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La svolta “illiberale” della democrazia in Ungheria e Polonia

Fascicolo: maggio 2021

L'indebolimento dello Stato di diritto in Polonia e Ungheria è parte della risposta illiberale alla “crisi esistenziale” attraversata dai Paesi dell’Europa centrorientale e, più in generale, dall’Europa nel suo insieme. Ci troviamo in una situazione di blocco, in cui una parte significativa della popolazione ritiene che le proprie richieste non possono essere comprese né trovare una risposta nel quadro del sistema esistente, perché quest’ultimo non offre sufficienti garanzie di difesa della comunità. Per uscire da questa impasse, alcuni Paesi propongono di rafforzare lo Stato, anche a costo di diminuire il ruolo di tradizionali contrappesi previsti dallo Stato di diritto, in primis l’indipendenza dei mezzi di comunicazione e della magistratura.

 

1. Le cause dietro l’attuale crisi

Sono molteplici le cause all’origine dell’attuale crisi europea: non tutte hanno avuto lo stesso peso nei vari Paesi, ma la loro combinazione è stata decisiva.

a) I cambiamenti nell’economia

L’introduzione del liberalismo nell’Europa centrorientale, dopo il crollo del comunismo negli anni ’80 e ’90, ha determinato un drastico ridimensionamento del ruolo dello Stato nell’economia e numerosi trasferimenti di proprietà dalla sfera pubblica a quella privata, un fenomeno sconosciuto in precedenza. L’impatto di questi processi sulle società è stato drammatico ed è ancora largamente sottostimato. Qualche esempio aiuta a capire meglio quanto è accaduto. Nel 1991, la Cecoslovacchia ha registrato una profonda recessione (-11,6%); in Ungheria, la cura improntata all’austerità imposta dal ministro delle Finanze Lajos Bokros nel biennio 1995-1996 ha gettato quasi il 30% della popolazione al di sotto della soglia di povertà; nel 2004, il 20% dei polacchi era disoccupato. Grazie all’ingresso nell’Unione Europea (UE) e nella NATO, questi Paesi sono tornati alla prosperità abbastanza rapidamente, al punto che oggi le economie di Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria sono tra le più dinamiche del continente. Nel 2019 la loro crescita annuale è stata tra il 2,3 e il 4,5%, con un tasso di disoccupazione tra i più bassi in Europa (tra il 2 e il 5,7%). Ma gli anni di transizione e l’approfondirsi delle disuguaglianze sociali degli anni ’90 sono un ricordo traumatico per una parte significativa della popolazione. D’altra parte, proprio l’integrazione in un mondo globalizzato, in particolare l’adesione all’UE e alla NATO, rende più difficile per questi Paesi affermarsi di fronte a Stati più grandi e da tempo presenti nei mercati internazionali. Questa situazione genera talvolta la sensazione di non essere trattati secondo il proprio giusto valore e di essere relegati ancora una volta alla “periferia dell’Europa”, una condizione dalla quale cercano di uscire da quasi 200 anni [continua]

 

 

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