Si direbbe che anche i cittadini di buona volontà si siano rassegnati alla crisi che caratterizza la situazione italiana e non trovino la forza di reagire. Dopo aver evidenziato gli elementi più significativi del quadro politico che si è delineato in seguito alle elezioni europee del giugno scorso, l’A. invita a riattualizzare le intuizioni del popolarismo sturziano: ispirazione religiosa, laicità, riformismo e territorialità. Il cammino non sarà né breve né facile. Ricostruire un’area neopopolare democratica all’interno di un «polo delle solidarietà» che riunisca le forze costruttivamente riformiste può essere però una alternativa concreta rispetto al populismo imperante
Raramente il disorientamento è stato tanto grande in Italia. Si ha la
netta sensazione che il Paese sia impantanato in
una palude. Emblematico della gravità della crisi è lo sbandamento anche
dei cattolici. Il sondaggio IPSOS «I cattolici dopo le elezioni del
2009», pubblicato
il 24 settembre scorso (consultabile in
<www.sondaggipoliticoelettorali.it>), rivela che essi non sanno
più che cosa fare: il 77% ritiene che una loro «forza
organizzata non serve», mentre il 54% stima che oggi in Italia non vi
sia una forza politica che rappresenti i valori cristiani meglio delle
altre. La conseguenza è
che, nelle consultazioni europee del 2009, l'assenteismo dei cattolici
ha raggiunto il 39,1%, con un'impennata del 14,6% rispetto alle elezioni
politiche del 2008.
Si direbbe
che anche i cittadini di buona volontà, e i cattolici tra loro, si siano assuefatti alla crisi e abbiano perso la volontà di reagire. Come si spiega altrimenti
che la maggioranza degli italiani assiste rassegnata allo scempio, che per mesi si parli di «veline» e dei festini del premier,
anziché dei gravi problemi
che angosciano le famiglie, i giovani, i lavoratori? Com'è possibile che
siano così limitati i segni di rivolta morale o le voci di sdegno di
fronte a scelte legislative
che violano lo spirito (e talvolta la lettera) della Costituzione: dal
«lodo Alfano» all'introduzione del reato di clandestinità, al
respingimento in mare di
poveri in fuga dalla fame e da situazioni disumane, agli attacchi contro
la libertà di stampa, al condono fiscale con cui periodicamente si
premiano i ricchi disonesti e
s'irridono i cittadini onesti?
In una simile situazione, che cosa
possono e devono fare i cittadini onesti e, tra loro, i cattolici?
Esiste una via per uscire dalla palude? Siamo
convinti di sì, come si può vedere: 1) analizzando alcuni orientamenti
significativi del quadro politico; 2) recuperando le intuizioni del
popolarismo sturziano come
antidoto al populismo imperante; 3) sviluppando prospettive realistiche
per costruire un «polo (o popolo) delle solidarietà».
1. Orientamenti significativi del quadro politico
Confrontando i risultati delle elezioni politiche dell'aprile 2008
con quelli delle elezioni del giugno 2009, emergono alcuni orientamenti
significativi che caratterizzano l'attuale
quadro politico.
a) Rifiuto del bipartitismo e consolidamento della logica del bipolarismo.
Le elezioni politiche del 2008, infatti, si erano tenute
puntando al bipartitismo: Veltroni, che per primo aveva scelto di
«andare da solo», al di là dell'alleanza contingente con l'IDV (Italia
dei valori), puntava
a fare del PD (Partito democratico) il partito unico dei riformisti;
Berlusconi, a sua volta, spingendo FI (Forza Italia) e AN (Alleanza
nazionale) a confluire nel PDL (Popolo della
libertà), mirava al partito unico della destra, al di là dell'alleanza
contingente con la Lega Nord.
