Distanziati ma vicini: la solidarietà ai tempi della COVID-19. Intervista a Tommaso Vitale

L’epidemia di COVID-19, mentre rende necessario il distanziamento sociale, sta suscitando nuove e varie forme di impegno solidale, mostrando come i legami di solidarietà possono evolversi nello scenario attuale.
Fascicolo: maggio 2020
Tommaso Vitale è direttore scientifico del master “Governing the Large Metropolis” (Sciences Po Urban School), ricercatore al Centre d’études européennes et de politique comparée, e professore associato di Sociologia a Sciences Po (Parigi). Nelle sue ricerche ha approfondito le politiche urbane, la programmazione dei servizi e degli interventi sociali, la governance metropolitana, l’integrazione e la mobilità sociale delle minoranze etniche, il razzismo, le forme di partecipazione associativa, il cambiamento delle culture politiche, la segregazione urbana. Vitale fa parte del Gruppo esperti della redazione di Aggiornamenti Sociali.

Nel numero di maggio gli abbiamo rivolto alcune domande su come la pandemia di COVID-19 sta influenzando i legami sociali e sta riarticolando il concetto e la pratica della solidarietà. Di seguito alcuni passaggi della conversazione (qui puoi leggere l’intervista integrale).


«Per anni - sostiene Tommaso Vitale - abbiamo pensato e vissuto la solidarietà più in termini di presenza e prossimità che come forma di redistribuzione. Non in termini oppositivi alla redistribuzione, ovviamente, ma sempre sottolineando il valore e la potenza dell’esserci, con il proprio corpo e le proprie capacità, incluse quelle relazionali. A fronte delle situazioni di violenza e sofferenza – tra cui le guerre e le carestie – non pensavamo certo che la solidarietà passasse solamente dalla presenza fisica, o che tutti dovessero fare esperienza dei luoghi e dei contesti di sofferenza. Ma certamente guardavamo alla presenza fisica come forma di impegno privilegiata, portatrice di potenziali generativi di incontro, di comprensione, di messa in relazione, anche di istituzione di legami duraturi.

AS - Ma che ne è di questa idea di solidarietà nel momento in cui stare vicini diventa potenzialmente un rischio, per sé e per gli altri?

Effettivamente in questi giorni la grammatica dell’esserci sta mostrando i suoi limiti. Quando la presenza fisica pone a rischio la vita altrui e la forma di sollecitudine più profonda segue un principio di precauzione basato sulla distanza fra i corpi, quell’idea di solidarietà attiva e critica basata sulla presenza non basta più. Nella mia vita ho visto, analizzato e studiato tantissime di forme di azione rappresentate da due mani che si stringono, o due persone che si abbracciano. Ora questi simboli sono ri-significati e retrogradati a comportamenti pericolosi. Rimane comunque un riferimento valoriale condiviso, chiaro e ordinato all’esserci con il proprio corpo, tale per cui chi per competenza, coraggio o necessità è presente fisicamente a contatto con i malati, o anche solo con un pubblico generico, è ritenuto più grande e più solidale di chi è costretto esprimere solidarietà a distanza.

AS - Ma quindi cambia l’idea di solidarietà? Quali nuove forme assumono le pratiche di prossimità ai tempi del distanziamento sociale?

Innanzi tutto, la solidarietà oggi reinterpreta la grammatica di cui dispone ripensando i significati corporali e fisici delle dimensioni di vicinanza, relazione e continuità. Non penso che la dimensione profondamente corporea dell’esserci, maturata negli anni dentro le culture laiche e religiose dell’Italia civile, sia stata sostituita da un esserci su Facebook. Vedo semmai che la voce e l’emozione diventano più importanti del contatto fisico, dell’abbraccio: esse articolano un rapporto verso l’altro profondamente diverso da quello tradizionale, in cui bisognava esser presenti a fianco degli altri in situazione difficile in maniera discreta, silenziosa, operosa. Si andava per stare, proporre e realizzare alternative solidali. Oggi mi sembra che in parallelo emerga anche un’altra dinamica: si tratta di esprimere una condivisione che non possiede più un repertorio semplice di gesti, e che richiede quindi di esprimere con la voce un’emozione. Sia attraverso una ricerca personale di modalità proprie e uniche, sia, invece, aderendo a delle modalità espressive più collettive. (...)

