Leggendo con attenzione il testo della Laudate Deum (LD) si è colpiti dal rilievo che assumono alcune parole. Ci limitiamo a segnalarne tre – urgenza, visione e responsabilità – che disegnano un’immaginaria mappa degli snodi cruciali che si impongono all’attenzione generale quando si parla di crisi climatica in questo frangente storico. Ognuna di queste parole, come una specie di matrioska, racchiude svariati interrogativi e apre il campo a numerose questioni, nessuna delle quali di carattere neutro, su che cosa siano i cambiamenti climatici e su come possano essere affrontati. Sul tavolo vi sono diverse opzioni possibili e la scelta dell’una o dell’altra si traduce in decisioni, gesti, parole che condizionano il nostro presente, e non solo.
Di fronte a questi snodi, la Laudate Deum non si trincera dietro generiche affermazioni, ma prende una posizione netta, preoccupata di assicurare un futuro ai nostri figli e al nostro pianeta e avendo come orizzonte di riferimento la cura della casa comune: «il senso sociale della nostra preoccupazione per il cambiamento climatico […] va oltre un approccio meramente ecologico, perché “la nostra cura per l’altro e la nostra cura per la terra sono intimamente legate”» (LD, n. 3; nel resto del testo, le citazioni si intendono tratte da LD e ne verrà indicato solo il numero).
L’urgenza della situazione
L’attenzione di papa Francesco si concentra esplicitamente sui cambiamenti climatici e le cause che li provocano, su cui si era già soffermato otto anni fa nell’enciclica Laudato si’ (cfr Foglizzo). Il punto di partenza della Laudate Deum è la constatazione preoccupata che «non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura» (n. 2). Eppure, a testimoniare quanto sia compromessa la situazione globale vi sono trend climatici sempre più evidenti e frequenti, in alcuni casi già irreversibili per centinaia di anni (è il caso dell’aumento della temperatura globale degli oceani, [cfr n. 15]). Questo dato si accompagna all’intensificazione di fenomeni meteo estremi, che fino a pochi anni fa pensavamo che riguardassero solo alcuni Paesi lontani, come i piccoli Stati insulari minacciati dall’innalzamento delle acque, ma oggi dobbiamo ricrederci, visto che anche l’Italia è stata toccata di recente e in più occasioni da periodi prolungati di caldo anomalo e di siccità, da alluvioni e tempeste di pioggia e vento. Pensando alla diffusione di questi fenomeni e alla gravità delle loro conseguenze, papa Francesco li definisce «espressioni tangibili di una malattia che colpisce tutti noi» (LD, n. 5), in particolare i più poveri. Da qui quel senso di urgenza che trapela più volte dal documento.
La maggioranza degli studi sui cambiamenti climatici condotti a livello internazionale dimostra che la loro origine va rintracciata nello «sfrenato intervento umano sulla natura negli ultimi due secoli» (n. 14), soprattutto a causa dell’utilizzo delle fonti fossili in campo energetico. Da qui l’indicazione espressa in modo chiaro nella Laudate Deum di procedere nella direzione della «necessaria transizione verso energie pulite, come quella eolica e quella solare, abbandonando i combustibili fossili». In questa direzione, afferma con decisione papa Francesco, non si «sta procedendo abbastanza velocemente. Di conseguenza, ciò che si sta facendo rischia di essere interpretato solo come un gioco per distrarre» (n. 55).
Esiste però una minoranza di studiosi che non accoglie questa lettura della situazione, contestata anche da una parte dell’opinione pubblica e della classe dirigente politica ed economica, e persino all’interno della Chiesa cattolica non mancano le opinioni contrarie al riguardo. Le polarizzazioni sono numerose, tanto da tradursi in forti tensioni e nell’assunzione di posizioni estreme, che spaziano dalle diagnosi apocalittiche, che «sembrano spesso irragionevoli e non sufficientemente fondate» (n. 17) e possono sfociare in una perdita della speranza, al negare in radice l’esistenza dei cambiamenti climatici e quindi rifiutare ogni tipo di intervento.
