La novità che il Concilio, fin dalla sua indizione (1959), porta nella
Chiesa, incorporando i fermenti di rinnovamento già presenti, investe
anche la dottrina sociale. L’attenzione alle implicazioni e alle
esigenze della fede, anche in campo sociale, resta viva, mentre cambia
il metodo con cui la riflessione procede, diventando molto più
“teologica”: anche nella realtà sociale la comunità dei credenti punta a
discernere i «segni dei tempi», per coglierne le sfide e la valenza
spirituale.
Giovanni XXIII Giovanni
XXIII articola la sua riflessione sociale attorno alla persona e
all’unità tra la dimensione temporale e quella spirituale. Questa
antropologia personalista e teologica verrà precisata dai Padri del
Concilio nella Gaudium et spes (1965) e andrà a costituire un fondamento del discorso sociale della Chiesa.
Il
carattere precursore delle idee di Giovanni XXIII appare in molti
campi. Egli parla dello sviluppo integrale della persona e della
necessità di tenere in considerazione la dimensione spirituale dell’uomo
per fondare «un ordine temporale solido e fecondo» (n. 202), come
sottolinea nell’ultima parte della sua prima enciclica sociale, la Mater et magistra
(1961), intitolata «Ricomposizione dei rapporti della convivenza nella
verità, nella giustizia e nell’amore». Questo sviluppo passa anche
attraverso il lavoro e le imprese, che devono tendere a diventare
«comunità di persone» (n. 78), anche con «l’esercizio della
responsabilità da parte dei lavoratori negli organismi produttivi» (n.
80).
Nell’altra fondamentale enciclica, dedicata al tema della pace (Pacem in terris,
1963), Giovanni XXIII interpreta la società come realtà di “ordine
morale”, che «trova il suo oggettivo fondamento nel vero Dio,
trascendente e personale» (n. 20). Il pontefice afferma i diritti
dell’uomo in stretta connessione con i suoi doveri, ma ribadisce come,
al di là dei diritti e dei doveri, l’ordine della società poggi in
definitiva su quattro pilastri: la verità, la giustizia, l’amore e la
libertà. Gli uomini sono chiamati a impegnarsi concretamente per
soddisfare le esigenze della giustizia e del bene comune. Ai cristiani
ricorda che l’impegno nel campo socioeconomico non è contrario alla
perfezione cristiana, anzi è uno dei luoghi della sua verifica e del suo
compimento. Infine, nell’ultimo capitolo, Giovanni XXIII prende in
considerazione i nuovi orizzonti del mondo, parlando di bene comune
universale e di una autorità mondiale che egli chiama gli uomini a
sviluppare. Questa intuizione sosterrà tutta la successiva riflessione
della dottrina sociale sulla globalizzazione, fino a essere riproposta
da Benedetto XVI nel n. 67 della Caritas in veritate.
La necessità di un’autorità mondiale (Pacem in terris, nn. 69-70) -
L’unità della famiglia umana è esistita in ogni tempo, giacché essa ha
come membri gli esseri umani che sono tutti uguali per dignità naturale.
Di conseguenza esisterà sempre l’esigenza obiettiva all’attuazione, in
grado sufficiente, del bene comune universale, e cioè del bene comune
della intera famiglia umana. Nei tempi passati si poteva, a ragione,
ritenere che i poteri pubblici delle differenti comunità politiche
potessero essere in grado di attuare il bene comune universale; o
attraverso le normali vie diplomatiche o con incontri a più alto
livello, utilizzando gli strumenti giuridici, quali, ad esempio, le
convenzioni e i trattati [...].
-
In seguito alle profonde trasformazioni intervenute nei rapporti della
convivenza umana, da una parte il bene comune universale solleva
problemi complessi, gravissimi, estremamente urgenti, specialmente per
ciò che riguarda la sicurezza e la pace mondiale; dall’altra parte i
poteri pubblici delle singole comunità politiche, posti come sono su un
piede di uguaglianza giuridica tra essi, per quanto moltiplichino i loro
incontri e acuiscano la loro ingegnosità nell’elaborare nuovi strumenti
giuridici, non sono più in grado di affrontare e risolvere gli
accennati problemi adeguatamente: e ciò non tanto per mancanza di buona
volontà o di iniziativa, ma a motivo di una loro deficienza strutturale.
