La Legge di bilancio 2019: il cambiamento che non c’è

Un’analisi della Legge di bilancio per il 2019 dimostra che le misure ivi contenute, con particolare riferimento al Reddito di cittadinanza e a Quota 100, non sembrano destinate a rilanciare il Paese, aumentandone piuttosto la fragilità.
Fascicolo: maggio 2019
Pubblichiamo di seguito il paragrafo conclusivo dell’articolo di Maria Flavia Ambrosanio e Paolo Balduzzi. Al link indicato sopra è possibile scaricare il pdf dell'intero articolo (inserisci le tue credenziali se sei abbonato oppure acquista l'articolo).


Tra continuità e discontinuità


La manovra per il 2019-2021 è stata annunciata come elemento di profonda rottura rispetto al passato. È proprio vero? Per rispondere a questa domanda ne passeremo in rassegna i principali elementi, cominciando da quelli che si pongono in sostanziale continuità con il passato più o meno recente e passare poi a quelli che risultano effettivamente una rottura con le politiche precedenti: Quota 100, RDC e flat tax.

a) In continuità con il passato più o meno recente

La riduzione della pressione tributaria resta anche questa volta una misura sostanzialmente virtuale, legata alla disattivazione delle clausole di salvaguardia. Per il resto viene modificata la distribuzione del carico tributario tra alcune categorie di contribuenti: più imposte su banche e assicurazioni, meno su lavoratori autonomi e piccoli imprenditori (soggetti già avvantaggiati dalle norme previgenti e più inclini all’evasione fiscale). Effetti redistributivi tra diverse tipologie di imprese hanno anche l’abolizione dell’IRI e dell’ACE.
Nessun intervento riguarda invece il carico fiscale per i lavoratori dipendenti, sui quali grava la maggior parte del gettito IRPEF, di cui si è ricominciato a parlare nelle ultime settimane in vista della predisposizione del DEF 2019. Anche in materia di lotta all’evasione si registra una perfetta continuità con il passato: pur essendo venuta meno l’ipotesi di un vero e proprio condono, ci si trova di fronte a sanatorie con robusti sconti ai contribuenti inadempienti. Il rilancio degli investimenti, come spesso è accaduto, viene rimandato agli anni successivi, con buona pace dello sblocco dei cantieri. Infine, la spending review sembra completamente scomparsa dai programmi del Governo.

b) Quota 100

L’introduzione della Quota 100 segna una notevole inversione di tendenza, anche se già i Governi precedenti avevano introdotto forme di flessibilità per l’uscita dal mondo del lavoro. Al di là degli effetti finanziari (circa 21 miliardi di maggiori spese tra il 2019 e il 2021), ne sembrano discutibili le ragioni. Secondo la NADEF, «l’attuale regime, pur garantendo nel lungo periodo la stabilità finanziaria del sistema previdenziale, impedisce alle imprese il fisiologico turnover delle risorse umane», spiegando almeno in parte la carenza di domanda di lavoro. Di conseguenza l’introduzione di modalità di pensionamento anticipato costituirebbe l’unico modo «per immettere nuove risorse nel mercato del lavoro e dare prospettive di occupazione stabile ai giovani». Il legislatore ha in mente un Paese dove un giovane trova lavoro solo se un anziano va in pensione, quindi un Paese che non ha speranze di crescita.
Ovviamente non c’è alcuna certezza che ai neopensionati corrisponderanno altrettanti neoassunti, perché i datori di lavoro potrebbero cogliere l’occasione per ristrutturazioni degli organici. Archiviata la lunga e necessaria fase delle salvaguardie a tutela degli “esodati”, nonché quella degli opportuni aggiustamenti della riforma in tema di “lavoratori precoci” e “opzione donna”, sarebbe stato opportuno guardare al futuro del sistema pensionistico con più tranquillità e soprattutto con un maggiore senso di giustizia. Il principale effetto della riforma Fornero, al di là del contenimento della spesa, è stato dare una prospettiva previdenziale anche a chi, proprio in questi anni, si affacciava al mercato del lavoro con grandi incertezze in tema di continuità lavorativa (e quindi contributiva), livello salariale ed età di pensionamento.
A fronte di una speranza di vita ormai di gran lunga superiore agli 80 anni per gli uomini come per le donne, chi lascia il lavoro poco oltre i 60 anni di età godrà della pensione per oltre 20 anni: un sistema troppo generoso, sostenibile solo a fronte di una decisa contrazione dei trattamenti delle generazioni future.

