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Una vita per la Chiesa. P. Bartolomeo Sorge (1929-2020)

Il sogno di una Chiesa libera e povera, la necessità di un modo nuovo di fare politica e l’orizzonte della costruzione della “civiltà dell’amore” sono le coordinate a cui si è ispirato p. Bartolomeo Sorge lungo tutta la sua vita.
Fascicolo: dicembre 2020

Le ultime settimane di lavoro della Redazione, in vista della chiusura di questo numero, sono state accompagnate dal frequente ricordo di p. Bartolomeo Sorge, direttore di Aggiornamenti Sociali dal 1997 al 2009 e successivamente nostro direttore emerito. scomparso il 2 novembre scorso. Con il passare dei giorni, insieme al ricordo di tanti episodi di vita di Redazione e di comunità, è emerso quello di alcuni nuclei centrali del suo pensiero, a partire dai quali come direttore orientava la linea della Rivista. Essi tornano con insistenza nelle sue parole e nei suoi scritti: un fil rouge che attraversa non solo gli oltre 160 articoli pubblicati sulle pagine della nostra Rivista, ma tutta la sua attività e la vita di gesuita, politologo, esperto di dottrina sociale, teologo, scrittore, conferenziere. Ci sembrano snodi cruciali per chi vuole cimentarsi con il compito di affrontare «i problemi dell’attualità sociale, politica, economica e culturale, proponendone una lettura critica e suggerendo orientamenti operativi, alla luce sia dei risultati di un’analisi scientifica della realtà, sia degli insegnamenti sociali della Chiesa», per utilizzare le parole con cui Aggiornamenti Sociali esprimeva la propria mission negli anni in cui p. Sorge ne era il direttore.

Senza volerne tracciare un quadro completo, li condividiamo con i nostri amici e lettori: chi ha conosciuto p. Sorge ritroverà tanti momenti vissuti con lui; chi non lo ha conosciuto sentirà che non si tratta solo di concetti teorici, ma di convinzioni basate sull’esperienza illuminata da un’acuta intelligenza e profonda fede. Per questo siamo sicuri che l’ispirazione del p. Sorge continuerà a essere feconda per il nostro impegno e l’impegno di tutti coloro che intendono dedicarsi con passione alla costruzione di una “civiltà dell’amore”.

Una Chiesa libera e povera

L’esperienza più forte vissuta dal p. Sorge è stata probabilmente quella del Vaticano II, o meglio dell’entusiasmo e delle attese che il Concilio seppe generare nella Chiesa di quel tempo. È alla costruzione di una Chiesa autenticamente conciliare che p. Sorge ha dedicato l’intera esistenza: una Chiesa libera, povera, al servizio di tutta l’umanità. Una Chiesa conciliare è innanzi tutto libera dai privilegi di cui godeva nel “regime di cristianità”, la cui fine è frutto del processo di secolarizzazione, ma va compresa anche sul piano teologico: un lavoro tutt’altro che concluso, come ripeteva instancabilmente p. Sorge. Il Concilio spinge la Chiesa a uscire dalle mura del tempio e dal recinto dei propri privilegi, per essere presente là dove si costruisce la città dell’uomo.

Per questo la Chiesa ha bisogno di essere libera al proprio interno, tagliando alla radice ogni forma di clericalismo che distingue tra i membri di serie A (il clero) e di serie B (i laici). Come insegna il n. 32 della costituzione dogmatica conciliare Lumen gentium, «comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione». Chiunque ha un ruolo nella Chiesa è chiamato non a esercitare un potere, ma a svolgere un servizio, e lo “spirito di collegialità” dovrà animare tutta la vita della Chiesa, non solo le relazioni tra Papa e vescovi.

Libera dal potere temporale, la Chiesa può assolvere meglio alla funzione di coscienza critica del mondo, può aprirsi con coraggio alle sfide della giustizia e della pace, della fame e dello sviluppo economico. La sua missione però non consiste solo nel denunciare con parresia evangelica ciò che va contro Dio e contro l’uomo, ma anche nel prendere posizione positivamente in difesa dei diritti umani e del bene comune, capace di «vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza, in qualsiasi cultura, in qualsiasi città», per utilizzare le parole di papa Francesco nel n. 75 di Evangelii gaudium, che per p. Sorge sono una riproposizione del cuore del Concilio. Per questa ragione, e non per una presa di posizione demagogica o ideologica, la Chiesa ha bisogno di essere povera e amica dei poveri.

Una Chiesa che si sforza di essere fedele al messaggio del Concilio è capace di dialogo con tutti, non tanto a partire da principi dottrinali e astratti, calati dall’alto, ma ponendosi sul piano esistenziale, cioè testimoniando il Vangelo con la vita, più che con le parole. Per p. Sorge, la presenza di Dio che guida la storia non va dimostrata, ma va più semplicemente scoperta. La sfida è difficile, perché bisogna cercare nuovi linguaggi, senza smarrire la fedeltà al Vangelo nella consapevolezza che la verità non è un’astrazione, ma si integra nel cammino storico di ogni vivente.