Tuttavia, l'affermazione dei partiti minori (Lega Nord, IDV
e UDC) nelle elezioni europee del 2009, con il ridimensionamento
dei due partiti maggiori, e soprattutto il fallimento del referendum
sulla legge elettorale del 21-22 giugno
2009 hanno dimostrato che almeno per ora bisogna fermarsi al
bipolarismo, senza pensare a costruire due soli grandi partiti; manca
infatti la necessaria omogeneità culturale
per realizzarli. Un'ulteriore conferma è arrivata dai ballottaggi delle
elezioni amministrative avvenuti nelle stesse date, quando l'UDC, forte
del consenso elettorale ottenuto
(6,51%), si è proposta come ago della bilancia, alleandosi in alcuni
casi con il PD e in altri con il PDL: in cinque delle sei Province in
cui l'UDC si è alleata con
il PD, il centro-sinistra ha vinto largamente; cosicché non pochi
commentatori vedono nel ritorno di una coalizione di centro-sinistra
rinnovata la via per sbloccare il confronto
politico in Italia.
b) Rifiuto del progetto di un centro moderato,
secondo quanto emerso dalle ultime consultazioni popolari.
Pierferdinando Casini ci
ha provato ancora una volta, inutilmente. Aveva già fallito nelle
elezioni politiche del 2008 quando, nonostante l'apporto della Rosa
bianca di Pezzotta, l'UDC aveva ottenuto
il 5,6%, perdendo oltre un punto percentuale sul risultato del 2006
(6,8%). Ora il fallimento del 2009 è la prova definitiva che gli
italiani non credono a un partito moderato
di centro. Infatti, nel 2008 e nel 2009 - a differenza di quando
fallirono Mino Martinazzoli (1994) e Sergio D'Antoni (2001) -, lo spazio
per l'affermazione di un centro moderato
c'era. Dissolti sia il centro-destra (in seguito all'esclusione di
Casini da parte di Berlusconi) sia il centro-sinistra (dopo
l'estromissione di Bertinotti da parte di Veltroni),
per la prima volta dopo 15 anni si era venuto a creare uno spazio
intermedio tra il PDL alla destra e l'Arcobaleno alla sinistra
(estrema).
Perciò, l'ennesimo fallimento
del progetto di un centro moderato oggi non si può attribuire (come nei
casi precedenti) al sistema elettorale, ma al rifiuto dell'elettorato;
rafforzato - aggiungiamo noi
- anche dalla mancanza di credibilità di una UDC che per 14 anni è stata
alleata della destra (dalla quale si è staccata solo perché Berlusconi
l'ha
respinta) e che oggi si mostra pronta ad allearsi sia con il PDL sia con
il PD; come potrebbe essere credibile un partito che invia al
Parlamento personaggi inquisiti o addirittura
condannati (anche se non con sentenza definitiva) per questioni di
mafia, e ricicla uomini del passato che hanno fatto largamente il loro
tempo?
c) Improponibilità
di un partito d'ispirazione cristiana. Se i cattolici fossero stati
interessati all'idea, nel 2008 esistevano tutte le condizioni favorevoli
per realizzarla. Non solo si era
liberato il necessario spazio intermedio al centro del quadro politico,
ma Casini (dopo la fine dell'Unione dei democratici per l'Europa,
l'UDEUR di Mastella) aveva buon gioco a
presentarsi come l'ultimo epigono della Democrazia cristiana (DC).
Inoltre, durante la campagna elettorale, aveva molto insistito
sull'identità cristiana dell'UDC e sull'impegno
in difesa dei «valori non negoziabili», né erano mancati segnali
espliciti di appoggio da parte di autorevoli ambienti ecclesiastici,
come nel caso del singolare
intervento del 9 febbraio 2008 dell'allora direttore di Avvenire Dino Boffo al TG1 delle 20, che suggeriva a Berlusconi di estendere a Casini il patto stretto con Bossi,
accreditando l'UDC come «un partito che fa direttamente riferimento alla dottrina sociale cristiana».
