Destinazione universale dei beni

Fascicolo: febbraio 2012

Se il principio della "destinazione universale dei beni" ha le sue radici nella tradizione più antica, è la formulazione offerta dal Concilio Vaticano II a essere più comunemente citata: «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati devono equamente essere partecipati a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità» (GS, n. 69).
Questo testo enuncia un fondamento di natura teologica: la fede nel Dio che crea il mondo e lo affida all'uomo perché vi trovi tutto ciò di cui ha bisogno per vivere dignitosamente. È un richiamo al libro della Genesi, che il Catechismo della Chiesa Cattolica così riassume: «La creazione è voluta da Dio come un dono fatto all'uomo, come una eredità a lui destinata e affidata» (n. 299). Da questo deriva una esigenza etica concreta: poiché i beni della creazione sono, in linea di diritto, destinati a tutti, essi devono, di fatto, «essere partecipati a tutti» in modo equo. Ogni volta che così non è, si lede la giustizia e quindi la carità. Dato teologico ed esigenza etico-politica sono inseparabili: la fede nel Dio creatore di ogni bene non può dissociarsi dalla responsabilità assegnata agli uomini di far sì che tutti abbiano accesso ai beni della creazione.
La destinazione universale dei beni si presenta così come un criterio di valutazione della giustizia di ogni determinata situazione concreta e come uno stimolo ad agire perché quella giustizia venga rispettata. È importante osservare che, per il Concilio, i beni della creazione sono destinati non solo a «tutti gli uomini», ma anche a «tutti i popoli»: una aggiunta originale, che conferisce al principio della destinazione universale dei beni una dimensione quasi politica.
Nel magistero sociale precedente al Vaticano II, Leone XIII e Pio XII hanno formulato riflessioni su questo tema che suscitano attenzione. È nel corso dell'argomentazione contro la proposta socialista di sopprimere la proprietà privata che Leone XIII menziona il fatto che Dio ha dato la terra in uso e godimento a tutto il genere umano (cfr RN, n. 7). Il contesto indica chiaramente quale sia l'obiettivo: confutare coloro che pretendono di ricavarne un argomento contro la legittimità della proprietà privata; il fatto che Dio abbia dato la terra a tutto il genere umano significa soltanto che «non assegnò nessuna parte del suolo determinatamente ad alcuno, lasciando ciò all'industria degli uomini e al diritto speciale dei popoli» (ivi). La finalità pratica che sarà essenziale per il Concilio Vaticano II - fare in modo che questo principio si traduca nella realtà socioeconomica - non lo è per Leone XIII, che sembra giudicare soddisfacente la situazione sulla base del fatto che la terra, «sebbene divisa tra i privati, resta nondimeno a servizio e beneficio di tutti, non essendovi uomo al mondo che non riceva alimento da essa» (ivi). Strano argomento, che riduce l'accesso ai beni della creazione a quello all'alimentazione.
In Pio XII il testo pertinente si trova nel Radiomessaggio del 1° giugno 1941 in occasione del 50° anniversario della Rerum novarum, che affronta i tre «fondamentali valori» sui quali poggia la vita economica e sociale. Prima di parlare del lavoro e della famiglia, il testo si sofferma sull'«uso dei beni materiali», riprendendo ciò che il Pontefice aveva scritto poco tempo prima nell'enciclica Sertum laetitiae, indirizzata il 1° novembre 1939 ai vescovi degli Stati Uniti: è «inderogabile esigenza che "i beni da Dio creati per tutti gli uomini, equamente affluiscano a tutti, secondo i principi della giustizia e della carità"» (RM 1941, che cita il n. 34 della Sertum laetitiae). Si osserva la somiglianza con la formulazione conciliare, di 24 anni successiva, ma con una notevole differenza in merito al fondamento del «diritto originario sull'uso dei beni materiali» (ivi); per Pio XII, che menziona solo incidentalmente il fatto che tali beni sono «creati da Dio», esso non si inscrive nel registro teologico, ma si fonda piuttosto sulla natura: «Ogni uomo, quale vivente dotato di ragione, ha infatti dalla natura il diritto fondamentale di usare dei beni materiali della terra» (ivi).
Per quanto nette siano queste affermazioni riguardanti la destinazione universale dei beni - quella di Pio XII, che sarà ripresa da Giovanni XXIII nell'enciclica Mater et magistra (n. 30), e quella del Concilio Vaticano II, che Paolo VI citerà nella enciclica Populorum progressio (n. 22) -, non sembra che vi si possa già ravvisare uno dei principi fondamentali della dottrina sociale, allo stesso titolo, ad esempio, della dignità della persona umana. Sarà Giovanni Paolo II ad affermarlo, dapprima di passaggio nel n. 14 dell'enciclica Laborem exercens, poi molto esplicitamente nell'enciclica Sollicitudo rei socialis, là dove presenta come «principio tipico della dottrina sociale cristiana» la convinzione che «i beni di questo mondo sono originariamente destinati a tutti» (SRS, n. 42). Da allora tutte le presentazioni sistematiche della dottrina sociale della Chiesa includono la destinazione universale dei beni tra i suoi principi fondamentali (cfr, ad esempio, CDSC, cap. IV).

