I delegati delle Settimane sociali dei cattolici in Italia hanno lasciato Trieste da pochi giorni, ma il percorso avviato nel 2023 che ha come tema “Al cuore della democrazia” non si è certo concluso.
Come ha affermato nel suo ultimo intervento mons. Luigi Renna, presidente del Comitato scientifico e organizzatore, è prematuro cercare di trarre delle conclusioni, perché questa cinquantesima edizione è stata pensata e costruita non come un evento puntuale, ma come un percorso che si snoda nel tempo, come un processo che aspira a essere moltiplicatore generativo di idee e condivisioni, contaminazioni e iniziative in tutto il Paese, e non solo per quanti erano presenti a Trieste, su una questione quanto mai urgente in Italia e non solo: ripensare e riaccendere la passione per la partecipazione alla vita democratica a tutti i livelli (non è infatti solo in gioco la crescita dell’astensionismo).
A settembre saranno rese note le raccomandazioni emerse dal lavoro svolto dai delegati e ci saranno anche appuntamenti per proseguire quanto le varie realtà coinvolte nell’intero percorso hanno già da tempo iniziato a vivere in termini di ascolto, dialogo, lavoro insieme. Ma fin d’ora quanto accaduto a Trieste costituisce un prezioso patrimonio di idee ed esperienze unico e originale per ciascuno dei 1.192 delegati, con una rappresentanza numerosa di giovani (circa un terzo), e per le numerose realtà ecclesiali presenti.
Anche noi come Redazione di Aggiornamenti Sociali abbiamo partecipato alle Settimane sociali, con due delegati e uno stand delle buone pratiche, e concordiamo sull’importanza di questo patrimonio che riteniamo vada riconosciuto e fatto proprio. È importante anche raccontarlo, farlo conoscere, testimoniarlo perché l’esperienza non resti confinata a un tempo e a un luogo, i 5 giorni di Trieste, ma sia accessibile anche ad altri. Per questo proviamo a farlo, evidenziando alcuni aspetti positivi che ci hanno colpito.
Innanzi tutto, alla Settimana sociale di Trieste si è respirata l’energia e la creatività di tante persone e realtà, ben radicate nei loro territori e impegnate in attività tra loro molto diverse per aree di intervento o tipologia (dalle iniziative di contrasto delle povertà alla formazione). Soprattutto, però, sono persone mosse dalla passione per quello che fanno, per i valori che li spingono ad agire e pensare, che è più forte delle fatiche che vivono, degli ostacoli con cui si confrontano, delle preoccupazioni e dei timori con cui devono fare i conti. Senza nessun cedimento a un ottimismo ingenuo, questa passione si incarna nella concretezza delle questioni e per questo è capace di incidere nelle dinamiche distorte e distorsive della nostra vita insieme e di generare speranza in quanti ne sono protagonisti e testimoni.
Questo avviene perché la passione si accompagna a una grande qualità nell’analisi e nella riflessione. Gli interventi ascoltati nel Centro congressi e nelle Piazze della democrazia non fanno altro che confermare quanto spessore vi sia nel pensiero maturato da tante donne e uomini del nostro Paese, a partire dalle parole pronunciate dal presidente Sergio Mattarella che ha sottolineato, tra gli altri spunti, la prova che attende ogni generazione: «battersi affinché non vi possano essere più “analfabeti di democrazia”», un compito che riguarda tutti, «non soltanto chi riveste responsabilità o eserciti potere».
Come delegati abbiamo poi sperimentato il metodo di lavoro proposto da Giovanni Grandi, incentrato sull’ascolto e lo scambio per elaborare proposte e assumere decisioni insieme. Come ha sottolineato p. Giacomo Costa nell’ultima giornata, questo metodo può divenire uno stile, il tratto caratteristico di un modo di agire imperniato su una partecipazione propositiva. Come per ogni novità, non è mancato qualche intoppo e qualche aspetto va messo a punto, ma la percezione chiara è che può essere uno strumento importante se con intelligenza si riesce ad adattarlo alle singole situazioni, un aiuto per mettere a fuoco obiettivi e passi da compiere senza disperdere risorse ed energie. Questo vale, in particolare, quando a utilizzarlo sono gruppi più ristretti, per ragionare insieme su questioni circoscritte.
Infine, ci siamo resi ancora una volta conto di quanto siano importanti i luoghi. La città di Trieste, proiettata sul mare, sulla frontiera tra Oriente e Occidente, con le sue belle piazze mitteleuropee e i silos dove trovano rifugio i migranti della rotta balcanica, non è stata uno scenario anonimo. La sua conformazione urbanistica ha reso possibile aprire questa edizione della Settimana sociale alla città, senza lasciarla confinata negli spazi chiusi di un centro congressi. Le piazze e le vie del centro si sono animate con le Piazze della democrazia e gli stand delle buone pratiche, dove è stato possibile ascoltare e porre domande, incontrarsi e conoscersi in modo disteso, fare rete e raccontare anche ai cittadini di Trieste che cosa stava succedendo in città. Si è avviata quella che speriamo in futuro possa rimanere una caratteristica della Settimana sociale: essere un crocevia di persone che si incontrano, dove la riflessione e l’azione si coniugano nella ricerca della giustizia. La storia e il presente del capoluogo friulano hanno permesso che le tante domande di questo tempo sulla pace, le povertà, l’accoglienza non rimanessero astratte. I luoghi sono generativi, ci plasmano e vengono plasmati dalle nostre scelte, per questo essere attenti e capaci di prendercene cura costituisce un’opportunità e un dovere.