Ebbene, se questi sono gli orientamenti dell'attuale quadro
politico, è giunto il momento di chiedersi se non vi sia lo spazio per un'iniziativa politica nuova per uscire dalla palude in cui il Paese è sprofondato, a
causa del mix populista di «berlusconismo» e di «leghismo» che sta avvelenando l'Italia. Molti si chiedono perché UDC e PD non si alleino
tra di loro. Riteniamo che questa ipotesi almeno per ora sia
irrealizzabile: sia perché entrambi i partiti dovrebbero prima
rinnovarsi profondamente, cominciando con
il chiarire la propria identità, sia perché una coalizione formata
dall'UDC e dal PD, più che un'iniziativa nuova, apparirebbe una
riproposizione di vecchie
logiche.
2. Popolarismo versus populismo
Perché non potrebbero essere i cattolici, svegliandosi dal letargo, a
ispirare e promuovere un'iniziativa coraggiosa? Vi insistono da tempo i
vescovi, e Benedetto XVI
stesso continua a ripeterlo. L'ha detto a Verona, nel 2006, nel Discorso
ai partecipanti al IV Convegno nazionale della Chiesa italiana,
esortando i cattolici ad «aprirsi
con fiducia a nuovi rapporti, non trascurare alcuna delle energie che
possono contribuire alla crescita culturale e morale dell'Italia»; lo ha
ribadito a Cagliari, nel 2008,
nella celebrazione eucaristica al santuario di Nostra Signora di
Bonaria, quando ha auspicato l'avvento di «una nuova generazione di
laici cristiani impegnati capaci»,
e ora ne ha indicato i presupposti nell'enciclica Caritas in veritate (cfr <www.vatican.va>).
Anzi, proprio la coincidenza della pubblicazione dell'enciclica con
le celebrazioni per il 50° della morte di don Sturzo offre l'occasione di richiamare l'attenzione sulla validità del popolarismo per porre un argine alla pericolosa
deriva populista oggi in atto in Italia (cfr CAMPANINI G., L'eredità di Sturzo,
in questo fascicolo alle pp. 651-661). Non si tratta di alimentare
sterili nostalgie
per il passato. Sturzo non accettò mai che i cattolici formassero un
partito proprio e «collaterale» alla Chiesa, come poi accadde con la DC.
Secondo lui i cattolici
democratici avrebbero dovuto dare vita piuttosto a un'«area popolare
democratica», cioè a un soggetto politico laico e autonomo nei confronti
della Chiesa, aperto
a tutti i «liberi e forti» (credenti e non credenti), fondato sul
primato della società civile (cfr «Riattualizzare il popolarismo
sturziano», in
SORGE B., Cattolici e politica, Armando editore, Roma 1991, 261-279). È importante, perciò, evidenziare la piena coincidenza del recente insegnamento sociale
della Chiesa con i quattro elementi essenziali del popolarismo sturziano: a) ispirazione religiosa, b) laicità, c) riformismo coraggioso, d) territorialità
(ivi, 266 ss.).
a) Ispirazione religiosa.
L'originalità del popolarismo sturziano, in aperto contrasto con le
diverse forme di populismo
e con i vecchi partiti ideologici, sta nel porre l'ispirazione religiosa
a garanzia dei diritti civili e delle libertà fondamentali. Essa, nel
pieno rispetto della laicità
- spiega don Sturzo - non può non avere rilevanza anche politica, perché
è «la realizzazione concreta sociale del bisogno dell'assoluto», su cui
si fondano diritti e doveri; «l'errore moderno è consistito nel separare
e contrapporre umanesimo e cristianesimo: dell'umanesimo si è fatto
un'entità
divina; della religione cristiana un affare privato [...]. Bisogna
ristabilire l'unione e la sintesi dell'umano e del cristiano» (cit. ivi, 267 s.).
Ribadisce
papa
Ratzinger: «La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla
fede, e questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi
onnipotente. A sua volta, la religione
ha sempre bisogno di venire purificata dalla ragione per mostrare il suo
autentico volto umano. La rottura di questo dialogo comporta un costo
molto gravoso per lo sviluppo dell'umanità»
(Caritas in veritate, n. 56).
b) Laicità.