c) Reddito di cittadinanza

Il RDC presenta molti aspetti critici. Indubbiamente permetterà alle famiglie più povere un’esistenza più dignitosa: si tratta di circa 1,3 milioni di nuclei (cioè 3,6 milioni di individui) che per il 56% vivono nel Mezzogiorno.
È sicuramente una buona notizia, sempre sperando che le verifiche dei requisiti siano appropriate e i soldi vadano nelle tasche giuste e non dei soliti evasori fiscali. Dovrebbe esserci qualche effetto positivo sulla dinamica dei consumi e quindi sulla crescita (0,2% del PIL nel 2019 e 0,5% nel 2020).
È invece tutto da dimostrare che esso incentiverà la ricerca del lavoro; di certo non ne stimola la creazione. Almeno nelle intenzioni, il RDC è anche un incentivo all’occupazione, essendo prevista la decadenza del beneficio in caso di rifiuto di offerte di lavoro che rispettino determinati requisiti (salario e distanza dal luogo di residenza). Da questo punto di vista è cruciale l’attività dei Centri per l’impiego, che non è stata particolarmente di successo nel passato; è infatti prevista l’assunzione di 3mila “navigator” che avranno il compito di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Un altro aspetto critico in termini di spesa deriva dall’integrazione dei trattamenti pensionistici inferiori alla soglia del RDC (pensione di cittadinanza), ovviamente senza obblighi di accettazione di offerte di lavoro.

d) Flat tax

La flat tax potrebbe costituire la vera novità, a condizione che venga realizzata completamente, interessando tutti i contribuenti e non solo i lavoratori autonomi. Nelle ultime settimane, il vicepremier Salvini è tornato a ribadire la volontà di introdurla a regime quanto prima. A questo proposito, vale la pena ricordare che il Contratto per il governo di cambiamento prevede una imposizione sui redditi con «due aliquote fisse al 15% [fino a 80mila euro, secondo le dichiarazioni più recenti; N.d.A.] e al 20% per persone fisiche, partite IVA, imprese e famiglie; per le famiglie è prevista una deduzione fissa di 3mila euro sulla base del reddito familiare».
Indipendentemente dalla stima dei costi previsti in termini di riduzione del gettito, è evidente che anche in questo caso non si tratterrebbe di una vera e propria flat tax, ma di un’imposta limitatamente progressiva, con 2 aliquote e 3 scaglioni, i cui effetti redistributivi sarebbero tutti da valutare.

***

In conclusione, la manovra di bilancio è utile nell’ottica di rilanciare il Paese o rischia invece di aumentarne le fragilità? A opinione di chi scrive, è più probabile la seconda alternativa. Nessuna delle misure approvate ha la capacità di incidere sulle carenze strutturali del sistema Italia, che continuerà a non crescere e a essere il fanalino di coda dei Paesi europei, e dalla finanza pubblica non potranno che arrivare brutte sorprese!
A quel punto che cosa farà il Governo? I numeri del DEF 2019 e il dibattito che lo ha riguardato, così come quello sul Decreto Crescita (Misure urgenti per la crescita economica, approvato dal Consiglio dei Ministri «salvo intese» il 4 aprile 2019), lasciano intravedere alcuni ripensamenti rispetto alla Legge di bilancio (ad esempio in materia di super-ammortamenti e di mini IRES), ma soprattutto prospettano un nuovo “tira e molla” rispetto alla flat tax, che, nonostante le richieste di Salvini, dovrebbe essere introdotta solo in minima parte.
Ancora una volta, risalta in queste misure un forte sapore elettorale e una crescente competizione tra le due componenti della maggioranza di Governo.


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