Il percorso della dottrina sociale (II): l’epoca del Concilio

Fascicolo: dicembre 2013

La novità che il Concilio, fin dalla sua indizione (1959), porta nella Chiesa, incorporando i fermenti di rinnovamento già presenti, investe anche la dottrina sociale. L’attenzione alle implicazioni e alle esigenze della fede, anche in campo sociale, resta viva, mentre cambia il metodo con cui la riflessione procede, diventando molto più “teologica”: anche nella realtà sociale la comunità dei credenti punta a discernere i «segni dei tempi», per coglierne le sfide e la valenza spirituale.

Giovanni XXIII

Giovanni XXIII articola la sua riflessione sociale attorno alla persona e all’unità tra la dimensione temporale e quella spirituale. Questa antropologia personalista e teologica verrà precisata dai Padri del Concilio nella Gaudium et spes (1965) e andrà a costituire un fondamento del discorso sociale della Chiesa.

Il carattere precursore delle idee di Giovanni XXIII appare in molti campi. Egli parla dello sviluppo integrale della persona e della necessità di tenere in considerazione la dimensione spirituale dell’uomo per fondare «un ordine temporale solido e fecondo» (n. 202), come sottolinea nell’ultima parte della sua prima enciclica sociale, la Mater et magistra (1961), intitolata «Ricomposizione dei rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia e nell’amore». Questo sviluppo passa anche attraverso il lavoro e le imprese, che devono tendere a diventare «comunità di persone» (n. 78), anche con «l’esercizio della responsabilità da parte dei lavoratori negli organismi produttivi» (n. 80).

Nell’altra fondamentale enciclica, dedicata al tema della pace (Pacem in terris, 1963), Giovanni XXIII interpreta la società come realtà di “ordine morale”, che «trova il suo oggettivo fondamento nel vero Dio, trascendente e personale» (n. 20). Il pontefice afferma i diritti dell’uomo in stretta connessione con i suoi doveri, ma ribadisce come, al di là dei diritti e dei doveri, l’ordine della società poggi in definitiva su quattro pilastri: la verità, la giustizia, l’amore e la libertà. Gli uomini sono chiamati a impegnarsi concretamente per soddisfare le esigenze della giustizia e del bene comune. Ai cristiani ricorda che l’impegno nel campo socioeconomico non è contrario alla perfezione cristiana, anzi è uno dei luoghi della sua verifica e del suo compimento. Infine, nell’ultimo capitolo, Giovanni XXIII prende in considerazione i nuovi orizzonti del mondo, parlando di bene comune universale e di una autorità mondiale che egli chiama gli uomini a sviluppare. Questa intuizione sosterrà tutta la successiva riflessione della dottrina sociale sulla globalizzazione, fino a essere riproposta da Benedetto XVI nel n. 67 della Caritas in veritate.

La necessità di un’autorità mondiale (Pacem in terris, nn. 69-70)
  1. L’unità della famiglia umana è esistita in ogni tempo, giacché essa ha come membri gli esseri umani che sono tutti uguali per dignità naturale. Di conseguenza esisterà sempre l’esigenza obiettiva all’attuazione, in grado sufficiente, del bene comune universale, e cioè del bene comune della intera famiglia umana. Nei tempi passati si poteva, a ragione, ritenere che i poteri pubblici delle differenti comunità politiche potessero essere in grado di attuare il bene comune universale; o attraverso le normali vie diplomatiche o con incontri a più alto livello, utilizzando gli strumenti giuridici, quali, ad esempio, le convenzioni e i trattati [...].
  2. In seguito alle profonde trasformazioni intervenute nei rapporti della convivenza umana, da una parte il bene comune universale solleva problemi complessi, gravissimi, estremamente urgenti, specialmente per ciò che riguarda la sicurezza e la pace mondiale; dall’altra parte i poteri pubblici delle singole comunità politiche, posti come sono su un piede di uguaglianza giuridica tra essi, per quanto moltiplichino i loro incontri e acuiscano la loro ingegnosità nell’elaborare nuovi strumenti giuridici, non sono più in grado di affrontare e risolvere gli accennati problemi adeguatamente: e ciò non tanto per mancanza di buona volontà o di iniziativa, ma a motivo di una loro deficienza strutturale. Si può dunque affermare che sul terreno storico è venuta meno la rispondenza fra l’attuale organizzazione e il rispettivo funzionamento del principio autoritario operante su piano mondiale e le esigenze obiettive del bene comune universale.

Il Concilio Vaticano II

La costituzione pastorale Gaudium et spes presenta lo sguardo della Chiesa sul mondo, esplicitando l’antropologia teologica delineata da Giovanni XXIII. Questo sguardo illuminato dalla Rivelazione impegna a scoprire la profondità spirituale delle realtà del mondo.