Popolarismo - dice Sturzo - è dare voce a una tendenza della base
sociale del Paese, di
tutti coloro (credenti e non credenti) che si riconoscono in un
programma di cose da fare, ispirato ai valori di un umanesimo
trascendente, ma mediati in scelte laiche, condivisibili
da tutti gli uomini di buona volontà, in vista del bene politico comune
che è laico. Che ciò sia possibile lo dimostra la nostra Costituzione, i
cui valori
ispiratori sono chiaramente laici e concordano con i principi
fondamentali della dottrina sociale della Chiesa: primato della persona,
solidarietà, sussidiarietà,
bene comune.
Così anche Benedetto XVI nel discorso all'Eliseo (12
settembre 2008): «In questo momento storico in cui le culture si
incrociano tra loro sempre di
più, sono profondamente convinto che una nuova riflessione sul vero
significato e sull'importanza della laicità è divenuta necessaria. È
fondamentale
infatti, da una parte, insistere sulla distinzione tra l'ambito politico
e quello religioso al fine di tutelare sia la libertà religiosa dei
cittadini sia la responsabilità
dello Stato verso di essi e, dall'altra parte, prendere una più chiara
coscienza della funzione insostituibile della religione per la
formazione delle coscienze e del contributo
che essa può apportare, insieme ad altre istanze, alla creazione di un
consenso etico di fondo nella società».
c) Riformismo coraggioso
e responsabile. Il primato della società civile - dice Sturzo -
porta diritto al rifiuto del «conservatorismo» e del «moderatismo» e
alla ricerca
di un riformismo coraggioso e responsabile: «I conservatori - conclude
nel famoso discorso di Caltagirone (24 dicembre 1905) - sono dei
fossili, per noi, siano pure dei cattolici;
non possiamo assumerne alcuna responsabilità. Ci si dirà: ciò scinderà
le forze cattoliche. Se è così, che avvenga. [...] Due forze contrarie
che si elidono arrestano il movimento e paralizzano la vita».
Il vero
riformismo, secondo Sturzo, si deve fondare sul nesso tra sussidiarietà
e solidarietà.
Infatti, «I mondi vitali, le classi, i Comuni, le Province e le Regioni
sono - nella concezione popolare sturziana - gli organi naturali della
società. Ognuno di questi
organi ha le sue caratteristiche, la sua autonomia, la sua ragion
d'essere che nessuno può violare. Nella solidarietà di questi organi tra
di loro e in vista del bene
comune sta la forza del riformismo democratico, che porta lo Stato a
essere sempre più un'espressione adeguata della società, delle sue
esigenze, delle sue aspirazioni»
(cit. in SORGE B., Cattolici e politica, cit., 276 s.).
È la medesima riflessione di Benedetto XVI nella Caritas in veritate.
Ribadita la necessità
di «incentivare la collaborazione fraterna tra credenti e non credenti
nella condivisa prospettiva di lavorare per la giustizia e la pace
dell'umanità», egli
sottolinea: «Il principio di sussidiarietà va mantenuto strettamente
connesso con il principio di solidarietà e viceversa, perché se la
sussidiarietà
senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale, è altrettanto
vero che la solidarietà senza la sussidiarietà scade
nell'assistenzialismo che umilia
il portatore di bisogno» (nn. 56-58).
d) Territorialità.
Infine, un popolarismo autentico nasce dalla base. Sturzo si convinse
del ruolo
insostituibile delle autonomie locali in seguito all'esperienza diretta
che ne fece, come consigliere comunale e provinciale e come pro-sindaco
di Caltagirone. Venne da qui il suo
impegno regionalista, con il quale si adoperò per porre un argine alla
deriva dell'individualismo liberista e populista.
