Alle soglie del nuovo quinquennio istituzionale, l’Unione deve far fronte agli attuali scenari globali, senza disperdere l’eredità degli ultimi anni.
Il 2019 segna l’inizio di un nuovo ciclo quinquennale per le Istituzioni europee, con il rinnovo del Parlamento, della Commissione e una nuova presidente della BCE, Christine Lagarde. Su quali linee si muoverà la nuova Commissione, a partire dal programma annunciato dalla sua nuova presidente? Quale eredità ci lascia il quinquennio ormai concluso? Con quali scenari globali deve imparare a misurarsi l’Europa? Il numero di novembre di Aggiornamenti Sociali ospita alcune riflessioni di Alberto Quadrio Curzio, professore emerito di Economia politica all’Università Cattolica di Milano e Presidente emerito dell’Accademia nazionale dei Lincei. Di seguito due paragrafi dedicati alla nuova presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e al presidente uscente della Banca centrale europea, Mario Draghi. Qui puoi leggere l’articolo integrale.
Il programma della nuova Commissione europea
L’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea è stata un evento politico-istituzionale di grande importanza. Il Parlamento ha smentito, infatti, l’ondata dei cosiddetti sovranisti antieuropei, compiendo una scelta decisamente europeista e manifestando un orientamento che certo non si è esaurito.
La neopresidente è infatti nota come una europeista convinta, progettuale ma anche pragmatica, capace di unire ideali e concretezza. Lo si evince sia dal programma con il quale ha ottenuto l’elezione –
«Un'Unione più ambiziosa: il mio programma per l’Europa» – sia dal successivo discorso di ringraziamento (
video qui sotto), ma anche dalla ristrutturazione della Commissione e dalla scelta dei commissari, le cui competenze sono al vaglio del Parlamento nel momento in cui questo articolo va in stampa
(leggi il nostro articolo sulla composizione della nuova Commissione UE).
In particolare, il programma della presidente von der Leyen identifica sei assi di azione prioritari: un
green deal europeo; un’economia che lavora per le persone; un’Europa pronta per l’era digitale; proteggere il nostro stile di vita europeo; un’Europa più forte nel mondo; un nuovo slancio per la democrazia europea. I programmi relativi ad aspetti cruciali del XXI secolo – clima e ambiente da una parte, rivoluzione digitale e innovazione dall’altra – contemplano più investimenti e più infrastrutture, sia materiali sia immateriali. Per converso, rivelano la consapevolezza che l’Europa non può prosperare solo con regole di rigore sui bilanci pubblici nazionali, sull’enfasi nei consumi interni di una popolazione che invecchia, sulla forza delle esportazioni ora minacciate dal neoprotezionismo.
Su clima e ambiente (
green deal), von der Leyen propone «Un piano di investimenti per un’Europa sostenibile», prefigurando una strategia per la finanza verde e un piano di investimenti per un’Europa sostenibile di mille miliardi di euro in 10 anni, a partire dalla trasformazione di «una parte della Banca europea per gli investimenti (BEI) in una banca climatica europea» (p. 7). Su queste promesse bisognerà vigilare, in particolare rispetto al finanziamento di investimenti tanto ingenti, a fronte di un bilancio dell’UE che ammonta a soli 140 miliardi all’anno per coprire tutte le spese!
Sul fronte dell’innovazione, von der Leyen si impegna a «sfruttare le opportunità dell’era digitale in un contesto che garantisca la sicurezza e rispetti l’etica» (p. 14). Ricorda come le tecnologie digitali, specialmente l’intelligenza artificiale, stiano modificando pervasivamente tutto, dallo stile di vita ai metodi di lavoro, dall’economia alla società. Si sofferma analiticamente sui campi nei quali l’Europa è in ritardo, affermando che bisogna investire di più per «conseguire una sovranità tecnologica» (ivi) in settori fondamentali, con particolare attenzione all’innovazione pionieristica: se ben orientata, l’intelligenza artificiale faciliterà la ricerca di soluzioni alle sfide dell’umanità del XXI secolo.
Esaminando in diagonale i suoi programmi, colpisce l’accento posto sull’istruzione anche come inclusione. Innovazione, istruzione, sostenibilità sono elementi che richiedono riflessioni sugli investimenti e sulle istituzioni, anche al di là di quanto ritroviamo nel programma della neopresidente.
(…)
I moniti di Draghi
Draghi è un esempio straordinario di innovatività coraggiosa e legale, che ha appena concluso il suo mandato settennale alla presidenza della BCE avendo realizzato un’opera eccezionale. La sua competenza e la sua postura istituzionale saranno a lungo ricordate e chi gli succede, Christine Lagarde, non avrà un compito facile con una eredità di questo tipo. Nei sette anni passati ho sempre sostenuto che Draghi stava salvando con la politica monetaria l’euro, l’eurozona e l’UE stessa. Va ribadito con maggiore forza dopo i forti messaggi che ha inviato alle Istituzioni europee e agli Stati membri nella Conferenza stampa del 12 settembre scorso.
Conferenza stampa del 12 settembre
In particolare ha affermato che il forte stimolo monetario immesso con continuità nell’Eurozona è servito e serve ad assicurare condizioni finanziarie di stabilità per sostenerne la crescita, ma che ormai ha raggiunto il proprio limite. L’Europa rallenta e quindi UE e UEM hanno urgente bisogno di politiche strutturali e di bilancio più incisive, sia per aumentare la produttività nei singoli Paesi, sia per migliorare la governance delle Istituzioni europee.
Tre sono le indicazioni politiche offerte da Draghi. La prima riguarda le Istituzioni europee, segnalando che le loro politiche di bilancio sono «lievemente espansive». Ritengo che con questo intenda che il Patto di stabilità e crescita è stato flessibilizzato, ma anche che quanto fatto finora non basta. La seconda riguarda i Paesi che dispongono di margini per interventi di bilancio espansivi, che vengono di nuovo invitati ad agire in maniera efficace e tempestiva: è un forte richiamo alla Germania. La terza riguarda Paesi con un debito pubblico elevato, che vengono invitati a politiche prudenti, facendo operare gli stabilizzatori automatici, e anche a una ricomposizione delle finanze pubbliche più favorevole alla crescita. In questo modo riporta l’attenzione alle politiche strutturali. Per me questo è un monito all’Italia.