Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR 2021), che il Governo
italiano ha presentato a Bruxelles rispettando la scadenza del 30 aprile
2021, è un documento corposo e complesso: sfiora le 300 pagine e tocca
molte questioni di straordinaria importanza per la società e l’economia
italiane, rappresentando, a un tempo, un punto di arrivo e di partenza.
È un punto di arrivo nel senso che chiude il processo avviato nella
primavera e nell’estate del 2020 con l’approvazione, da parte delle autorità
europee, del NextGenerationEU (NGEU), per cui ogni Stato membro doveva
presentare il proprio Piano per accedere alla propria quota di fondi comunitari.
Ma è anche – e, forse, soprattutto – un punto di partenza perché
disegna il percorso di riforme e investimenti che l’Italia dovrà percorrere
da qui al 2026. Non è irragionevole affermare che il difficile, soprattutto
per un Paese come il nostro, viene ora.
Il PNRR si apre con una Premessa firmata in prima persona dal presidente
del Consiglio, Mario Draghi, e si articola in quattro parti: 1. Obiettivi generali e struttura del piano; 2. Riforme e investimenti (a sua volta suddivisa
in due parti: Le riforme e Le missioni); 3. Attuazione e monitoraggio; 4.
Valutazione dell’impatto macroeconomico. Questo articolo non si propone
di riassumere il Piano, ma di porne in risalto la filosofia di fondo e i principali
interventi, offrendo una prima valutazione sulla sua adeguatezza per
curare alcuni dei mali, antichi e più recenti, che colpiscono il nostro Paese,
dopo vent’anni di scarsa crescita e un anno e mezzo di devastante pandemia.
Della crescita (che non c’è) ne parla il presidente Draghi sin dalle prime
righe della sua Premessa: «La crisi si è abbattuta su un Paese già fragile
dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Tra il 1999 e il
2019, il PIL in Italia è cresciuto in totale del 7,9%. Nello stesso periodo in
Germania, Francia e Spagna, l’aumento è stato rispettivamente del 30,2,
del 32,4 e del 43,6%. […] Dal 1999 al 2019, il PIL per ora lavorata in
Italia è cresciuto del 4,2%, mentre in Francia e Germania è aumentato
rispettivamente del 21,2 e del 21,3%. La produttività totale dei fattori, un
indicatore che misura il grado di efficienza complessivo di un’economia, è
diminuito del 6,2% tra il 2001 e il 2019, a fronte di un generale aumento
a livello europeo» (PNRR 2021, 2).
Altri dati menzionati sui NEET, sul lavoro femminile, sul degrado ambientale,
sulla familiarità con le tecnologie digitali confermano il divario
fra l’Italia e gli altri grandi Paesi fondatori dell’Europa unita: «Questi ritardi
– scrive ancora Draghi – sono in parte legati al calo degli investimenti
pubblici e privati, che ha rallentato i necessari processi di modernizzazione
della pubblica amministrazione, delle infrastrutture e delle filiere produttive
» (PNRR 2021, 3). Da qui, il binomio inscindibile costituito da riforme
e investimenti che caratterizza il PNRR visto nella sua interezza. [Continua]
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