdo, anzi peccaminoso – impiegare le biotecnologie senza la guida di un’etica profondamente responsabile. Ad esempio, quasi cinquant’anni fa Paolo VI chiese prudenza, responsabilità e altruismo in questo campo:

«Necessaria all’accrescimento economico e al progresso umano, l’introduzione dell’industria è insieme segno e fattore di sviluppo. Mediante l’applicazione tenace della sua intelligenza e del suo lavoro, l’uomo strappa a poco a poco i suoi segreti alla natura, favorendo un miglior uso delle sue ricchezze. Mentre imprime una disciplina alle sue abitudini, egli sviluppa del pari in se stesso il gusto della ricerca e dell’invenzione, l’accettazione del rischio calcolato, l’audacia nell’intraprendere, l’iniziativa generosa, il senso della responsabilità20».

Giovanni Paolo II era a favore della ricerca nel settore delle biotecnologie per sfamare il mondo. Inoltre, quando visitò Des Moines nel 1979, «in mezzo ai campi ubertosi e generosi nel periodo del raccolto»21, sfidò l’agricoltura americana e mondiale a preservare la fertilità del suolo e la fecondità della natura, e a usare il raccolto per nutrire gli affamati di tutto il mondo22.

L’Instrumentum laboris in preparazione alla II Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa nel 2009 identificava i veri problemi dell’agricoltura africana: «la mancanza di terra arabile, di acqua ed energia, di accesso al credito, di formazione agricola, di mercati locali, infrastrutture stradali, ecc.»23. Questi non devono essere trascurati o elusi da coloro che promuovono il ricorso a sementi geneticamente modificate come la soluzione definitiva.

Nell’importante enciclica Caritas in veritate (2009), Benedetto XVI ha inserito la sicurezza alimentare tra i problemi globali urgenti che richiedono «un grado superiore di ordinamento internazionale»24, affermando che:

«Il problema dell’insicurezza alimentare va affrontato in una prospettiva di lungo periodo, eliminando le cause strutturali che lo provocano e promuovendo lo sviluppo agricolo dei Paesi più poveri mediante investimenti in infrastrutture rurali, in sistemi di irrigazione, in trasporti, in organizzazione dei mercati, in formazione e diffusione di tecniche agricole appropriate, capaci cioè di utilizzare al meglio le risorse umane, naturali e socioeconomiche maggiormente accessibili a livello locale, in modo da garantire una loro sostenibilità anche nel lungo periodo. Tutto ciò va realizzato coinvolgendo le comunità locali nelle scelte e nelle decisioni relative all’uso della terra coltivabile25».

Dopo aver enumerato le molte condizioni che invocano il miglioramento, ha proseguito salutando con favore le opportunità «che vengono aperte da un corretto impiego delle tecniche di produzione agricola tradizionali e di quelle innovative, supposto che esse siano state dopo adeguata verifica riconosciute come appropriate, rispettose dell’ambiente e attente alle popolazioni più svantaggiate»26.

Per Benedetto XVI, è chiaro che il costante aumento della produzione come strategia principale – o addirittura come unica opzione – per ridurre la fame nel mondo è indice di ristrettezza di vedute e può condurre a soluzioni errate, che potrebbero in realtà mettere a repentaglio la sicurezza alimentare a lungo termine.


Per orientare l’azione

Ho fatto riferimento ai pontefici più recenti: Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e ora papa Francesco. Dopo aver preso in considerazione le indicazioni generali che hanno fornito, intendo precisare alcuni orientamenti etici più specifici che possano accompagnare il lavoro nel campo della scienza e della tecnologia, compresa la biotecnologia, così come il commercio e gli scambi internazionali. Non si tratta ancora di una posizione ufficiale della Chiesa in materia di OGM, ma piuttosto di un aiuto che la Chiesa offre sotto forma di un orientamento ispirato alla sua dottrina sociale.

A. Spirito di coraggio: affrontare la realtà della fame con decisione e con vera carità e apertura di cuore. Nelle parole di papa Francesco:

«si può e si deve fare qualcosa di più per dare vigore all’azione internazionale a favore dei poveri, animati non solo di buona volontà o, quel che è peggio, da promesse che sovente non sono state mantenute. […] Occorre superare il disinteresse e l’impulso a guardare da un’altra parte, ma con urgenza prestare attenzione alle esigenze immediate, con la fiducia che nel futuro possano maturare i risultati dell’azione di oggi. Non possiamo sognare programmi asettici, oggi non servono27».