Si può dunque affermare che sul terreno storico è venuta meno la
rispondenza fra l’attuale organizzazione e il rispettivo funzionamento
del principio autoritario operante su piano mondiale e le esigenze
obiettive del bene comune universale.
Il Concilio Vaticano II La costituzione pastorale Gaudium et spes
presenta lo sguardo della Chiesa sul mondo, esplicitando l’antropologia
teologica delineata da Giovanni XXIII. Questo sguardo illuminato dalla
Rivelazione impegna a scoprire la profondità spirituale delle realtà del
mondo.
Condividendo
le angosce e le speranze degli uomini, i Padri conciliari mobilitano le
risorse della ragione e della teologia per trattare della persona,
della società e dell’attività umana. La loro antropologia è al tempo
stesso personalista, in quanto sottolinea l’importanza delle relazioni
nella costituzione della persona, e teologica, nel senso che mette al
centro la dimensione spirituale inerente all’uomo. È proprio alla luce
della Rivelazione che si scopre la verità dell’uomo: «In realtà
solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero
dell’uomo» (n. 22). Il termine “integrale” esprime l’unità delle
dimensioni temporale e spirituale; così i Padri parlano di vocazione
integrale dell’uomo, di sviluppo integrale (cfr n. 59), di cultura
integrale, di produzione al servizio dell’uomo tutto intero, di bene
completo dell’uomo; su questa base affermano con forza la necessità di
un impegno temporale: «La dissociazione, che si costata in molti, tra la
fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più
gravi errori del nostro tempo. [...] Non si crei perciò un’opposizione
artificiale tra le attività professionali e sociali da una parte, e la
vita religiosa dall’altra. Il cristiano che trascura i suoi impegni
temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio
stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna» (n. 43).
Questa
antropologia apre a una riflessione sulla comunità umana, che comporta
una dimensione teologica, essa pure illuminata dalla Rivelazione: i
Padri notano «una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e
l’unione dei figli di Dio nella verità e nella carità» (n. 24). Questa
comunità che si apre alla comunione si realizza attraverso l’attività
dell’uomo, essa pure considerata sotto l’aspetto spirituale che le è
immanente. Così, «il messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli
uomini dal compito di edificare il mondo o dall’incitarli a
disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto
ciò con un obbligo ancora più pressante» (n. 34). L’uomo è con-creatore
della creazione che Dio gli affida: ha la responsabilità di costruire
questo mondo perché vi si realizzi la fraternità universale, in vista
dello stabilirsi del Regno di Dio. L’autonomia di cui l’uomo dispone nel
vivere questa vocazione è la fonte dell’ambivalenza del progresso, che
«può servire alla vera felicità degli uomini» o diventare «strumento di
peccato» (n. 37). Per questo tutte le attività umane «devono venir
purificate e rese perfette per mezzo della croce e della risurrezione di
Cristo» (ivi).
Promuovere il bene comune (Gaudium et spes, n. 26) Dall’interdipendenza
sempre più stretta e piano piano estesa al mondo intero deriva che il
bene comune – cioè l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che
permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la
propria perfezione più pienamente e più speditamente – oggi vieppiù
diventa universale, investendo diritti e doveri che riguardano l’intero
genere umano. Pertanto ogni gruppo deve tener conto dei bisogni e delle
legittime aspirazioni degli altri gruppi, anzi del bene comune
dell’intera famiglia umana.
Contemporaneamente
cresce la coscienza dell’eminente dignità della persona umana,
superiore a tutte le cose e i cui diritti e doveri sono universali e
inviolabili. Occorre perciò che sia reso accessibile all’uomo tutto ciò
di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana, come il vitto,
il vestito, l’abitazione, il diritto a scegliersi liberamente lo stato
di vita e a fondare una famiglia, il diritto all’educazione, al lavoro,
alla reputazione, al rispetto, alla necessaria informazione, alla
possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla
salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo
religioso.
