Nuova evangelizzazione


A partire dal pontificato di Giovanni Paolo II, l’espressione “nuova evangelizzazione” (NE) comincia a connotare la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo. Per la prima volta essa appare nell’omelia pronunciata da papa Wojtyła a Nowa Huta il 9 giugno 1979 durante il suo primo viaggio in Polonia: «abbiamo ricevuto un segno, che cioè alla soglia del nuovo millennio – in questi nuovi tempi, in queste nuove condizioni di vita – torna ad essere annunziato il Vangelo. È iniziata una nuova evangelizzazione, quasi si trattasse di un secondo annuncio, anche se in realtà è sempre lo stesso» (Giovanni Paolo II 1979). Spesso in seguito Giovanni Paolo II è tornato a utilizzare l’espressione, esplicitandone il significato, e Benedetto XVI la ha ripresa con grande forza, fino a istituire, nel 2010, un apposito dicastero vaticano, il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Anche la XIII Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi, convocata a Roma dal 7 al 28 ottobre 2012, avrà come tema «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana».

Il significato di “nuova”
L’espressione NE richiede di essere ben compresa, sgomberando il campo da definizioni o interpretazioni improprie. Fu lo stesso Giovanni Paolo II a precisarne il significato nell’enciclica Redemptoris missio, distinguendo, all’interno dell’unica missione della Chiesa, tre differenti tipi di attività missionaria: la missione in senso proprio o ad gentes (presso coloro che ancora non conoscono Cristo e il suo Vangelo); la cura pastorale dei fedeli nelle comunità cristiane; la «nuova evangelizzazione » nei Paesi di antica cristianità che hanno perduto il senso vivo della fede. La possibilità di un approccio banale all’aggettivo “nuova” che accompagna il termine “evangelizzazione” sta sempre dietro l’angolo. L’alternativa alla tentazione di ridurre tutto a un restyling di parole, strumenti e strategie di comunicazione può essere superata solo riempiendo l’aggettivo “nuova” di contenuti più consistenti. Il primo e più importante fa riferimento alla novità dell’annunzio cristiano: l’evangelizzazione è “nuova” nella misura in cui ad essere annunziata è una notizia inedita e sorprendente rispetto al modo di pensare e di agire comune. Spesso nella Sacra Scrittura ricorre l’aggettivo “nuovo/a” unito a termini diversi («cuore nuovo ... spirito nuovo»; «vino nuovo ... otri nuovi»; «insegnamento nuovo»; «comando nuovo»; «pasta nuova»; «creazione nuova»; «vita nuova»; «nuovi cieli e una terra nuova»): basta recuperare il senso che a questa “novità” riconoscono gli esegeti e attribuirlo alla evangelizzazione per non correre il rischio di banalizzare l’espressione. Se chi evangelizza non è consapevole di tutto questo, il ricorso all’aggettivo “nuova” ha lo stesso valore di una trovata pubblicitaria, come quelle che campeggiano su prodotti ormai poco appetibili o su locali in evidente stato di sofferenza: con la speranza di attirare nuovi clienti o di recuperare quelli perduti, si pensa di risolvere tutto con il cartello «Nuova gestione». L’annunzio evangelico è tanto “nuovo” quanto “definitivo”, perché si tratta di una notizia piena e carica di significato per la vita dell’uomo. Questa novità/ pienezza di significato della proposta cristiana deve essere comunicata in e a un mondo che cambia: perciò all’evangelizzatore, oltre alla consapevolezza della “novità” del messaggio, è chiesto di conoscere il destinatario dell’annunzio.