Continuare a studiare le cause della fame nel mondo, nel modo più ampio e profondo possibile, cercando la più grande varietà di soluzioni possibili, dal momento che abbiamo bisogno di «piena conoscenza delle situazioni, adeguata preparazione, e idee capaci di includere ogni persona e ogni comunità»28.

B. Orientamento etico di ogni attività umana: alcuni vorrebbero sostenere che la ricerca è eticamente neutrale, e solo la sua applicazione o attuazione può essere buona o cattiva. Ma ogni attività che meriti di essere definita “umana” richiede un orientamento etico se vuole essere al servizio del bene comune. Quindi, un ricercatore dovrebbe sempre lavorare per soddisfare «un’esigenza di giustizia e di equità e di rispetto verso ogni essere umano»29 e non solo in vista del profitto. Gli stessi criteri si applicano a coloro che, nelle fasi successive, sono responsabili della produzione industriale, del commercio internazionale, della distribuzione commerciale, e così via. Nessuno dovrebbe “lavarsene le mani” in nessuna fase del processo.

C. Prudenza: i costi e le conseguenze dell’introduzione di OGM potrebbero emergere in pienezza solo con il passare del tempo, nel lungo periodo. Perciò applichiamo il principio di precauzione o prudenza, assumendo in anticipo ogni ragionevole cautela per scongiurare il rischio di danneggiare la salute umana o l’ambiente. Tale prudenza – mi permetto di aggiungere – è un elemento necessario di ogni sforzo di promuovere il bene comune attraverso l’azione pubblica, cioè governativa.

D. Trasparenza: adottare i più alti standard di comunicazione con il pubblico, nonché norme di etichettatura che garantiscano il diritto di produttori e consumatori all’informazione. Questo principio di trasparenza è indispensabile perché ciascuno abbia un’autentica possibilità di scegliere.

E. Accesso: brevetti e diritti di proprietà intellettuale sono legittimi, ma è necessario monitorarli e regolarli. Occorre trovare modalità eque per condividere i frutti della ricerca e assicurare l’accesso dei Paesi in via di sviluppo tanto alle risorse naturali quanto alle innovazioni. Altrimenti intere popolazioni possono essere discriminate, sfruttate e private di qualcosa al cui godimento avrebbero diritto di partecipare30.

F. Biodiversità: la biodiversità è patrimonio comune dell’umanità. Ha bisogno di protezione, anzi di tutela prioritaria. Lo sviluppo di nuove varietà non dovrebbe richiedere o condurre alla scomparsa di specie tradizionali.

G. Sussidiarietà: un principio molto sano della dottrina sociale della Chiesa è la sussidiarietà, che promuove l’esercizio della responsabilità a ogni livello e si oppone a una impostazione verticistica (dall’alto verso il basso) nei casi in cui non è appropriata. Spesso è meglio sostenere gli sforzi locali che fornire o addirittura imporre soluzioni dall’esterno. E, stante la complessità della globalizzazione, cresce anche il bisogno di un coordinamento efficace delle iniziative a tutti i livelli.

H. Commercio: analizzare, condannare e combattere «la speculazione finanziaria, che in questo momento condiziona il prezzo degli alimenti, trattandoli come ogni altra merce, dimenticando la loro destinazione primaria»; abbandonare ogni forma di «miopi interessi economici e logiche di potere di pochi che escludono la maggioranza della popolazione mondiale e generano povertà ed emarginazione con effetti disgregatori sulla società»31; educare i giovani a fare lo stesso; adottare criteri di giustizia e di solidarietà per governare le condizioni commerciali ed economiche, evitando qualsiasi monopolio.

I. Infine, il dialogo: profonde differenze di opinione su agricoltura e biotecnologie – come quelle che registriamo tra World Food Prize e Occupy the World Food Prize – mostrano quanto sono importanti questi problemi. La loro importanza non giustifica la durezza polemica, la manipolazione o la prepotenza. A ogni livello, dal globale al locale, è necessario chiedersi quale dovrebbe essere il contributo dei cittadini alla ricerca, alla definizione delle politiche agricole, commerciali e di sviluppo, alla determinazione delle priorità nell’allocazione delle risorse finanziarie, ecc. «Ogni programma proposto ci deve coinvolgere tutti», insiste papa Francesco. «Andare avanti in modo costruttivo e fecondo nei diversi ruoli e responsabilità significa capacità di analizzare, comprendere e donare, abbandonando qualsiasi tentazione di potere, di possedere sempre di più o di cercare il proprio interesse invece di servire la famiglia umana e, in essa, specialmente i meno abbienti, a coloro che ancora soffrono fame e malnutrizione»32.