La dichiarazione conciliare Dignitatis humanae,
sempre del 1965, completa la riflessione sulla dignità e i diritti
dell’uomo, trattandone per ciò che attiene il campo della religione. La
prima parte si colloca sul piano giuridico e civile, e afferma il
diritto alla libertà religiosa, a livello sia privato sia pubblico.
L’assenza di coercizione in materia religiosa si impone agli Stati e
alle Chiese. Nella seconda parte, i Padri si collocano sul piano
teologico per mostrare che la libertà, anche nell’errore, deve essere
rispettata. Come Cristo stesso ha fatto, la Chiesa nella sua missione
rispetta la dignità e la libertà della persona umana.
Paolo VI Con la Populorum progressio (1967), che Benedetto XVI definirà come «la Rerum novarum dell’epoca contemporanea» (Caritas in veritate,
n. 8), Paolo VI apre un nuovo capitolo della dottrina sociale: nella
linea aperta da Giovanni XXIII, allarga la riflessione agli orizzonti
del mondo e analizza, sulla base dei lavori dell’economista domenicano
francese Louis-Joseph Lebret (1897-1966), le cause del sottosviluppo e
la natura di uno sviluppo pienamente umano.
L’indipendenza
a cui molti Paesi sono giunti in seguito alla decolonizzazione ha
modificato il contesto generale delle loro relazioni con i Paesi
industrializzati, ma resta limitata da una situazione economica molto
spesso precaria: aumenta il divario con i Paesi sviluppati e si ampliano
le sacche di povertà assoluta. Paolo VI attira l’attenzione del mondo
su una situazione che ritiene tanto inaccettabile quanto pericolosa.
Sottolineando che «la questione sociale ha acquistato dimensione
mondiale» (n. 3), spiega come povertà e sottosviluppo siano conseguenza
non solo di cause naturali, ma anche di ingiustizie che devono essere
«combattute e vinte» e invita le nazioni a «trasformazioni audaci» e a
«riforme urgenti» (n. 32), nel quadro di un appello a «un’azione
concertata per lo sviluppo integrale dell’uomo e lo sviluppo solidale
dell’umanità» (n. 5).
Visione cristiana dello sviluppo (Populorum progressio, nn. 14.17) 14.
Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere
sviluppo autentico, dev’essere integrale, il che vuol dire volto alla
promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Com’è stato giustamente
sottolineato da un eminente esperto: «noi non accettiamo di separare
l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò
che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a
comprendere l’umanità intera». [...]17. Ma ogni uomo è membro della
società: appartiene all’umanità intera. Non questo o quell’uomo
soltanto, ma tutti gli uomini sono chiamati a tale sviluppo plenario.
[...] Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei
nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non
possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi a ingrandire
la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, che è un
fatto, per noi è non solo un beneficio, ma altresì un dovere.
Perciò
l’enciclica mette in guardia contro una concezione puramente economica
dello sviluppo: per essere autentico, questo «deve essere integrale» (n.
14; cfr riquadro qui sopra). Lo sviluppo mira a una piena maturazione
umana, che comporta per ognuno, oltre ad adeguate condizioni materiali
di vita, «una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori
da ogni oppressione» (n. 6), ed essere messo in condizione di «divenire
lui stesso attore responsabile del suo miglioramento materiale, del suo
progresso morale, dello svolgimento pieno del suo destino spirituale»
(n. 34). Lo sviluppo di ogni uomo suppone inoltre che si viva
concretamente una reale solidarietà tra i popoli (cfr n. 44).
Lo stimolo della Populorum progressio
viene ripreso dalla II Conferenza generale dell’episcopato
latinoamericano, riunitasi a Medellín (Colombia) nel 1968. I riferimenti
di Paolo VI all’oppressione, alla liberazione dalla servitù, e gli
appelli a combattere le ingiustizie, sottolineati dai vescovi
sudamericani, alimentano lo sviluppo della teologia della liberazione.