Da una visione “geografica” a una “teologica” di missione
Senza voler qui proporre un’analisi dei cambiamenti che caratterizzano il nostro mondo, è chiaro che chi intenda farsi operatore di una NE non può ignorare tutto ciò che rende oggi meno agevole l’azione evangelizzatrice della Chiesa, fino a costituire talvolta un vero e proprio impedimento. Uno sguardo mediamente attento a quello che avviene intorno a noi non fa fatica a rilevare l’esistenza di difficoltà ad intra e di situazioni ad extra che rischiano di ridurre il carattere di “novità” dell’evangelizzazione. È inutile illudersi: se e quando la Chiesa presenta in maniera evidente i segni del limite e del peccato, si fa fatica a far percepire il carattere di “novità” intrinseca al contenuto della sua azione evangelizzatrice. Quando le scelte della comunità credente sono o appaiono appiattite su parametri e logiche mondane, è difficile che si percepisca la “novità” della sua proposta. Ma bisogna anche mettere in conto le condizioni ad extra che, in alcuni momenti e specialmente se unite alle difficoltà ad intra, costituiscono un argine difficilmente superabile per l’annunzio cristiano, soprattutto quando esso viene proposto fuori dai “circuiti amici” e, per i suoi esigenti contenuti, suona come condanna di stili di vita contrari al Vangelo. Il n. 37 della Redemptoris missio elenca una serie di contesti socioculturali in cui questo risulta particolarmente evidente: ambiti territoriali, mondi e fenomeni sociali nuovi, aree culturali o areopaghi moderni che devono essere evangelizzati. Si tratta di situazioni caratterizzate da una rapida e profonda trasformazione: il fenomeno così appariscente dell’urbanizzazione, la situazione dei giovani, le massicce migrazioni di popoli di differente religione, la condizione dei rifugiati, le sacche di miseria disumana nelle grandi periferie urbane in certe regioni del globo, lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, le nuove frontiere della ricerca scientifica. Tutto questo – e tanti altri fenomeni analoghi – ha trasformato in particolare il volto delle grandi città, dove stanno nascendo nuovi costumi e nuovi modelli di vita, nuove forme di cultura e di comunicazione che non possono essere ignorati da chi è chiamato a evangelizzare. Consapevole di questo quadro di riferimento, Giovanni Paolo II a più riprese ha indicato alla Chiesa la strada di una «evangelizzazione nuova nel suo ardore, nei suoi metodi, nella sua espressione» (Giovanni Paolo II 1983). In altri termini, il quadro di riferimento costituito dal mondo contemporaneo e dalla vita della Chiesa necessita, secondo Giovanni Paolo II, di evangelizzatori che siano uomini con una elevata qualità di vita cristiana, dal momento che l’ardore apostolico, lungi dall’identificarsi col fanatismo o con operazioni di facciata, si nutre prima di tutto di profonda sintonia con Cristo Gesù. Escluso che con l’espressione NE si vogliano esprimere giudizi negativi su persone e sull’azione evangelizzatrice precedenti, l’invito ad essa si configura come un appello a mettere in campo una risposta adeguata alle esigenze e alle condizioni in cui oggi la Chiesa si trova a vivere la propria missione, pena l’insignificanza del suo annuncio. Questo comporta il passaggio da una visione pressoché “geografica” di missione a una più “teologica”, nel senso che nel contesto della NE la missione conduce dove si trova l’uomo bisognoso di salvezza e che invoca un senso nuovo per la propria vita. In conseguenza muta anche il significato dell’espressione “terra di missione”: tali sono infatti anche tutti i gruppi umani e gli ambienti socioculturali non evangelizzati all’interno di un territorio tradizionalmente cristiano o che, pur essendo stati evangelizzati, vivono lontani dalle esigenze del Vangelo. Dove questi passaggi sono avvenuti consapevolmente, si è fatto strada un rapporto nuovo tra le antiche e le giovani Chiese: oltre ad aprirsi un reciproco scambio, le giovani Chiese sono divenute sempre più missionarie verso se stesse e capaci di maturazione e di legittima autonomia, in un intenso e coraggioso sforzo di rievangelizzazione di se stesse. Dal punto di vista più squisitamente sociologico, stiamo assistendo inoltre a una maturazione del concetto di evangelizzazione che si estende a nuovi soggetti e a nuovi ambiti di annuncio, comportando naturalmente l’impiego di nuovi metodi.

