Reddito di cittadinanza: prima gli italiani?

Maurizio Ambrosini
Il governo sta cercando con fatica di mettere in campo una legge finanziaria che risponda alle promesse elettorali senza produrre scossoni sui mercati e crepe nei rapporti con Bruxelles. Ma i partner, uniti nella protesta anti-establishment, hanno obiettivi solo in parte coincidenti quando si tratta di passare alla fase costruttiva. Di Maio e i Cinque Stelle vogliono il reddito di cittadinanza, ma Salvini e la Lega devono essersi accorti che ne beneficeranno anche migliaia di immigrati. Bisogna conciliare la lotta alla povertà con gli slogan “prima gli italiani”, e per dare ossigeno alla proposta bisogna limitare la platea dei beneficiari. E poi perché lasciare alla Lega il monopolio del rancore xenofobo? 

Ecco allora la quadratura del cerchio. Con un’uscita pubblica, destinata magari in un secondo momento ad essere smentita o contraddetta da altri leader pentastellati, il vice-premier Di Maio ha dichiarato alla radio: «È chiaro che è impossibile, con i flussi immigratori irregolari, non restringere la platea e assegnare il reddito di cittadinanza ai cittadini italiani».

L’argomento, nella sua ruvida sincerità, sarà piaciuto ai simpatizzanti del governo e forse anche ad altri italiani. Ma presenta almeno tre problemi non banali. Anzitutto, gli immigrati irregolari non potranno in ogni caso beneficiarne. Molti di loro lavorano, spesso nelle case degli italiani, ma non hanno tutele né diritti sociali. Usare l’argomento dell’immigrazione irregolare per negare diritti agli immigrati regolari (2,4 milioni di occupati e contribuenti) è palesemente ingiusto. Secondo, quasi 1,5 milioni di immigrati regolari sono cittadini dell’Unione Europea, soprattutto romeni. Secondo le norme dell’UE, hanno gli stessi diritti dei cittadini nazionali. Per escluderli dai benefici del welfare nel Regno Unito hanno dovuto votare la Brexit, e non è detto che ci riescano. Pensare di escluderli in Italia è irrealistico o volutamente confusivo. In terzo luogo, anche per gli altri immigrati regolarmente residenti l’UE contesta le discriminazioni, così come la magistratura italiana. I Comuni che hanno cercato per esempio di negare loro i contributi per i nuovi nati (bonus bebé), come Brescia sotto una giunta di centro-destra, sono stati condannati in giudizio.

Ancora una volta va ricordato che nei Paesi civili esistono norme, trattati e organismi di garanzia che sono sottratti all’arbitrio delle maggioranze. Ora le conclusioni possibili sono due. La prima: il governo tira dritto per la sua strada, sapendo che la legge verrà dichiarata anticostituzionale ma contando sul fatto che occorreranno 4-5 anni prima di una sentenza. La seconda vede invece il governo fare marcia indietro, riproponendo il suo argomento preferito: noi vorremmo fare il bene degli italiani, ma l’establishment o i poteri forti ce lo impediscono. Se il reddito di cittadinanza non partirà o si avvierà in forma minore, la colpa sarà degli immigrati e di chi li difende.

24 settembre 2018
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