Un appello al dialogo

Mi fermo qui. Ci possono essere altri criteri desiderabili o addirittura essenziali per un dialogo serio, realistico, onesto e coraggioso su questo argomento. Se è così, mettiamoli sul tavolo. Perché le diverse parti possano partecipare in buona fede al dialogo, tutti devono attenersi a tali criteri. Il mondo ha bisogno che tutti, gli eredi del vescovo Maurice Dingman33 e gli eredi del dottor Norman Borlaug, siedano al tavolo e risolvano i problemi, e non che abbandonino il dialogo e lascino i poveri del mondo a mani vuote.

Le sfide della sicurezza alimentare del mondo non saranno superate con un referendum sulla scienza. La ricerca scientifica è buona. La Chiesa non è contro la scienza34. Così non è nostra intenzione promuovere un referendum sulla tecnologia o sulla biotecnologia, né un referendum sul mondo degli affari. La Chiesa non è contro le imprese o il mercato. Infatti, sebbene abbia avanzato dubbi e critiche su alcuni aspetti del sistema finanziario globale (scarsa attenzione al bene comune, mancanza di rispetto per i diritti dei più deboli, tolleranza per monopoli e cartelli), il Pontificio Consiglio di cui sono presidente ha patrocinato una importante pubblicazione35 per stimolare i leader d’impresa a realizzare la loro vocazione a servizio del progetto di Dio per l’umanità.

La Chiesa vede il dibattito sugli OGM come una scelta complessa tra una molteplicità di mezzi: i mezzi offerti dai progressi della biotecnologia e dalle innovazioni in agricoltura, così come quelli umani, naturali e socioeconomici che possono essere sviluppati a livello locale e regionale. Tra gli obiettivi che facciamo nostri ci sono la sicurezza alimentare per tutti, la qualità della vita delle popolazioni rurali, la biodiversità e la sostenibilità a lungo termine. La medaglia del cibo per il mondo ha molte facce. Per questo è nostra intenzione promuovere un dialogo costruttivo tra le parti interessate, negli Stati Uniti o altrove. Tutte le parti della controversia fanno ricorso alle stesse espressioni chiave, come “vincere la fame” o “agricoltura sostenibile”: così solo l’ascolto reciproco e rispettoso e il sincero desiderio di imparare dagli altri, anzi da tutte le parti interessate, ci consentiranno di trovare soluzioni davvero valide e autenticamente durature e sostenibili. Se mi consentite, faccio qui un riferimento a quella esperienza che in Africa indichiamo con il termine palaver: l’esplorazione integrale ed estremamente paziente di tutti gli aspetti di un problema fino a quando si raggiunge il consenso. Significa parlare e parlare, ascoltare e ascoltare, esplorare accuratamente ogni aspetto di una questione complessa, con reciproco rispetto e senza ostilità. Prima o poi, emergerà una conclusione davvero consensuale. Ma perché si trovi il miglior modo di procedere, è indispensabile che tutte le parti interessate siano rappresentate nella dinamica del palaver, una dinamica di ascolto umile e rispettoso, di discorsi onesti, di riconciliazione tra differenze profonde, una dinamica di vera collaborazione. A nome della Chiesa, promotrice e maestra di dialogo, offro con umiltà la disponibilità a facilitare una dinamica di questo genere, di cui il mondo ha tanto bisogno.

I testi originali inglesi degli interventi del card. Turkson a Des Moines sono disponibili in <www.iustitiaetpax.va/content/giustiziaepace/it/archivio/news/2013/world-food-prize-2013--des-moines-16-18-october--2013-.html>. Traduzione di Paolo Foglizzo, rivista dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; neretti a cura della Redazione.

