Più sicurezza, meno diritti?

Fascicolo: novembre 2024

DDL sicurezza, norma anti-Gandhi, norma anti-Salis sono alcuni dei modi che si sono imposti nella discussione politica e nei media per indicare il disegno di legge, o alcune sue parti, presentato a gennaio 2024 dal Governo Meloni, che ora è all’esame del Senato dopo l’approvazione da parte della Camera dei deputati il 18 settembre 2024. Il moltiplicarsi di queste formule non dipende certo dalla volontà di semplificare il lungo nome ufficiale di questo provvedimento: Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario (A.C. 1660). Si tratta piuttosto di precise scelte di comunicazione, volte a veicolare messaggi tra loro molto distanti. In alcuni casi, è centrale la rassicurazione: queste nuove norme servono a proteggere i cittadini. In altri, emerge la denuncia, con il riferimento a figure evocative della storia come il Mahatma Gandhi o a persone al centro di recenti controversie come Ilaria Salis, eletta al Parlamento europeo a giugno 2024 come indipendente nelle liste di Alleanza Verdi e Sinistra, nota per le vicende legate al suo arresto in Ungheria per aggressione a dei militanti neonazisti e per essere stata condannata per occupazione abusiva di edificio.

Questa semplice constatazione rivela il valore politico che è attribuito a questo testo normativo da parte della maggioranza al governo e la contestazione che serpeggia in una parte dell’opposizione, degli esperti di diritto e degli operatori della giustizia e della società civile (in primis i sindacati e il mondo dell’associazionismo nonviolento e ambientale). Approfondire il contenuto, in particolare i passaggi più controversi, è un modo per entrare nel vivo di alcune logiche politiche adottate per dare risposta a questioni sociali presenti nel nostro Paese, fondate o talvolta percepite in una maniera che ne enfatizza la portata al di là della realtà.

Un testo eterogeneo

I 38 articoli che compongono il disegno di legge predisposto dal Ministero degli Interni prevedono la modifica di diverse leggi in vigore, tra cui il Codice penale, il Codice di procedura penale, il cosiddetto Codice antimafia (D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159), il Codice della strada e quello della navigazione. La maggior parte degli interventi si concentra sul tema della sicurezza e consiste nell’introduzione di nuove fattispecie di reato (cfr il riquadro qui sotto), in alcuni casi con la trasformazione di un preesistente illecito amministrativo in uno penale o di nuove circostanze aggravanti, oltre che nell’inasprimento delle pene previste in alcuni casi. Le modifiche più rilevanti della normativa antimafia riguardano determinati aspetti della disciplina di protezione dei collaboratori e dei testimoni, della documentazione antimafia richiesta alle imprese, delle indicazioni per il noleggio di autoveicoli (artt. 2-8). Diversi articoli sono poi dedicati alla «tutela del personale delle forze di polizia, delle forze armate e del corpo nazionale dei vigili del fuoco» e organismi di informazione e sicurezza italiani (artt. 19-32) e alla modifica delle norme dell’ordinamento penitenziario per quanto riguarda benefici, agevolazioni, accesso al lavoro o apprendistato per le persone detenute (artt. 34-37).

I nuovi reati previsti nel Ddl A.C. 1660

Tra i nuovi reati previsti dal Ddl A.C. 1660 vi sono (tra parentesi gli articoli introdotti):
1. Detenzione di materiale con finalità di terrorismo (art. 270-quinquies, c. 3, c.p.);
2. Divulgazione di istruzioni sulla preparazione e l’uso di sostanze esplosive o tossiche per compiere delitti contro l’incolumità pubblica (art. 435, c. 2, c.p.);
3. Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui (art. 634-bis c.p.);
4. Impedimento della libera circolazione stradale o ferroviaria, quando l’ostacolo è costituito dal proprio corpo (D.Lgs. 22 gennaio 1948, n. 66, art. 1-bis);
5. L’importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze rientra tra le ipotesi in cui si applicano le sanzioni previste dal D.P.R. 9 ottobre, n. 309/1990, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza;
6. Lesioni personali a un ufficiale o a-gente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni (art. 583-quater c.p.);
7. Rivolta all’interno di un istituto penitenziario (art. 415-bis c.p.);
8. Rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza, anche passiva, all’esecuzione degli ordini, commessi da tre o più persone riunite nei centri di trattenimento e accoglienza (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, c. 7.1.).