Condividendo le angosce e le speranze degli uomini, i Padri conciliari mobilitano le risorse della ragione e della teologia per trattare della persona, della società e dell’attività umana. La loro antropologia è al tempo stesso personalista, in quanto sottolinea l’importanza delle relazioni nella costituzione della persona, e teologica, nel senso che mette al centro la dimensione spirituale inerente all’uomo. È proprio alla luce della Rivelazione che si scopre la verità dell’uomo: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (n. 22). Il termine “integrale” esprime l’unità delle dimensioni temporale e spirituale; così i Padri parlano di vocazione integrale dell’uomo, di sviluppo integrale (cfr n. 59), di cultura integrale, di produzione al servizio dell’uomo tutto intero, di bene completo dell’uomo; su questa base affermano con forza la necessità di un impegno temporale: «La dissociazione, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo. [...] Non si crei perciò un’opposizione artificiale tra le attività professionali e sociali da una parte, e la vita religiosa dall’altra. Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna» (n. 43).

Questa antropologia apre a una riflessione sulla comunità umana, che comporta una dimensione teologica, essa pure illuminata dalla Rivelazione: i Padri notano «una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nella carità» (n. 24). Questa comunità che si apre alla comunione si realizza attraverso l’attività dell’uomo, essa pure considerata sotto l’aspetto spirituale che le è immanente. Così, «il messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo o dall’incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più pressante» (n. 34). L’uomo è con-creatore della creazione che Dio gli affida: ha la responsabilità di costruire questo mondo perché vi si realizzi la fraternità universale, in vista dello stabilirsi del Regno di Dio. L’autonomia di cui l’uomo dispone nel vivere questa vocazione è la fonte dell’ambivalenza del progresso, che «può servire alla vera felicità degli uomini» o diventare «strumento di peccato» (n. 37). Per questo tutte le attività umane «devono venir purificate e rese perfette per mezzo della croce e della risurrezione di Cristo» (ivi).

Promuovere il bene comune (Gaudium et spes, n. 26)

Dall’interdipendenza sempre più stretta e piano piano estesa al mondo intero deriva che il bene comune – cioè l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente – oggi vieppiù diventa universale, investendo diritti e doveri che riguardano l’intero genere umano. Pertanto ogni gruppo deve tener conto dei bisogni e delle legittime aspirazioni degli altri gruppi, anzi del bene comune dell’intera famiglia umana.

Contemporaneamente cresce la coscienza dell’eminente dignità della persona umana, superiore a tutte le cose e i cui diritti e doveri sono universali e inviolabili. Occorre perciò che sia reso accessibile all’uomo tutto ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l’abitazione, il diritto a scegliersi liberamente lo stato di vita e a fondare una famiglia, il diritto all’educazione, al lavoro, alla reputazione, al rispetto, alla necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso.

La dichiarazione conciliare Dignitatis humanae, sempre del 1965, completa la riflessione sulla dignità e i diritti dell’uomo, trattandone per ciò che attiene il campo della religione. La prima parte si colloca sul piano giuridico e civile, e afferma il diritto alla libertà religiosa, a livello sia privato sia pubblico. L’assenza di coercizione in materia religiosa si impone agli Stati e alle Chiese. Nella seconda parte, i Padri si collocano sul piano teologico per mostrare che la libertà, anche nell’errore, deve essere rispettata. Come Cristo stesso ha fatto, la Chiesa nella sua missione rispetta la dignità e la libertà della persona umana.

Paolo VI

Con la Populorum progressio (1967), che Benedetto XVI definirà come «la Rerum novarum dell’epoca contemporanea» (Caritas in veritate, n. 8), Paolo VI apre un nuovo capitolo della dottrina sociale: nella linea aperta da Giovanni XXIII, allarga la riflessione agli orizzonti del mondo e analizza, sulla base dei lavori dell’economista domenicano francese Louis-Joseph Lebret (1897-1966), le cause del sottosviluppo e la natura di uno sviluppo pienamente umano.

L’indipendenza a cui molti Paesi sono giunti in seguito alla decolonizzazione ha modificato il contesto generale delle loro relazioni con i Paesi industrializzati, ma resta limitata da una situazione economica molto spesso precaria: aumenta il divario con i Paesi sviluppati e si ampliano le sacche di povertà assoluta. Paolo VI attira l’attenzione del mondo su una situazione che ritiene tanto inaccettabile quanto pericolosa. Sottolineando che «la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale» (n. 3), spiega come povertà e sottosviluppo siano conseguenza non solo di cause naturali, ma anche di ingiustizie che devono essere «combattute e vinte» e invita le nazioni a «trasformazioni audaci» e a «riforme urgenti» (n. 32), nel quadro di un appello a «un’azione concertata per lo sviluppo integrale dell’uomo e lo sviluppo solidale dell’umanità» (n. 5).

Visione cristiana dello sviluppo (Populorum progressio, nn. 14.17)

14. Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere sviluppo autentico, dev’essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Com’è stato giustamente sottolineato da un eminente esperto: «noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera». [...]17. Ma ogni uomo è membro della società: appartiene all’umanità intera. Non questo o quell’uomo soltanto, ma tutti gli uomini sono chiamati a tale sviluppo plenario. [...] Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi a ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, che è un fatto, per noi è non solo un beneficio, ma altresì un dovere.