Portare pace e speranza alla città

Per portare avanti questa missione della Chiesa è necessario un laicato maturo, capace di leggere con fede i «segni dei tempi» e di rispondere con coerenza e competenza alle sfide sociali della nuova evangelizzazione, tanto che p. Sorge chiama la presente fase storica «la stagione del laicato». Saranno soprattutto i laici a sostenere il dialogo interculturale, necessario per creare l’ethos comune di cui ha bisogno l’umanità del terzo millennio in via di globalizzazione, nel rispetto del pluralismo e della laicità della politica e della cultura, in modo da accompagnare e orientare in senso autenticamente umano l’inarrestabile sviluppo tecnico e scientifico dei nostri giorni.

È qui la radice degli innumerevoli tentativi di p. Sorge di individuare un modo nuovo di fare politica, che tragga i cristiani fuori dalla palude della loro attuale insignificanza e li metta in grado di contribuire, insieme con tutti i sinceri democratici, al superamento della grave crisi politica. In ogni occasione, fino all’ultima intervista che pubblichiamo nelle pagine seguenti, ha ripetuto che non si tratta di far rivivere obsolete forme di partito cattolico, ma piuttosto di riattualizzare il popolarismo sturziano, debitamente ripensato, come impegno di tutti per una buona politica, poiché non interpella solo i cristiani impegnati in politica, ma è un valido strumento, offerto a «tutti i liberi e forti», per superare la grave crisi politica attuale.

Sono proprio gli elementi della matrice sturziana, assunta come ispirazione da attualizzare nelle circostanze del nostro tempo e non come canovaccio da seguire pedissequamente, a rappresentare le coordinate di riferimento del pensiero politico di p. Sorge, a partire dal porre l’ispirazione religiosa a garanzia dei diritti civili e delle libertà fondamentali, e quindi nel pieno rispetto della laicità. Si radica qui l’opposizione a ogni forma di confessionalismo, anche mascherato, che sostituisce il rigore morale e la tensione ideale del servizio con il ricorso formale al termine “cristiano” usato come marchio o etichetta. Per questo p. Sorge dedicò tanto impegno, in particolare negli anni palermitani ma non solo, alla formazione delle coscienze, per dare un fondamento etico all’impegno politico.

È questo autentico popolarismo l’unico antidoto contro il populismo, che p. Sorge lucidamente definiva «la peggiore infermità che possa colpire la democrazia» («Prospettive per una «buona politica». Papa Francesco e le intuizioni di Sturzo», in Aggiornamenti Sociali, 3 [2014] 190): è un fenomeno che riemerge ogni qual volta la politica perde l’anima etica e la carica ideale. Nell’analisi di p. Sorge, il populismo contrasta tanto con la Costituzione, che stabilisce le forme attraverso cui dare attuazione al principio che «la sovranità appartiene al popolo», quanto con la dottrina sociale della Chiesa e il Vangelo che ne è la fonte. Per questo non temeva di dire che è impossibile per un cristiano sostenere un partito populista.

Verso la civiltà dell’amore

Proprio la Costituzione repubblicana, più volte difesa come fondamento imprescindibile del nostro vivere insieme, è un altro costante riferimento per il p. Sorge, in particolare per il suo impianto personalista. Essa si fonda sul primato della persona umana, che viene prima della società, così come questa precede lo Stato. Tutti gli altri valori sono ordinati al rispetto della dignità della persona. Per realizzarsi come persona ciascuno ha bisogno degli altri e di una società in cui tutti godano di «pari dignità sociale» e siano «eguali davanti alla legge» (Cost. art. 3). La società è una comunità di persone in relazione tra loro, non è un aggregato di individui anonimi uno accanto all’altro, ciascuno dei quali pensa solo a se stesso: non c’è libertà personale senza responsabilità sociale.

Sono valori laici e civili, ma profondamente in dialogo con la visione biblica: il primato della persona e la sua dignità si fondano sul fatto che l’essere umano è immagine e somiglianza di Dio. L’uguaglianza, al di là delle distinzioni di razza, sesso, religione e cultura, si radica sul fatto che siamo tutti figli dell’unico Padre: la solidarietà trova il suo perfezionamento nella fraternità. È questa la nuova esigenza del bene comune oggi: fare unità nel rispetto delle diverse identità, come richiedono i processi di globalizzazione in atto. È questa la strada per la “civiltà dell’amore”, che fin da giovane p. Sorge aveva sognato a fianco di Paolo VI.

«Un coraggioso!»

Avvisato della morte del p. Sorge, papa Francesco, che più volte aveva manifestato stima e gratitudine nei suoi confronti, si è fatto presente inviando un breve biglietto di condoglianze alla Redazione, in cui lo definisce «Un coraggioso!», e aggiunge: «La sua vita ci ha fatto tanto bene», con parole che suonano un ringraziamento da parte della Chiesa tutta, a cui p. Bartolomeo ha dedicato l’intera vita. Ma il modo più giusto per ricordarlo è lasciargli ancora una volta la parola, dando spazio alla sua ultima intervista, rilasciata pochi giorni prima della morte, in cui, ancora una volta, ha espresso i capisaldi della visione che l’ha guidato in tutto il suo ricco e fecondo percorso.


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