Prevalenza sul diritto di proprietà
Se si fa attenzione ai contesti in cui appare questo principio, si nota che si tratta di riflessioni o controversie in merito al diritto di proprietà. Ciò si verifica in tutti i testi appena menzionati, da Leone XIII a Giovanni Paolo II, passando in particolare attraverso la Gaudium et spes, dove si legge: «quali che siano le forme della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli secondo le diverse e mutevoli circostanze, si deve sempre ottemperare a questa destinazione universale dei beni. Perciò l'uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri» (GS, n. 69). Il diritto di proprietà trova quindi un limite nella destinazione universale dei beni, senza peraltro costituire un principio di pari livello: salvo la Rerum novarum, tutti i testi affermano che la seconda deve prevalere sul primo.
È assai chiaro nella Populorum progressio, in cui Paolo VI precisa che «tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati» alla destinazione universale dei beni (PP, n. 22), e mostra che questo principio si radica nella tradizione più antica, citando, a sostegno, i Padri della Chiesa e i grandi teologi, specialmente sant'Ambrogio: «"Non è del tuo avere che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché quel che è dato in comune per l'uso di tutti, è ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi"» (PP, n. 23).
Giovanni Paolo II è altrettanto esplicito: «La tradizione cristiana non ha mai sostenuto questo diritto [di proprietà] come un qualcosa di assoluto e intoccabile. Al contrario, essa lo ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti a usare i beni dell'intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto all'uso comune, alla destinazione universale dei beni» (LE, n. 14). In SRS, n. 42, egli riprende l'immagine di una «ipoteca sociale» che grava sulla proprietà privata, usata per la prima volta nel 1979 in un discorso in Messico.
Se la destinazione universale dei beni limita e inquadra il diritto di proprietà, non si deve pensare che siano per forza in conflitto. Piuttosto, si sostengono l'un l'altro. Così, secondo Pio XII, citato da Giovanni XXIII in MM, n. 101, anche il diritto di proprietà dovrebbe diventare universale perché sia rispettato il «diritto all'uso dei beni della terra», che si traduce nell'«obbligo fondamentale di accordare una proprietà privata possibilmente a tutti» (RMN 1942). Per Giovanni XXIII è importante che la funzione sociale della proprietà non venga presentata come un gravame imposto da un principio esterno, poiché essa «scaturisce dalla stessa natura del diritto di proprietà» (MM, n. 108) e dunque fa parte della sua definizione.