Una visione ampia
Per sottrarsi all’impasse che scaturisce dall’ingigantire o sminuire la reale portata della situazione che si vive, papa Francesco riconosce che è «urgente una visione più ampia» (n. 18), mostrando in che cosa consista in alcuni brani. Riferendosi, ad esempio, a quanti negano la sussistenza di un problema di riscaldamento climatico citando gli episodi di freddo estremo, ricorda che «se parliamo di un fenomeno globale, non possiamo confonderlo con eventi transitori e mutevoli, che sono in gran parte spiegati da fattori locali» (n. 7). In un altro passaggio, viene richiamata la confusione che si genera quando «la mancanza di informazioni porta a identificare le grandi proiezioni climatiche che riguardano periodi lunghi – si tratta almeno di decenni – con le previsioni meteorologiche che possono coprire al massimo qualche settimana» (n. 8), finendo per perdere di vista la fondamentale differenza tra meteo e clima.
Questa ampia capacità di visione è spesso assente in quanti operano nel settore economico ai livelli più alti: la ricerca del «massimo profitto al minor costo e nel minor tempo possibili» (n. 13) rende impossibile «qualsiasi preoccupazione per la casa comune e qualsiasi attenzione per la promozione degli scartati della società» (LD, n. 28). Al contrario, viene a crearsi in alcuni casi una sorta di miopia istituzionalizzata, come nel caso del paradigma tecnocratico, che si fonda sull’idea di «una crescita infinita o illimitata» (LD, n. 20) quando le risorse naturali necessarie sono in realtà limitate e i modi in cui vi si attinge in molti casi feriscono tanto il pianeta quanto le popolazioni.
Questi esempi fanno capire che l’ampia visione auspicata dalla
Laudate Deum travalica i ristretti confini determinati da uno sguardo che si concentra solo sull’oggi e su un singolo luogo, su un aspetto del problema o sull’interesse di una parte. Questa maniera di leggere le dinamiche sociali, economiche e culturali odierne e di prendere posizione al loro riguardo trova un riferimento teorico importante nei quattro principi enunciati nella
Evangelii gaudium per costruire «un popolo in pace, giustizia e fraternità» (EG, nn. 217-237).
Evangelii gaudium, nn. 217-237
I quattro principi indicati nella Evangelii gaudium, che il papa Francesco riconosce che derivano dai grandi postulati della Dottrina sociale della Chiesa, richiamano alcune tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale:
- Il tempo è superiore allo spazio (nn. 222-225)
- L’unità prevale sul conflitto (nn. 226-230)
- La realtà è più importante dell’idea (nn. 231-233)
- Il tutto è superiore alla parte (nn. 234-237).
La responsabilità per il futuro
Il collegamento tra una visione ampia e «l’eredità che lasceremo dietro di noi dopo il nostro passaggio in questo mondo» è affermato in modo esplicito dalla stessa Laudate Deum al n. 18. Dopo aver constato l’urgenza della situazione attuale e aver individuato i diversi fattori in gioco senza rimanere confinati in una lettura parziale e ristretta, il momento finale del nostro percorso è dato dall’assunzione della propria responsabilità. In filigrana, riconosciamo nella Laudate Deum la dinamica del discernimento dei segni dei tempi imperniata sul metodo del “riconoscere, interpretare e scegliere” descritto nel n. 51 della Evangelii gaudium.
I destinatari dell’esortazione apostolica sono dichiaratamente tutte le persone di buona volontà, come si evince dal titolo stesso. Non si tratta di una mera formula di stile, perché il cambiamento climatico è «un problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli» (n. 58) e per affrontarlo adeguatamente è davvero necessario il «coinvolgimento di tutti». Non è nemmeno un appello generale e generico, come si coglie bene procedendo nella lettura, da cui emergono progressivamente varie figure. Innanzi tutto le vittime delle conseguenze dei cambiamenti climatici, come le famiglie (n. 2), le persone più vulnerabili (n. 3), i lavoratori (n. 10), che sono però anche tra coloro che possono esercitare un ruolo fondamentale per invertire la rotta. Ad esse si aggiungono i politici e gli imprenditori, menzionati in più passaggi, e le realtà della società civile, che hanno saputo compensare nel passato «le debolezze della Comunità internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di attenzione rispetto a diritti umani» (n. 37). Ogni persona o istituzione, a partire dal suo contesto esistenziale, al ruolo che svolge, ai poteri e competenze di cui dispone, è chiamata a comportarsi responsabilmente di fronte ai cambiamenti climatici.