Perciò l’enciclica mette in guardia contro una concezione puramente economica dello sviluppo: per essere autentico, questo «deve essere integrale» (n. 14; cfr riquadro qui sopra). Lo sviluppo mira a una piena maturazione umana, che comporta per ognuno, oltre ad adeguate condizioni materiali di vita, «una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione» (n. 6), ed essere messo in condizione di «divenire lui stesso attore responsabile del suo miglioramento materiale, del suo progresso morale, dello svolgimento pieno del suo destino spirituale» (n. 34). Lo sviluppo di ogni uomo suppone inoltre che si viva concretamente una reale solidarietà tra i popoli (cfr n. 44).

Lo stimolo della Populorum progressio viene ripreso dalla II Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, riunitasi a Medellín (Colombia) nel 1968. I riferimenti di Paolo VI all’oppressione, alla liberazione dalla servitù, e gli appelli a combattere le ingiustizie, sottolineati dai vescovi sudamericani, alimentano lo sviluppo della teologia della liberazione. Un gran numero di cristiani si impegna quindi in movimenti a forte connotazione politica, a volte marxista, miranti alla liberazione dall’oppressione sul piano storico. Questo induce Paolo VI a precisare il suo pensiero pubblicando la lettera apostolica Octogesima adveniens (1971), in cui mette in guardia contro le ideologie, specialmente il marxismo, e afferma che la condizione di una vera liberazione è la libertà interiore (cfr n. 45). Questa prospettiva più nettamente teologica viene sviluppata nella esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975), ove si presenta la liberazione nell’accezione teologica di salvezza operata da Cristo che libera l’uomo dal peccato. Se, in nome della evangelizzazione, la Chiesa deve impegnarsi per la liberazione sui piani economico e politico, tale impegno deve rimanere ordinato alla salvezza in Gesù Cristo: quindi animato dalla «giustizia nella carità» (n. 35), concepito come cooperazione all’opera salvifica di Dio e finalizzato al Regno di Dio. L’azione della Chiesa mira innanzitutto alla «conversione del cuore e della mente», che è la condizione e il mezzo principale per «edificare strutture più umane, più giuste, più rispettose dei diritti della persona, meno oppressive e meno coercitive» (n. 36). Il pensiero di Paolo VI inserisce le considerazioni sulla situazione storica in una prospettiva spirituale, che ne costituisce il fondamento e il fine. È l’espressione concreta dell’orientamento esposto nella Gaudium et spes: l’associazione intima tra la dimensione antropologica e quella teologica. Su questa linea la dottrina sociale riprenderà il proprio percorso, presentandosi non come un insieme di prescrizioni, ma come una delle forme dell’annuncio del Vangelo da parte della Chiesa.

I compiti della comunità cristiana (Octogesima adveniens, n. 4)
4. Di fronte a situazioni tanto diverse, ci è difficile pronunciare una parola unica e proporre una soluzione di valore universale. Del resto non è questa la nostra ambizione e neppure la nostra missione. Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro Paese, chiarirla alla luce delle parole immutabili dell’evangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell’insegnamento sociale della chiesa, quale è stato elaborato nel corso della storia [...]. Spetta alle comunità cristiane individuare, con l’assistenza dello Spirito Santo – in comunione coi vescovi responsabili, e in dialogo con gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà –, le scelte e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche che si palesano urgenti e necessarie in molti casi. In questa ricerca dei cambiamenti da promuovere, i cristiani dovranno innanzi tutto rinnovare la loro fiducia nella forza e nell’originalità delle esigenze evangeliche. L’evangelo non è sorpassato per il fatto che è stato annunciato, scritto e vissuto in un contesto socio-culturale differente. La sua ispirazione, arricchita dall’esperienza vivente della tradizione cristiana lungo i secoli, resta sempre nuova per la conversione degli uomini e per il progresso della vita associata, senza che per questo si giunga a utilizzarla a vantaggio di scelte temporali particolari, dimenticando il suo messaggio universale ed eterno.

Risorse
DE DINECHIN O., «I segni dei tempi», in Aggiornamenti Sociali, 6 (2012) 539-543.
FOGLIZZO P., «Nuovi orizzonti per la finanza internazionale: Le proposte del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace», in Aggiornamenti Sociali, 2 (2012) 117-125.
PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE (2011), Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale.
REINA M., «Il Concilio Vaticano II e la dottrina sociale», in Aggiornamenti Sociali, 3 (2013) 248-252.
ROGER B., «Il percorso della dottrina sociale (I): da Leone XIII a Pio XII», in Aggiornamenti Sociali, 11 (2013) 786-789
CV = BENEDETTO XVI, lettera enciclica Caritas in veritate, 2009.
DH = CONCILIO VATICANO II, dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 1965.
EV = PAOLO VI, esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 1975.
GS = CONCILIO VATICANO II, costituzione pastorale Gaudium et spes, 1965.
MM = GIOVANNI XXIII, enciclica Mater et magistra, 1961.
OA = PAOLO VI, lettera apostolica Octogesima adveniens, 1971.
PP = PAOLO VI, enciclica Populorum progressio, 1967.
PT = GIOVANNI XXII, lettera enciclica Pacem in terris, 1963.

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