ArticoloDialoghi
L’Europa vissuta dal basso
- Ellie Varchalama, "Alla riscoperta della vocazione sociale del progetto europeo"
- Giuseppe De Marzo, "Un “noi” da costruire"
- Giovanna Cavallo, "Europa, un UFO istituzionale?"
- Łukasz Kołodziej, "Crescere europei nel terzo millennio"
«Unita nella diversità» è il motto usato per la prima volta nel
2000 e poi ufficialmente adottato dall’Unione Europea (UE)
per riassumere in poche parole ciò che è: un insieme di Stati
che hanno scelto di vincolarsi reciprocamente a livello politico e giuridico,
scommettendo sulla solidarietà per una comune ricerca della pace e del benessere,
senza però cancellare la ricchezza delle diverse culture e tradizioni
dei popoli che ne fanno parte. Il motto è un richiamo incessante alla sfida
con cui l’UE deve continuamente misurarsi: come realizzare un’effettiva
unità salvaguardando nel contempo le diversità presenti?
In effetti, ritroviamo numerose diversità in ambiti tra loro molto
distanti, a prima vista difficili da tenere insieme in un modo che non
sia caotico o posticcio. Alcune sono più evidenti e metabolizzate, ma non
per questo più semplici da gestire: è il caso, ad esempio, delle periodiche
divergenze politiche tra gli Stati membri e le istituzioni europee; oppure,
a un livello più personale, l’esperienza contrastante di sentirsi a casa e allo
stesso tempo spaesati quando si viaggia in un altro Paese dell’Unione
.
Altre diversità invece restano sottotraccia, perché non si giocano sul piano
del confronto tra i Paesi, ma sono trasversali. Sono radicate all’interno
del tessuto sociale europeo e, a prescindere dagli accenti più legati a un contesto
locale, nel loro nucleo essenziale sono presenti nell’intero continente:
ad esempio quelle che toccano le varie generazioni con attese e progetti non
sempre conciliabili, oppure quelle che si registrano in un mercato del lavoro
in cui crescono i divari tra i lavoratori e diventano più fragili le tutele. Anche
queste diversità rientrano nel novero di quelle a cui l’UE è chiamata a
prestare attenzione, perché l’unità possa essere sostanziale e giusta.
Per questo abbiamo ritenuto importante, in vista del voto per il rinnovo
del Parlamento europeo, dare spazio ad alcuni testimoni, che in prima
persona o come compagni di viaggio di donne e uomini che vivono queste
diversità, sono portatori di uno sguardo altro sulla realtà europea,
che va ad aggiungersi e completare quanto possiamo conoscere in prima persona
o attraverso i canali a cui usualmente ci affidiamo. L’intento è giungere
a un quadro più aderente alla realtà, a una prospettiva più concreta.
Le persone a cui ci siamo rivolti parlano a titolo individuale o usano il
“noi” perché esprimono il punto di vista delle realtà collettive a cui appartengono.
In modo diverso, tutte hanno preso la parola dai “margini”:
la greca Ellie Varchalama a partire dalla lunga esperienza nel mondo
sindacale e più di recente dal ruolo istituzionale che ricopre per la difesa
dei diritti umani nel suo Paese; Giuseppe De Marzo, una vita spesa nell’attivismo
civico, ha condiviso riflessioni su che cos’è la politica e progetti sul
futuro, che nascono da una approfondita conoscenza del territorio italiano
e dal confronto internazionale; Giovanna Cavallo ci ha presentato quanto
il Forum per cambiare l’ordine delle cose ha appreso da una recente esperienza
di advocacy in tema di migrazioni; infine il più giovane del gruppo,
il polacco Łukasz Kołodziej, ci ha aperto una finestra sul vissuto di chi è
cresciuto in un’UE che non è più un sogno da realizzare, ma una realtà
dall’avvenire non scontato. [continua]
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