Il parlarsi come se si fosse amici ma su un orizzonte di solidarietà era già parzialmente presente in alcune forme di azione solidale nei confronti delle persone più vulnerabili: penso ad esempio ad alcuni servizi volontari di strada, che avevano rinunciato ad offrire beni materiali, per organizzare solo momenti di convivialità, in cui persone di più o meno vulnerabili potessero incontrarsi e chiacchierare. La pandemia ha fatto sì che molte più organizzazioni si riferiscano a un repertorio di presenza dell’amicizia non per creare “amicizie” in senso proprio, ma per “fare della solidarietà” e costruire dei legami, reinterpretando in maniera inedita i vincoli di prossimità, relazione e continuità. Un caso emblematico è quello delle attività di gioco e aggregazione per bambini, che non potendo altro fare, parlano al telefono, raccontano favole, usano la parola in assenza di altri strumenti. Più in generale il ricorso al telefono per fare sentire una propria presenza, e quindi “fare meno ed esserci di più”, è diventato rapidamente un vero e proprio repertorio di azione di massa. Oggi questa modalità si estende: vediamo così che il senso di pericolo che suscita il coronavirus non dischiude solo astio, paura, o aggressività, ma anche disposizioni amichevoli. È la rivalutazione in maniera ampia di questo tipo di presenza amicale vocale ed emotiva ma a distanza, comunque radicata nelle forme di azione precedenti alla pandemia, che costituisce la novità.

AS - Ma al di là dei rapporti diretti, faccia a faccia, pur mediati dai social media, la solidarietà ha anche una dimensione istituzionale e politica: come si declina oggi?

Certamente vi è una maggior richiesta di azione dello Stato e si invoca una solidarietà intesa come forma di redistribuzione fiscale. Non che questo non fosse presente negli argomenti e nelle rivendicazioni dell’Italia civile che per tanti anni ho studiato. Ma era una rivendicazione dei vertici associativi, dei dirigenti e delle élite intellettuali interne, su cui i gruppi della società civile organizzata non sono mai riusciti a fare dimostrazioni di massa (come invece sui temi del razzismo) o campagne popolari (come invece contro la privatizzazione dell’acqua).

Lo dico con forza, sapendo che in Italia le prime misure di reddito di inclusione per il contrasto alla povertà sono state introdotte dal Governo di centrosinistra nel 2017 grazie all’azione costante di lobbying del Terzo settore (l’Alleanza contro la povertà): ma questa pressione non ebbe a suscitare una adesione popolare diffusa. La solidarietà espressa in termini di redistribuzione fiscale emerge oggi invece come un tema sulla bocca di tutti, e in particolar modo dei cittadini organizzati, che chiedono, come mai prima, “misure di solidarietà”.

Peraltro, la pandemia sta favorendo una nuova politicizzazione della solidarietà. L’azione solidale – faccio riferimento in particolare alla Lombardia, che conosco meglio e che oggi è il territorio più colpito dalla COVID-19 – aveva un carattere di massa sul fare, e un carattere di nicchia estremamente ristretto sul dire. Oggi i gruppi, le associazioni, gli individui che provano a stabilire forme (nuove o ordinarie) di solidarietà sembrano parlare molto di più, e anche parlare molto di più di politica. Nei gruppi oggi si discute di organizzazione del sistema sanitario lombardo e delle sue trasformazioni nel corso degli ultimi vent’anni. E lo si fa non solo in termini di finanziamento e privatizzazione, ma politicizzando anche altre dimensioni relative allo sviluppo territoriale, alla formazione dei medici generici, ecc. Ciò non era avvenuto nemmeno quando era in discussione la riforma del sistema sociosanitario: il settore associativo era impegnato in prima linea con i suoi vertici nel contrastare la riforma e proporne una alternativa, ma nessun gruppo e nessun militante di base seguiva o si appassionava al tema. Molto più di prima sono discussi e invocati strumenti di politica economica e proposte di mutualizzazione del debito, coronabond, ma anche di massicci trasferimenti in direzione dei cittadini, dopo anni di depoliticizzazione dei discorsi delle organizzazioni del Terzo settore, prima incapaci di dedicare tempo e risorse alla discussione popolare degli strumenti di politica economica.


Leggi l'intervista integrale a Tommaso Vitale


13 maggio 2020
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