Pacem in terris

Fascicolo: febbraio 2013

La Pacem in terris, seconda grande enciclica di Giovanni XXIII dopo la Mater et Magistra, fu pubblicata l’11 aprile 1963: ci apprestiamo dunque a celebrarne il cinquantesimo anniversario. Si colloca nella lunga serie di documenti sulla pace scritti dai Papi del XX secolo. Ricordiamo la Lettera ai capi dei popoli belligeranti (1° agosto 1917) e l’enciclica Pacem Dei (23 maggio 1920) di Benedetto XV, l’enciclica Ubi arcano (23 dicembre 1922) di Pio XI e i numerosi radiomessaggi natalizi di Pio XII, in particolare quello del 1941. La tradizione è quindi lunga, tanto quanto la serie dei conflitti che hanno lacerato il mondo nel secolo scorso.

 

Un mondo minacciato dai conflitti

L’enciclica sulla pace di Giovanni XXIII cade in una nuova fase delle relazioni internazionali, dominata dalla minaccia nucleare. La Pacem in terris viene pubblicata dopo un lungo periodo di guerra fredda, durante il quale le due grandi potenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, accumulano un arsenale nucleare sufficiente a distruggere numerose città. All’inizio degli anni ’60 si erano verificate gravi crisi: nel 1961 l’erezione del muro di Berlino e, soprattutto, nel 1962 la crisi di Cuba, quando l’installazione di missili sovietici aveva portato il mondo a un passo da un conflitto nucleare.

Il concetto stesso di guerra cambia: qualsiasi conflitto diventa troppo pericoloso se comporta l’impiego di armi atomiche. Si eviterà perciò che i grandi imperi entrino direttamente in combattimento. La guerra non è più un mezzo per far prevalere la giustizia considerato accettabile dall’opinione pubblica. D’altra parte, l’interdipendenza fra le nazioni è talmente stretta che diventa molto facile esercitare pressioni usando mezzi economici e finanziari; questo permette di gestire un conflitto senza il ricorso sistematico alle armi. Emergono altri tipi di guerra: c’è la guerra alimentare, quella monetaria, quella dei migranti, ecc.

Tali cambiamenti si producono in un contesto di sviluppo unico nella storia del mondo: la crescita dei Paesi industrializzati sembra illimitata, il petrolio scorre a fiumi, l’edilizia procede a ritmo serrato, si sviluppano beni strumentali e beni di consumo durevoli (autostrade, aerei a reazione, ma anche automobili, telefoni, elettrodomestici). Si intravedono nel futuro solo abbondanza e opulenza per un progresso pressoché senza fine. Quasi tutti i Paesi in precedenza colonizzati, in particolare in Africa, sono diventati indipendenti e si lanciano nell’avventura dello sviluppo, sperando di assicurare alle proprie popolazioni una vita dignitosa nell’autonomia culturale ed economica. Da questo coro ottimistico si levano già alcune voci per dire che «l’Africa nera è partita male» fin dall’indipendenza o che l’India deve ancora compiere la propria rivoluzione agraria per evitare le grandi carestie. In tale contesto, Giovanni XXIII dà un contributo magistrale all’analisi del mondo di allora, dei suoi conflitti, delle sue speranze.

 

La novità dell’ispirazione

Nella Pacem in terris si riconoscono due principali fonti di ispirazione: la prima è l’insegnamento tradizionale della Chiesa, mentre la seconda è più nuova, originale e personale. Giovanni XXIII si basa costantemente sull’insegnamento della Chiesa in materia sociale, specialmente sui testi del suo predecessore Pio XII, ma anche su quelli di Leone XIII: insiste sui diritti dell’uomo, sul bene comune, sul rispetto delle minoranze nazionali, sulla comunicazione e il rispetto tra le nazioni, sui rifugiati politici, il disarmo e le istituzioni internazionali. Ma è nettamente riscontrabile l’ispirazione personale di Giovanni XXIII stesso. La sua traccia è presente nell’indirizzo di apertura, che si rivolge a tutti gli uomini, credenti e non credenti, a tutti gli uomini di buona volontà. Il tono dell’enciclica è quindi dato fin dall’esordio: le sue pagine non sono riservate agli iniziati al cristianesimo, ma aperte a tutti. Il Papa esprime nel corso dell’intera enciclica la propria simpatia e l’accoglienza della Chiesa cattolica nei confronti di tutte le aspirazioni del mondo contemporaneo che possono essere decifrate attraverso i «segni dei tempi». Non polemizza, non condanna. Quando parla della guerra, non costruisce affatto una casistica per determinare se la si può giustificare nel caso in cui le circostanze obbligassero a farla. Preferisce invece un diverso punto di vista: partire dalla pace, «anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi» (n. 1).