L’imperativo della NE
Solo chi ignora il cammino della Chiesa, anche solo a partire dal Concilio Vaticano II, può restare sorpreso di fronte al fatto che Giovanni Paolo II abbia assegnato alla Chiesa la NE come compito irrinunciabile. Basta ricordare quanto si legge al n. 6 del decreto conciliare sull’attività missionaria, Ad gentes, e ai nn. 52 e 56 dell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi. Senza fare ricorso all’espressione NE, entrambi i testi richiamano l’esigenza di proporre in maniera credibile il Vangelo a persone che, pur battezzate, di fatto vivono ai margini o fuori della sua logica. Quanto sia il Concilio sia Paolo VI avevano con forza auspicato, con Giovanni Paolo II diventa una sorta di imperativo categorico e prioritario per la comunità dei credenti. A determinare l’insistenza di papa Wojtyła è «l’ora magnifica e drammatica della storia, nell’imminenza del terzo millennio» (CL, n. 3), il tempo «drammatico e insieme affascinante» (RM, n. 38) che viviamo, la «persistente diffusione dell’indifferentismo religioso e dell’ateismo nelle sue più diverse forme » (CL, n. 34), l’aver perduto, da parte di interi gruppi di battezzati, «il senso vivo della fede, o addirittura il non riconoscersi più come membri della Chiesa, conducendo un’esistenza lontana da Cristo e dal suo Vangelo» (RM, n. 33). L’attenzione preoccupata e carica di ansia missionaria del Papa è rivolta ai Paesi di antica cristianità: «Solo una nuova evangelizzazione può assicurare la crescita di una fede limpida e profonda, capace di fare di queste tradizioni una forza di autentica libertà. Certamente urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comuni tà ecclesiali che vivono in questi paesi e in queste nazioni. […] Questa nuova evangelizzazione, rivolta non solo alle singole persone ma anche ad intere fasce di popolazioni nelle loro varie situazioni, ambienti e culture, è destinata alla formazione di comunità ecclesiali mature» (CL, n. 34). Pochi testi come il discorso di Giovanni Paolo II alla Conferenza episcopale della Scandinavia liquidano con chiarezza gli equivoci che possono sorgere intorno al senso da dare alla NE: «È giunto il momento di recuperare le fondamenta perdute della fede attraverso comuni sforzi, rinnovati e rafforzati. Questo è un dovere che si fa sempre più pressante e totalizzante. Io, in altre occasioni, e già molte volte, l’ho definito con la parola “nuova evangelizzazione” di cui necessita non solo la società moderna ma anche vasti settori della Chiesa stessa» (Giovanni Paolo II 1989, n. 3).

Conversione e testimonianza
A partire dalle riflessioni fin qui proposte, due importanti considerazioni aprono la strada all’azione e allo stile della NE nel nostro contesto. La prima è quella che riconosce, come punto di partenza imprescindibile per la NE, un incontro rigenerante con Gesù e quindi un rinnovamento di coloro che evangelizzano. È quanto Giovanni Paolo II disse con forza ai vescovi latinoamericani il 12 ottobre 1992: «In realtà, il richiamo alla nuova evangelizzazione è prima di tutto un richiamo alla conversione. Infatti, attraverso la testimonianza di una Chiesa sempre più fedele alla sua identità e più viva in tutte le sue manifestazioni, gli uomini e i popoli […] di tutto il mondo potranno continuare a incontrare Gesù Cristo» (Giovanni Paolo II 1992, n. 1). Il peccato, quindi, e una scarsa qualità di vita cristiana ritardano l’evangelizzazione, mentre tratti evangelici ben visibili e testimoniati con coraggio contribuiscono a far risaltare la novità della proposta cristiana. Nella Novo millennio ineunte, ancora Giovanni Paolo II mette in guardia da alcuni seri rischi, a partire dai quali possono trovare origine altrettanti equivoci: «Il nostro è tempo di continuo movimento che giunge spesso fino all’agitazione, col facile rischio del “fare per fare”. La strada per resistere a questa tentazione è quella di “essere” prima che di “fare”»; pertanto – conclude il Papa – il «mistero di Cristo» deve essere sempre «fondamento assoluto di ogni nostra azione pastorale » (NMI, n. 15). Poco oltre troviamo un’affermazione ancora troppo poco frequentata – se non disattesa – nell’azione pastorale ordinaria: «Non ci seduce certo la prospettiva ingenua che, di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: “Io sono con voi!”» (ivi, n. 29). La seconda considerazione, strettamente legata