Alcune applicazioni
Come gli altri principi della dottrina sociale, anche quello della destinazione universale dei beni consente di illuminare il giudizio etico su determinate questioni e trova applicazione nella ricerca di soluzioni a problemi concreti.
Un primo caso è quello della riforma agraria. Il Concilio Vaticano II dedica una riflessione abbastanza ampia alla questione etica e politica suscitata dall'esistenza, in molti Paesi poveri, di «proprietà agricole estese o anche molto estese, mediocremente coltivate o tenute in riserva per motivi di speculazione» (GS, n. 71, 6). La critica dei Padri conciliari ha di mira soprattutto le ingiuste condizioni di salario, di lavoro e di alloggio imposte ai braccianti che lavorano in questi "latifondi". Per giustificare una eventuale riforma agraria, che dovrebbe consentire di «distribuire i fondi non sufficientemente coltivati a beneficio di coloro che siano capaci di metterli in valore» (ivi), essi invocano il bene comune, e non il principio della destinazione universale dei beni.
Quest'ultimo è invece al centro dell'argomentazione sviluppata nel 1997 dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace nel documento intitolato Per una migliore distribuzione della terra. La sfida della riforma agraria. Dopo aver descritto la situazione dei latifondi nei suoi diversi aspetti, esso fa riferimento al Concilio Vaticano II per dichiarare: «Per la dottrina sociale, il processo di concentrazione della proprietà della terra è considerato come uno scandalo poiché si oppone nettamente alla volontà e al disegno salvifico di Dio, nella misura in cui nega a una grandissima parte dell'umanità il beneficio dei frutti della terra» (n. 27).
Un secondo ambito in cui viene richiamato il principio della destinazione universale dei beni è quello dei movimenti migratori. Pio XII, nella Costituzione apostolica Exsul familia, afferma che la migrazione permette «la distribuzione più favorevole degli uomini sulla superficie terrestre; superficie che Dio creò e preparò per uso di tutti» (n. 78). L'introduzione della nozione di superficie terrestre, che conferisce alla destinazione universale dei beni una dimensione geografica, costituisce una interessante innovazione: gli uomini hanno in certo modo il diritto di andare a cercare i beni della terra dovunque, se essi non sono disponibili in quantità sufficiente nel luogo in cui vivono. Il più recente documento sulla questione, l'istruzione Erga migrantes, invoca il medesimo principio, ma costruendo il ragionamento in senso inverso: se delle popolazioni sono costrette alla migrazione, uno dei motivi è la cattiva ripartizione dei beni della terra. La conclusione si impone: per ridurre la spinta alla migrazione, occorre una distribuzione più equa di tali beni, il che esige la ricerca di un nuovo ordine economico internazionale.
Una conseguenza, piuttosto indigesta ai popoli ricchi, è il dovere di accogliere le persone che migrano alla ricerca delle risorse che mancano nei loro Paesi. Il Catechismo della Chiesa Cattolica lo formula in termini assai chiari: «Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio Paese di origine» (n. 2241). Per la dottrina cattolica, il diritto degli Stati di regolare i flussi migratori (in vista del bene comune e per nessun'altra ragione) è comunque subordinato a quello riconosciuto a ogni uomo di avere accesso alle risorse vitali. è quanto richiama, ad esempio, la Conferenza episcopale messicana: «Il dono della terra all'uomo, la destinazione universale dei beni per desiderio del Creatore e la solidarietà umana sono anteriori ai diritti degli Stati» (Mensaje al Pueblo de México y a los hermanos migrantes y residentes en el extranjero, 15 novembre 2002, n. 15, <http://es.catholic.net/hispanoscatoli cosenestadosunidos/590/2697/articulo.php?id=28141>).