L’impronta personale di Giovanni XXIII è particolarmente evidente nell’ultimo capitolo (V) dedicato ai «Richiami pastorali», specialmente dove si affrontano i rapporti fra cattolici e non cattolici nell’azione sociale (nn. 82-85), proseguendo la riflessione della Mater et magistra sulla possibile cooperazione tra cristiani e non cristiani. Il punto culminante, probabilmente l’apice di tutta l’enciclica, rileva una crescente distinzione tra le ideologie, «false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo», e i «movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche» (n. 84). La dottrina resta immutabile, mentre quei movimenti non possono non essere influenzati dai cambiamenti delle condizioni concrete di vita. Può quindi accadere che realizzazioni pratiche comuni possano presentare vantaggi reali. Con ciò Giovanni XXIII lascia intendere che il movimento storico dei popoli nei Paesi socialisti o comunisti può benissimo distinguersi dall’ideologia marxista condannabile nei suoi principi. Queste poche righe aprono uno spazio completamente nuovo alle relazioni con i Paesi dell’Est e con le società che stanno oltre la cortina di ferro o quella di bambù. Non si condanna più una società in quanto vi viene insegnata una certa dottrina; bisogna invece osservare concretamente i movimenti sociali che in essa si sviluppano e cercare tutti i mezzi possibili di contatto e di azione.

Proseguendo questa linea di riflessione, che si applica innanzi tutto ai rapporti tra le nazioni, Giovanni XXIII prevede che «un avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece lo sia o lo possa divenire domani» (n. 85). La pace è anche un problema interno alle nazioni, in particolare la pace con le ideologie e i partiti politici marxisti. La pace non è un pio voto, facile da attuare, ma una difficile costruzione da realizzare fin negli ambiti nazionali più nevralgici.

 

La pace attraverso il rispetto dell’ordine stabilito da Dio

Le argomentazioni di Giovanni XXIII partono dal fatto che Dio è il fondamento di ogni ordine morale. Su questo poggiano i diritti della persona (cap. I), che sono la base su cui è costruito l’edificio del documento: «Rapporti tra gli esseri umani e i poteri pubblici all’interno delle singole comunità politiche» (cap. II), «Rapporti fra le comunità politiche» (cap. III), «Rapporti degli esseri umani e delle comunità politiche con la comunità mondiale» (cap. IV). All’interno di questo schema relativamente semplice, papa Roncalli afferma che la pace ha molteplici dimensioni, dalle relazioni individuali fino a quelle internazionali. La pace non è perciò soltanto uno stato dei rapporti fra Paesi: concerne tutti i livelli dell’esistenza sociale, fino alla dimensione intima di ogni persona. Ciò lo porterà a parlare di un «disarmo integrale» che investe «anche gli spiriti» (n. 61).

Giovanni XXIII dedica relativamente poca attenzione a che cosa sia la pace e a quali frutti produca. Insiste soprattutto sulle condizioni che la rendono possibile: un preciso ordine nell’universo e nella società, i cui quattro principi fondamentali sono verità, giustizia, amore e libertà. La pace non è soltanto assenza di guerra, ma è un insieme di relazioni positive tra gli individui e tra le comunità. Detto questo, il Papa non propone un ordine morale fisso ed eterno: delinea le condizioni, le basi morali della vita individuale e collettiva, e le propone a ogni uomo di buona volontà.

L’enciclica, costruzione vigorosa che parte dall’essenziale, esamina anche moltei altre questioni: lo sviluppo, la collaborazione con i non cristiani, il lavoro, i poteri pubblici, l’immigrazione. Qui ci soffermiamo su tre temi specifici:

1) I diritti dell’uomo. Il testo riprende  i punti più importanti della Dichiarazione universale dell’ONU del 1948, ma,  come fa tradizionalmente la Chiesa, insiste molto sui doveri che incombono su ciascuno. L’argomentazione si basa essenzialmente sulla legge naturale, nella preoccupazione di riferirsi a una piattaforma che possa essere da tutti riconosciuta.