Un gran numero di cristiani si impegna quindi in movimenti a forte
connotazione politica, a volte marxista, miranti alla liberazione
dall’oppressione sul piano storico. Questo induce Paolo VI a precisare
il suo pensiero pubblicando la lettera apostolica Octogesima adveniens
(1971), in cui mette in guardia contro le ideologie, specialmente il
marxismo, e afferma che la condizione di una vera liberazione è la
libertà interiore (cfr n. 45). Questa prospettiva più nettamente
teologica viene sviluppata nella esortazione apostolica Evangelii nuntiandi
(1975), ove si presenta la liberazione nell’accezione teologica di
salvezza operata da Cristo che libera l’uomo dal peccato. Se, in nome
della evangelizzazione, la Chiesa deve impegnarsi per la liberazione sui
piani economico e politico, tale impegno deve rimanere ordinato alla
salvezza in Gesù Cristo: quindi animato dalla «giustizia nella carità»
(n. 35), concepito come cooperazione all’opera salvifica di Dio e
finalizzato al Regno di Dio. L’azione della Chiesa mira innanzitutto
alla «conversione del cuore e della mente», che è la condizione e il
mezzo principale per «edificare strutture più umane, più giuste, più
rispettose dei diritti della persona, meno oppressive e meno coercitive»
(n. 36). Il pensiero di Paolo VI inserisce le considerazioni sulla
situazione storica in una prospettiva spirituale, che ne costituisce il
fondamento e il fine. È l’espressione concreta dell’orientamento esposto
nella Gaudium et spes: l’associazione intima tra la dimensione
antropologica e quella teologica. Su questa linea la dottrina sociale
riprenderà il proprio percorso, presentandosi non come un insieme di
prescrizioni, ma come una delle forme dell’annuncio del Vangelo da parte
della Chiesa.
I compiti della comunità cristiana (Octogesima adveniens, n. 4)
4.
Di fronte a situazioni tanto diverse, ci è difficile pronunciare una
parola unica e proporre una soluzione di valore universale. Del resto
non è questa la nostra ambizione e neppure la nostra missione. Spetta
alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro
Paese, chiarirla alla luce delle parole immutabili dell’evangelo,
attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di
azione nell’insegnamento sociale della chiesa, quale è stato elaborato
nel corso della storia [...]. Spetta alle comunità cristiane
individuare, con l’assistenza dello Spirito Santo – in comunione coi
vescovi responsabili, e in dialogo con gli altri fratelli cristiani e
con tutti gli uomini di buona volontà –, le scelte e gli impegni che
conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed
economiche che si palesano urgenti e necessarie in molti casi. In questa
ricerca dei cambiamenti da promuovere, i cristiani dovranno innanzi
tutto rinnovare la loro fiducia nella forza e nell’originalità delle
esigenze evangeliche. L’evangelo non è sorpassato per il fatto che è
stato annunciato, scritto e vissuto in un contesto socio-culturale
differente. La sua ispirazione, arricchita dall’esperienza vivente della
tradizione cristiana lungo i secoli, resta sempre nuova per la
conversione degli uomini e per il progresso della vita associata, senza
che per questo si giunga a utilizzarla a vantaggio di scelte temporali
particolari, dimenticando il suo messaggio universale ed eterno.
Risorse
DE DINECHIN O., «I segni dei tempi», in Aggiornamenti Sociali, 6 (2012) 539-543.
FOGLIZZO P., «Nuovi orizzonti per la finanza internazionale: Le proposte del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace», in Aggiornamenti Sociali, 2 (2012) 117-125.
PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE (2011), Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale.
REINA M., «Il Concilio Vaticano II e la dottrina sociale», in Aggiornamenti Sociali, 3 (2013) 248-252.
ROGER B., «Il percorso della dottrina sociale (I): da Leone XIII a Pio XII», in Aggiornamenti Sociali, 11 (2013) 786-789
CV = BENEDETTO XVI, lettera enciclica Caritas in veritate, 2009.
DH = CONCILIO VATICANO II, dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 1965.
EV = PAOLO VI, esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 1975.
GS = CONCILIO VATICANO II, costituzione pastorale Gaudium et spes, 1965.
MM = GIOVANNI XXIII, enciclica Mater et magistra, 1961.
OA = PAOLO VI, lettera apostolica Octogesima adveniens, 1971.
PP = PAOLO VI, enciclica Populorum progressio, 1967.
PT = GIOVANNI XXII, lettera enciclica Pacem in terris, 1963.