Si tratta, quindi, di un testo normativo in cui sono confluiti interventi tra loro disparati, alle volte con un carattere molto puntuale (ad esempio la riscrittura della definizione di “articolo pirotecnico”). Anche la tecnica di redazione legislativa, come per altro si osserva già da diversi anni, non facilita la comprensione della portata generale degli interventi compiuti da parte di chi non è un addetto ai lavori. Le modifiche consistono in articoli o parti di essi che vengono aggiunti, riscritti o soppressi in codici e leggi già in vigore. Solo andando a ricercare i testi su cui il legislatore è intervenuto è possibile stabilire le conseguenze dei cambiamenti proposti. In questo modo, ci si rende conto che in numerosi casi le nuove fattispecie di reato ritagliano all’interno di una condotta già sanzionata dal diritto penale una previsione più puntuale, in cui ricorrono elementi che attengono ad esempio alla condizione personale di chi compie il reato, alle modalità con cui viene compiuto, ai luoghi in cui accade. È così per il reato di «occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui», previsto all’art. 10, compiuto da chi «mediante violenza o minaccia occupa o detiene senza titolo un immobile» o impedisce al legittimo proprietario di rientrarvi. Si tratta, di fatto, dell’occupazione di una casa, già perseguibile in base agli articoli artt. 633, 633-bis e 634 c.p.

Questa tecnica legislativa si definisce casistica e, se portata all’estremo, si traduce in un moltiplicarsi delle norme penali, che divengono sempre più specifiche nelle loro previsioni. Gli effetti, paradossalmente, sono allora contrari alle intenzioni, perché può generare incertezza in quanti sono i destinatari della legislazione, cioè gli operatori del diritto e i cittadini, creare involontariamente lacune legislative e far crescere l’indeterminatezza nella fase dell’applicazione.

La risposta monca del populismo penale

Vari articoli del disegno di legge sono in modo più o meno diretto collegati a recenti fatti di cronaca. È così per la norma che abbiamo prima ricordato sull’occupazione di immobili. Allo stesso modo, la previsione di trasformare da illecito amministravo a reato i blocchi stradali o ferroviari realizzati da parte di manifestanti con il loro corpo fa pensare alle iniziative di movimenti e gruppi come Ultima generazione. Anche l’introduzione del reato di rivolta all’interno di un istituto penitenziario si lega a eventi recenti, mentre alle azioni dei No-Tav si riconduce la circostanza aggravante dei delitti di violenza o minaccia, di resistenza a un pubblico ufficiale e altri simili illeciti se il fatto è commesso «al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica».

Si potrebbe continuare riportando ulteriori esempi, ma è più utile allargare lo sguardo e constatare che per far fronte a continue emergenze, reali o presunte, «la recente legislazione penale sembra aver perso la bussola politico-criminale e si stratifica prevalentemente disseminando ovunque frammenti, più o meno grandi; una sorta di spamming normativo» (Cavaliere A., «Il furore casistico nella recente legislazione penale. In particolare: circostanze e soggettivismo», 27 febbraio 2023, in <www.penaledp.it>). Sempre più spesso il diritto penale diviene lo strumento a cui ricorrere per rispondere a una questione che ha rilevanza sociale o che viene percepita tale a livello di opinione pubblica. La sicurezza è per antonomasia uno dei temi in cui questa logica trova applicazione. Nonostante siano diminuiti nel corso degli anni i reati denunciati e in particolare quelli più gravi (ad esempio, gli omicidi volontari sono passati dai 528 del 2012 ai 304 del 2021; tra il 2012 e il 2021 le rapine, i furti nelle abitazioni e quelli di autoveicoli sono calati di oltre il 40%), il 51,7% della popolazione italiana nutre il timore di essere vittima di reati (cfr Censis, 56º Rapporto sulla situazione sociale del Paese, Roma 2022).

Questo approccio, improntato al cosiddetto populismo penale, si accompagna con un ulteriore tratto sempre più diffuso nei recenti interventi legislativi, che può causare cortocircuiti rilevanti nella vita democratica. Nelle nuove norme penalistiche, l’attenzione è spesso concentrata sul profilo del reo: immigrati, militanti, detenuti, automobilisti, ecc. Si passa, in questo senso, dal prendere in considerazione la portata offensiva delle condotte, al dare un peso preponderante ad aspetti legati alla persona di chi pone in essere certi atti. Si è giunti a un diritto penale del nemico: si trasformano questi elementi in ragioni sufficienti per nutrire sospetti o per considerare una persona come pericolosa.