L’apprezzamento per gli sforzi compiuti dai singoli e dalle famiglie per ridurre l’inquinamento e gli sprechi ed essere più attenti nei consumi è espresso con chiarezza e altrettanto realismo. L’impatto dei cambiamenti climatici porta con sé mutazioni che incidono anche sulle abitudini personali, familiari e comunitarie, oltre che sul piano culturale e anche se tutto questo «non produce immediatamente un effetto molto rilevante da un punto di vista quantitativo, contribuisce a realizzare grandi processi di trasformazione che operano dal profondo della società» (LD, n. 71). Soprattutto, gli sforzi dei singoli costituiscono in modo indiretto un richiamo forte per «le responsabilità non assolte da parte dei politici e l’indignazione per il disinteresse dei politici» (ivi). L’impegno da parte dei singoli è infatti necessario ma evidentemente non sufficiente a cambiare la situazione.
Per giungere a «soluzioni più efficaci» servono le «grandi decisioni della politica nazionale e internazionale» (n. 69). È in questa prospettiva che si può comprendere l’attenzione che il testo riserva alla COP28, ospitata dagli Emirati Arabi Uniti a Dubai il prossimo dicembre, nella speranza che si dimostri l’occasione per «una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente» (n. 54). Sarebbe un passo in controtendenza rispetto ai modesti esiti e agli stalli che si sono registrati nell’ultimo anno a livello internazionale, basti pensare ai negoziati intermedi di Bonn o al SDG Summit 2023, che si è tenuto a settembre a New York, e alle scelte di alcuni Governi, come quello britannico, che ha di recente approvato l’estrazione di gas e petrolio nel giacimento di Rosebank nel Mar del Nord. Di fondo, papa Francesco con la Laudate Deum offre in prima battuta ai responsabili della politica e dell’economia una serrata argomentazione perché prevalga l’attenzione «al bene comune e al futuro dei loro figli, piuttosto che agli interessi di circostanza di qualche Paese o azienda» (n. 60), mostrando la nobiltà della politica e ridando speranza e forza a quanti dal basso già spendono le loro migliore forze e risorse per custodire l’umanità e il pianeta.
Non siamo impotenti
Annunciata dallo stesso papa Francesco come una seconda parte della Laudato si’, è sbagliato considerare la Laudate Deum una sorta di appendice rivista e aggiornata di un documento del passato. Ci troviamo di fronte alla voce di un testimone, a tratti accorata, che si leva con forza per dialogare su un tema urgente, cercando di rimettere ordinare tra pezzi di informazione alle volte confusi, allargando gli orizzonti, includendo nel confronto quanti rischiano di pagare il prezzo più alto per i cambiamenti in corso.
Ancor di più: se di fronte ai cambiamenti climatici possiamo sentirci sopraffatti e impotenti, la Laudate Deum ci interroga proprio sul modo in cui concepiamo il potere di cui disponiamo e su come lo esercitiamo, ognuno secondo la posizione e il ruolo che riveste all’interno della società. La logica insita nel paradigma tecnocratico esalta ogni aumento di potere come un progresso per l’umanità, ma si sottrae al confronto sui risvolti etici del suo esercizio e sui limiti che incontra, sulle conseguenze in termini di sfruttamento che finiscono con cancellare la dimensione di dono presente nella creazione. In questa prospettiva, la domanda scomoda rivolta da papa Francesco ai politici interroga tutti: «Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?» (LD, n. 60).