Nuovi sviluppi
La lenta presa di coscienza da parte della Chiesa dell'importanza etica delle sfide ambientali, abbozzata fin dal 1971 (cfr OA, n. 21), non si è quasi mai fondata sul principio della destinazione universale dei beni, ma a riguardo occorre segnalare la novità del cap. IV dell'enciclica Caritas in veritate, in cui Benedetto XVI esprime la convinzione che quando affermiamo che Dio ha destinato i beni della creazione a tutti gli uomini, bisogna includere anche le generazioni future (cfr CV, n. 48). L'ampliamento dell'orizzonte temporale dell'universalità della destinazione dei beni rappresenta un passaggio fondamentale per l'approfondimento etico del concetto di sostenibilità (cfr CV, n. 50).
In nessun modo, poi, la formulazione del principio della destinazione universale dei beni include una distinzione tra "beni di natura", donati dal Creatore e che devono essere accessibili a tutti, e prodotti dell'azione umana, per i quali vigerebbe un diverso regime. Questo modo di vedere, oltre a essere praticamente insostenibile (la quasi totalità dei beni incorpora, pur in proporzioni variabili, prodotti della natura e frutti del lavoro umano), non è conforme alla teologia cristiana della creazione, per la quale il Creatore affida all'attività umana il proseguimento della propria opera. Tutti i beni esistenti, qualunque ne sia la provenienza, devono «equamente essere partecipati a tutti». Poco prima della sua morte, Giovanni Paolo II aveva precisato questo punto a proposito dei frutti del progresso scientifico e tecnico: «Il bene della pace va visto oggi in stretta relazione con i nuovi beni, che provengono dalla conoscenza scientifica e dal progresso tecnologico. Anche questi, in applicazione del principio della destinazione universale dei beni della terra, vanno posti a servizio dei bisogni primari dell'uomo» (Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2005, n. 7).
Questa declinazione del principio potrà illuminare il dibattito sui «beni comuni» (global commons), la cui definizione ed estensione è materia di controversie in seno alle istituzioni internazionali. I cristiani si impegneranno a far prevalere una loro comprensione ampia (ad esempio, in materia di proprietà intellettuale delle scoperte terapeutiche; cfr CV, n. 22), piuttosto che la difesa di rivendicazioni nazionali o di interessi particolari.
Nel contesto della globalizzazione, le violazioni del principio della destinazione universale dei beni sono più evidenti, così come più viva è la coscienza dello scandalo della disuguaglianza tra gli uomini e tra i popoli. Può la Chiesa accontentarsi di affermare con forza che i beni sono destinati a tutti senza fornire indicazioni su come far rispettare questa esigenza? In effetti, il magistero sociale contiene alcuni stimoli: sono gli inviti - molto espliciti in Giovanni XXIII (cfr PT, nn. 71-74), nel Concilio e recentemente in Benedetto XVI (cfr CV, n. 67) - a costruire istituzioni politiche mondiali dotate del potere di decisione sui problemi che non possono trovare soluzioni se non planetarie.
Si tratta di un orientamento piuttosto generale, che non dice molto sui mezzi per attuarlo, la cui ricerca spetta più alla competenza dei laici - specialmente quelli impegnati per convinzione o per professione nelle sedi internazionali - che non al magistero. Ad esso si può forse chiedere di affermare con chiarezza ancora maggiore che non ci sarà una giusta distribuzione dei beni della terra tra i popoli se non si rimedierà alla iniqua ripartizione dei poteri decisionali tra di loro.

Risorse
CCC = Catechismo della Chiesa cattolica, 1992.
CDSC = PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 2004.
CV = BENEDETTO XVI, lettera enciclica Caritas in veritate, 2009.
GS = Gaudium et spes, costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 1965.
LE = GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica Laborem exercens, 1981.
MM = GIOVANNI XXIII, lettera enciclica Mater et magistra, 1961.
OA = PAOLO VI, lettera apostolica Octogesima adveniens, 1971.
PP = PAOLO VI, lettera enciclica Populorum progressio, 1967.
PT = GIOVANNI XXIII, lettera enciclica Pacem in terris, 1963.
RM 1941 = PIO XII, Radiomessaggio nel 50° anniversario della «Rerum novarum», 1° giugno 1941.
RMN 1942 = PIO XII, Radiomessaggio natalizio, 24 dicembre 1942.
RN = LEONE XIII, lettera enciclica Rerum novarum, 1891.
SRS = GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica Sollicitudo rei socialis, 1987.
GIOVANNI PAOLO II, «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male», Messaggio per la celebrazione della XXXVIII Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2005.
PIO XII, costituzione apostolica Exsul familia, 1° agosto 1952.
PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI, istruzione Erga migrantes caritas Christi, 3 maggio 2004.

* La rubrica «Cristiani e cittadini» è realizzata in collaborazione con il CERAS (Centre de Recherche et Action Sociales di Parigi) e la sua rivista Projet. I testi originali sono disponibili sul sito <www.ceras-projet.org/dsc>. La traduzione italiana è a cura di Rocco Baione SJ. Per i testi del magistero si fa riferimento alla versione disponibile su <www.vatican.va>.

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