È interessante
notare che su questa linea
si muove un importante documento del Consiglio permanente della CEI. Nel
1981, di fronte ai primi segnali di crisi della DC, i vescovi parlarono
di una nuova forma di presenza dei
cattolici in collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà: «Si
parte dalle realtà locali, dal territorio. E si è partecipi delle sorti
della vita
e dei problemi del Comune, delle circoscrizioni e del quartiere: la
scuola, i servizi sanitari, l'assistenza, l'amministrazione civica, la
cultura locale. Ci si apre poi alla struttura
regionale, alla quale oggi sono riconosciute molte competenze di
legislazione e di programmazione. Così la presenza si estenderà anche ai
livelli nazionale, europeo
e mondiale, e potrà avere efficacia. È sbagliato, infatti, contare solo
sui tentativi di rifondazione o di riforma che vengono dai vertici della
cultura ufficiale
e della politica» (La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, 1981, n. 33).
Pertanto, tenendo presenti gli attuali orientamenti del quadro politico e l'insegnamento
sociale della Chiesa, non è azzardato concludere che oggi è possibile riattualizzare il popolarismo sturziano, per far fronte ancora una volta al ricorrente
pericolo d'involuzione populista. Quali sono le prospettive concrete di riuscirvi?
3. Il «polo (o popolo) delle solidarietà»
È difficile dirlo oggi con certezza, perché molto dipenderà
dall'evoluzione che nei prossimi mesi subiranno sia i partiti, sia il
quadro politico. Di certo
nelle ultime settimane i rapporti istituzionali si sono fatti molto tesi
anche a seguito della bocciatura del «lodo Alfano», che rischia di
destabilizzare o radicalizzare
il «berlusconismo». Per questo è quanto mai urgente che tante energie
attualmente in fuga dalla politica o inutilizzate si mobilitino per
riattualizzare il popolarismo
con i suoi elementi caratteristici (ispirazione cristiana, laicità,
riformismo, territorialità). Si tratta di
cominciare a federare tra loro le diverse realtà
locali, che si riconoscano sulla base di una cultura politica condivisa,
coinvolgendo responsabilmente le municipalità, l'associazionismo, i
corpi intermedi, i mondi
vitali, con il proposito di rafforzare lo Stato unitario e di
ristabilire il primato dell'etica civile nelle relazioni sociali. Si
tratta, cioè, di costruire un'
area neopopolare
democratica che, a partire dalle Regioni, giunga ad avere dimensione nazionale.
Ovviamente
il cammino non sarà breve,
almeno per due ragioni. La prima è
legata alla continua nascita di movimenti politici che, intercettando il
diffuso e comprensibile malcontento dei cittadini, sottraggono energie
positive al bene del Paese, quando
non sono delle vere e proprie schegge impazzite (come il recentissimo
Movimento 5 stelle di Beppe Grillo). La seconda è la necessità che si
rinnovi la classe politica.
Occorre, cioè, che i vecchi
leader si facciano da parte (non esistono «uomini per tutte le stagioni») ed emerga un gruppo di donne e uomini credibili e
preparati, provvisti di entusiasmo e di coraggio.
Che si chiami area neopopolare democratica o in altro modo, tale nuovo soggetto politico e le altre eventuali forze riformiste
potrebbero dare vita insieme a un
polo (o popolo) delle solidarietà, ossia a una rinnovata e diversa strategia di centro-sinistra, finalmente in grado - nell'ottica
dell'alternanza propria del bipolarismo - di realizzare un'alternativa effettiva al populismo.
Dunque,
la nuova iniziativa non mira a scomporre i partiti esistenti per
attrarre
a sé i militanti che già operano nell'uno o nell'altro soggetto
politico. Le differenti culture politiche che hanno fatto l'Italia, e
alle quali i partiti si richiamano,
non devono andare disperse, e va ribadita la legittimità di tutti i
cittadini - cattolici inclusi - di militare in qualsiasi partito
autenticamente democratico. Si propone
invece di
alimentare il dialogo tra le diverse componenti democratiche del nostro Paese, vigilando con attento discernimento così da cogliere eventuali nuovi fermenti
riformisti (circoli culturali, associazioni, movimenti, ecc.).
A noi qui preme soprattutto di mostrare che una strada per uscire dalla palude esiste e che non c'è più
tempo da perdere nel percorrerla. Nessuno dunque può tirarsi indietro. Questo è il momento di osare.