2) Il disarmo. Si analizza bene il meccanismo della corsa agli armamenti atomici (n. 59): quando una parte migliora il proprio equipaggiamento, la parte opposta vuole ristabilire l’equilibrio. Il Papa fa presente che «giustizia, saggezza e umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti» (n. 60). Fonda l’argomentazione sulla ragione, ma anche sulla convenienza: che cosa potrà portare la guerra se non distruzione? Esorta a un esame approfondito di un equilibrio internazionale autenticamente umano. Sono posizioni classiche, in quanto invitano a ridurre «simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti» (ivi), ma sono completate da un energico appello alla «ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti» (n. 63), a una ricerca positiva della pace senza la quale ogni disarmo è impossibile.

3) Le istituzioni internazionali. Nella tradizione che prende avvio dal teologo spagnolo Francisco de Vitoria (XVI secolo), poi precisata dal gesuita Taparelli d’Azeglio (XIX secolo) e da Pio XII, Giovanni XXIII si basa sulla necessità di un ordine morale che tuteli il bene comune dell’umanità per richiedere la costituzione di un’autorità pubblica avente competenza universale. Sottolinea ciò che gli sembra positivo nell’ONU, auspicandone l’adeguamento alla propria missione di garante dei diritti della persona umana. È un punto particolarmente importante: l’ONU usciva in quell’epoca dalla paralisi in cui l’aveva bloccata la guerra fredda; la sua opera in favore della distensione e dello sviluppo poteva lasciar sperare in un grande avvenire per tale istituzione.

 

Un ascolto eccezionale

La Pacem in terris è uno dei documenti in cui la Chiesa coglie le preoccupazioni di tutta l’umanità, in questo caso quella essenziale per la pace. La Chiesa diventa quella «esperta in umanità» di cui parlerà Paolo VI; si pone quale difensore di ogni uomo nelle grandi battaglie dell’epoca: indipendenza del Terzo Mondo, programmi di sviluppo, promozione della pace, diritti umani. Essa si connette così con le grandi correnti dell’epoca moderna, senza paure né ritrosie, riconoscendone tutti i valori. La Gaudium et spes svilupperà ulteriormente questa posizione.

Si comprende dunque come questa enciclica abbia ottenuto grande attenzione. L’elevatezza della visione e l’apertura a tutti gli uomini l’hanno diffusa ben oltre la comunità cattolica. Il linguaggio semplice e moderno, il tono fiducioso nell’avvenire ma esigente per tutti, rispondevano alle aspettative di molti alla fine della guerra fredda. Prima della Populorum progressio, fu certamente l’enciclica che ebbe la maggiore risonanza e diffusione. Rese più facile il dialogo con i non credenti, in particolare con i movimenti marxisti, riconoscendone gli elementi positivi e degni di approvazione. Fu un notevole cambio di atteggiamento, specialmente per il riconoscimento dell’azione dei gruppi concreti di persone, siano essi di destra o di sinistra, in Paesi liberali o socialisti. Da qui la potenziale apertura del Vaticano verso l’Est, sviluppata poi da Paolo VI e ancor più da Giovanni Paolo II.

Se le dichiarazioni di Giovanni XXIII sui diritti dell’uomo e sul disarmo sono ancora molto attuali, i passi sull’ONU e sull’autorità mondiale sono lungi dall’essere stati pienamente attuati. Sono stati recentemente ripresi da Benedetto XVI nella Caritas in veritate (cfr n. 67), e dalla successiva Nota sulla riforma del sistema finanziario internazionale del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Al di là delle generazioni che passano, questa enciclica rimane un testo basilare, un invito mai abbastanza accolto a operare per la pace, «anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi» (n. 1).


RISORSE

Benedetto XV, Lettera ai capi dei popoli belligeranti, 1° agosto 1917.

CV = Benedetto XVI, enciclica Caritas in veritate, 2009.

GS = Concilio Vaticano II, costituzione pastorale Gaudium et spes, 1965.

MM = Giovanni XXIII, enciclica Mater et magistra, 1961.

Pacem Dei = Benedetto XV, enciclica Pacem, Dei munus pulcherrimum, 1920.

Pio XII, Radiomessaggio natalizio, 24 dicembre 1941.

Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, 2011.

PP = Paolo VI, enciclica Populorum progressio, 1967.

PT = Giovanni XXII, enciclica Pacem in terris, 1963.

Ubi arcano = Pio XI, enciclica Ubi arcano Dei consilio, 1920.

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