- Impegniamoci a fare la nostra parte, di Pedro Walpole SJ
- Una transizione al passo con la crisi, di Mariagrazia Midulla
- A Glasgow abbiamo costruito ponti, Domenico Vito
L'intensificarsi dell’emergenza climatica ha trasformato i grandi vertici
internazionali sul tema in eventi di grande risonanza. Non è
il caso di appuntamenti analoghi: basta confrontare la copertura
mediatica della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici
(COP 26, Glasgow, 31 ottobre-12 novembre 2021) con quella della analoga
Conferenza sulla biodiversità (COP 15), svoltasi a Kunming (Cina) poche
settimane prima, dal 12 al 15 ottobre.
Come scriveva p. Giacomo Costa nell’editoriale di dicembre, «il tema
dei cambiamenti climatici si trasferisce dall’ambito tecnico-scientifico a
quello politico» («COP 26: il clima rilancia la democrazia», in Aggiornamenti
Sociali, 12 [2021] 651-655), seguendone quindi le logiche. I grandi
appuntamenti come la COP 26 diventano così l’occasione di esercitare forme di partecipazione e pressione dal basso, da parte della società
civile e delle organizzazioni con cui essa si esprime, a partire dai movimenti
per il clima e per l’ambiente. I numeri testimoniano questa dinamica:
secondo i dati ufficiali diffusi dall’UNFCCC, se alla COP 1 di Berlino
del 1995 furono ammesse 176 ONG, il loro numero è salito a 2.874 in
occasione della COP 26. Si tratta di una galassia molto diversificata: a Glasgow,
il 40% era costituito da organizzazioni ambientaliste in senso stretto,
il 26% da reti di ricercatori, il 15% da organizzazioni imprenditoriali,
mentre il restante 20% era formato da rappresentanze di popoli indigeni,
agricoltori, movimenti giovanili, enti locali, sindacati e organizzazioni confessionali
o interconfessionali.
Alla dinamica della COP le ONG prendono parte con lo statuto di
osservatori, ma questo non impedisce loro di esercitare una influenza sulle
parti negoziali attraverso il lavoro di lobbying, diffondendo analisi dettagliate,
ma anche svolgendo la funzione di watchdog (letteralmente, “cani
da guardia”), pronte a divulgare all’opinione pubblica quanto accade nei
negoziati. Ma la COP è anche l’occasione in cui le ONG si incontrano,
condividono esperienze di impegno, consolidano reti e alleanze, si
confrontano sulle priorità e rielaborano strategie. Monitorano il presente, cioè i negoziati in corso, e intanto guardano al futuro e tornano a
casa con stimoli e idee che proiettano la loro azione verso nuovi traguardi
e appuntamenti.
Si tratta di una dinamica molto ricca, in cui proviamo a entrare grazie
al contributo di tre voci che provengono da diversi ambiti di questo variegato
mondo: organizzazioni e reti di ispirazione religiosa, confessionali
e interconfessionali (Walpole); sigle storiche dell’impegno per l’ambiente
(Midulla); movimenti di giovani (Vito). Ci conforta scoprire che al
rientro da Glasgow il loro sguardo verso il futuro resta animato dalla
speranza, in cui si radica la decisione di proseguire nell’impegno in modo
ancora più tenace. [Continua]
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