alla prima, è quella che riconosce nella testimonianza lo strumento principale per annunciare nei nuovi areopaghi che la “buona notizia” è una proposta capace di ridare senso alla vita. Alla testimonianza deve accompagnarsi la carità vissuta; l’unica a permetterci di capire che la vita trova la sua piena realizzazione solo nell’orizzonte della gratuità. Quando la testimonianza resa attraverso la carità e vissuta in un orizzonte di gratuità caratterizza l’azione evangelizzatrice, non ci sarà più spazio per l’autoreferenzialità: comoda ma mortale anticamera dell’arroganza e dell’orgoglio e figlia di un avvertito senso di superiorità verso gli altri. Al contrario, risulterà evidente la forza della raccomandazione della Prima lettera di Pietro: «adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza» (1 Pietro 3, 16). Il destinatario dell’evangelizzazione ha bisogno di incontrare uno sguardo libero, di amore, senza calcoli e senza interessi, uno sguardo capace di osare il “nuovo”. L’eccessivo peso attribuito talvolta a ruoli e funzioni nella vita della Chiesa rischia realisticamente di ritardare la NE; ugualmente deleterio si rivela lo stile eccessivamente mondano di quanti (clero e laici) accettano di mettersi al servizio della NE. La novità del Vangelo troverà impedimenti supplementari e stenterà a farsi strada dove la libertà e la gratuità evangeliche vengono sostituite da uno stile più vicino a quello dei faccendieri della politica. L’inefficacia – abbondantemente registrata e mai sufficientemente condannata – di questo stile dovrebbe renderci più avvertiti e neutralizzare quanti tentano di importarlo nella vita della Chiesa. In conclusione, tutti i principali protagonisti della evangelizzazione – in particolare chi ha, per ruolo e/o per ministero, compiti di responsabilità nella Chiesa, i movimenti ecclesiali di recente formazione e le nuove comunità –, devono sentirsi chiamati a riconsiderare alcune modalità di annunzio, a partire da una seria riflessione sulla propria identità, sulla propria collocazione all’interno della Chiesa e sul modo in cui “abitano” gli spazi della vita ordinaria. Movimenti e nuove comunità hanno mostrato in questi decenni una singolare capacità di provocare in tanti, soprattutto laici, uno slancio missionario insospettabile e di grande efficacia pastorale. I positivi risultati ottenuti, soprattutto all’interno di determinate fasce di persone, hanno convinto alcuni che tale efficacia derivasse da “formule magiche”, da metodi preconfezionati e intoccabili, piuttosto che dalla stessa pedagogia della fede, generata o rigenerata dal carisma e idonea a formare cristiani consapevoli della propria vocazione e quindi della propria missione. Bisogna vigilare, perché l’eccessiva rigidità dei metodi conduce, col tempo, alla loro assolutizzazione e rende meno facile la comunicazione tra soggetti impegnati nell’opera di evangelizzazione. Come avverte mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, «Se non vogliamo che la nuova evangelizzazione corra il rischio di diventare una formula vuota, bisogna superare la frammentazione e unire le forze in un’opera che non è più procrastinabile» (Muolo M., “Nuova evangelizzazione, è il tempo dell’audacia”, in Avvenire, 1° ottobre 2011).

AG = Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 1965.
CL = Giovanni Paolo II, esortazione apostolica postsinodale Christifideles laici, 1988.
EN = Paolo VI, esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 1975.
NMI = Giovanni Paolo II, lettera apostolica Novo millennio ineunte, 2001.
RM = Giovanni Paolo II, lettera enciclica Redemptoris missio, 1990.
Giovanni Paolo II (1979), Omelia durante la Santa Messa nel Santuario della Santa Croce, Mogila, 9 giugno.
— (1983), Discorso all’Assemblea della Conferenza episcopale di America latina e Caraibi (CELAM), Port-au-Prince (Haiti), 9 marzo.
— (1989), Discorso alla Conferenza episcopale della Scandinavia, Oslo, 1° giugno.
— (1992), Discorso di apertura dei lavori della IV Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, Santo Domingo (Repubblica Dominicana), 12 ottobre.
Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, &lt;<a href="http://www.annusfidei.va">www.annusfidei.va</a>&gt;.
Centro per la nuova evangelizzazione, &lt;<a href="http://www.nuo">www.nuo</a> vaevangelizzazione.net&gt;.
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