L’insufficienza di questo tipo di provvedimenti è denunciata da più parti. In varie occasioni, lo stesso ministro della Giustizia ed ex magistrato Carlo Nordio ha preso posizione sulla necessità di procedere alla depenalizzazione per assicurare un migliore funzionamento della giustizia e agire per garantire che vi siano pene giuste e certe. D’altronde il sistema penalistico, anche quando fosse perfettamente funzionante, da solo non basta a rimontare alle cause sociali e culturali in cui si originano i comportamenti criminosi. Basti pensare alla questione dei femminicidi e al modo in cui sono vissute le relazioni uomini-donne nella nostra società e agli sforzi che andrebbero messi in atto sul piano educativo per smontare in radice visioni ataviche distorte. Esempi dall’estero ci mostrano quanto sia necessaria ed efficace la leva della dimensione culturale. È il caso, all’inizio degli anni 2000, della città di Medellín che ha visto drasticamente diminuire la mortalità per omicidi (passata da 300 a 19 ogni 100mila abitanti in pochi anni), dopo che l’amministrazione comunale ha deciso di destinare una quota importante del proprio bilancio per la cultura, la ristrutturazione delle scuole, l’apertura di biblioteche nelle periferie (cfr Granata E., Biodivercity. Città aperte, creative e sostenibili che cambiano il mondo, Giunti - Slow food - Università di scienze gastronomiche di Pollenzo, 2019).

Lo spazio democratico del dissenso

Un’ultima considerazione si impone, non slegata da quanto abbiamo appena detto. In molti casi le nuove ipotesi di reato delineate riguardano forme di protesta o di manifestazione di dissenso tenute dai cittadini. Ci troviamo di fronte a un tema delicato, perché riguarda l’equilibrio tra vari valori costituzionali. Di certo non può essere in alcun modo accettato e accettabile il ricorso a forme violente per esprimere le proprie opinioni, e l’ordinamento giuridico già dispone di una serie di strumenti per prevenire, intervenire e sanzionare i comportamenti che si pongono al di fuori di questa sfera. Al contempo, non si può neanche circoscrivere la manifestazione legittima del dissenso fino al punto da comprimerlo in modo significativo, al fine di evitare disagi e fastidi ai cittadini, come sostenuto dalla relatrice del provvedimento Augusta Montaruli (Fratelli d’Italia), togliendo così visibilità pubblica alle posizioni difformi rispetto a quanto sostenuto dal Governo.

Si dimentica spesso che la protesta non è un’ospite improvvisata e molesta della vita democratica. Da un lato, segnala in forme anche energiche insoddisfazione e opposizione rispetto a uno status quo oppure a una scelta politica, rivelando l’esistenza di una frattura tra chi esercita un ruolo di autorità e una porzione più o meno ampia della comunità politica. Dall’altro, attesta una speranza, «esprime la “fiducia” nel fatto che le cose possano andare diversamente» (Raniolo F., La partecipazione politica. Fare, pensare, essere, il Mulino, Bologna 2024, 182). Ignorare una manifestazione di dissenso, anche quando si esprime in forme che oltrepassano la legalità, è sempre causa di gravi conseguenze, ma ancor più serie e profonde sono le ripercussioni quando si decide di osteggiarla e ostacolarla, riducendo il perimetro in cui può essere espressa in modo legittimo, ad esempio rendendo criminali alcune condotte oppure esercitando forme di controllo che finiscono per tradursi in una sorta di intimidazione e repressione.
Se una democrazia non riesce a riconoscere e a valorizzare la peculiare forma di partecipazione che si esprime attraverso un dissenso energico ma che resta nell’ambito della legalità, che non è violento, allora ci si può interrogare – anche con preoccupazione – sulla qualità delle sue istituzioni, sui rapporti che esistono tra governati e governanti, sulla fedeltà nel tempo ai valori che ne costituiscono il fondamento.

Dietro tutto questo riconosciamo che è ancora una volta in gioco una questione culturale: scoprire e imparare in che modo è possibile vivere insieme, nella medesima comunità, con chi ha opinioni, interessi, visioni diverse, e come questo sia un passo determinante per avere uno spazio dove relazionarci che sia davvero più libero e alla fine più sicuro.

31 ottobre 2024
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