1 PAPA FRANCESCO, Discorso ai partecipanti alla 38ª sessione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), 20 giugno 2013, n. 4.
2 CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale Gaudium et spes (GS), 1965, n. 1, in <www.vatican.va> (a cui si rinvia per tutte le citazioni da documenti della Chiesa).
3 GS, n. 3.
4 GS, n. 20; cfr n. 40.
5 A partire dal 1986 il World Food Prize viene assegnato ogni anno come riconoscimento per aver contribuito in modo particolarmente significativo al miglioramento della qualità, della quantità o della disponibilità di cibo nel mondo. Voluto dall’agronomo americano Norman E. Borlaug (1914-2009), è attualmente gestito dalla World Food Prize Foundation, con sede a Des Moines (Iowa, USA), i cui programmi beneficiano del sostegno economico di filantropi e imprese del settore agroalimentare e biotecnologico. La consegna del Premio ha luogo durante il Borlaug Dialogue International Symposium, che riunisce scienziati ed esperti di questioni alimentari di livello mondiale, alla cui edizione 2013 ha preso parte il card. Turkson. Nel 2013 hanno ricevuto il premio Marc Van Montagu (fondatore e presidente dell’Institute of Plant Biotechnology Outreach dell’Università di Gand, Belgio), Mary-Dell Chilton (fondatrice e Distinguished Science Fellow di Syngenta Biotechnology, USA) e Robert T. Fraley (vicepresidente esecutivo e direttore tecnologico di Monsanto, USA); cfr <www.worldfoodprize.org>. Occupy the World Food Prize è una campagna che punta a convincere la pubblica opinione che combattere la fame richiede di smantellare un sistema agroalimentare dominato dalle grandi multinazionali in favore di un’agricoltura più sostenibile, utilizzando l’appuntamento annuale del World Food Prize come cassa di risonanza. Il nome è costruito sul modello di quello del movimento di protesta contro il potere della finanza globale Occupy Wall Street; cfr <http://occupytheworldfoodprize.com>.
6 Cfr PAPA FRANCESCO, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace nel 50° anniversario della «Pacem in terris», 3 ottobre 2013.
7 LEONE XIII, lettera enciclica Rerum novarum, 1891, n. 7.
8 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 473.
9 Ivi.
10 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze, 23 ottobre 1982, n. 5.
11 Ivi, n. 6.
12 GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione ai partecipanti della XXIV Conferenza della FAO, 13 novembre 1987, n. 5.
13 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti della Settimana di studio organizzata dalla Pontificia Accademia delle Scienze, 18 maggio 1990, n. 2.
14
GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze, 23 ottobre 1982, n. 6.
15
GIOVANNI PAOLO II, Discorso al termine della XXXV Assemblea generale dell’Associazione medica mondiale, 29 ottobre 1983, n. 6.
16
Ivi. 17 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata mondiale dell’alimentazione 2001, 16 ottobre 2001.
18
FAO, Food wastage footprint. Impacts on natural resources. Summary Report, 2013, in <www.fao.org>.
19 BENEDETTO XVI, lettera enciclica Caritas in veritate (CV), 2009, n. 45.
20
PAOLO VI, lettera enciclica Populorum progressio, 1965, n. 25.
21
GIOVANNI PAOLO II, Omelia della Santa Messa presso le Living History Farms, 4 ottobre 1979.
22 Cfr ivi, n. 2. 23 SINODO DEI VESCOVI – II ASSEMBLEA SPECIALE PER L’AFRICA, La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace, Instrumentum laboris, 2009, n. 58.
24
CV, n. 67.
25 Ivi, n. 27.
26
Ivi.
27
PAPA FRANCESCO, Discorso ai partecipanti alla 38ª sessione, cit., n. 2 s.
28
Ivi, n. 4.
29
Ivi, n. 1.
30 Cfr Statement of the Holy See at the World Trade Organization Council on Trade-Related Aspects of  Intellectual Property Rights, Ginevra, 8 giugno 2010, nn. 5-7, in <www.holyseemissiongeneva.org>.
31
PAPA FRANCESCO, Discorso ai partecipanti alla 38ª sessione, cit., n. 2. 32 Ivi, n. 3.
33 Maurice John Dingman (1914-1992) fu vescovo di Des Moines dal 1968 al 1986. Nel suo ministero si dedicò con particolare cura ai problemi del mondo rurale, dell’ecumenismo, della pace e del disarmo nucleare. Nel 1986 ricevette il Pacem in Terris Peace and Freedom Award, come riconoscimento per una vita dedicata alla promozione della giustizia e della pace.
34
Al contrario: dove sarebbe la genetica senza il contributo del frate agostiniano Gregor Mendel? O la conoscenza farmaceutica senza gli erboristi di tanti monasteri?
35
PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, La vocazione dei leader d’impresa. Una riflessione, 2013; pubblicato nel 2011 in inglese e ora disponibile in circa una dozzina di lingue, il manuale è disponibile su <www.iustitiaetpax.va/content/giustiziaepace/it/archivio/pubblicazioni/vocation-of-the-business-leader--a-reflection-.html>.
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