La svolta “illiberale” della democrazia in Ungheria e Polonia
L'indebolimento dello Stato di diritto in Polonia e Ungheria è parte
della risposta illiberale alla “crisi esistenziale” attraversata dai Paesi
dell’Europa centrorientale e, più in generale, dall’Europa nel suo
insieme. Ci troviamo in una situazione di blocco, in cui una parte significativa
della popolazione ritiene che le proprie richieste non possono essere
comprese né trovare una risposta nel quadro del sistema esistente, perché
quest’ultimo non offre sufficienti garanzie di difesa della comunità. Per
uscire da questa impasse, alcuni Paesi propongono di rafforzare lo Stato,
anche a costo di diminuire il ruolo di tradizionali contrappesi previsti dallo
Stato di diritto, in primis l’indipendenza dei mezzi di comunicazione e
della magistratura.
1. Le cause dietro l’attuale crisi
Sono molteplici le cause all’origine dell’attuale crisi europea: non tutte
hanno avuto lo stesso peso nei vari Paesi, ma la loro combinazione è stata
decisiva.
a) I cambiamenti nell’economia
L’introduzione del liberalismo nell’Europa centrorientale, dopo il crollo
del comunismo negli anni ’80 e ’90, ha determinato un drastico ridimensionamento
del ruolo dello Stato nell’economia e numerosi trasferimenti
di proprietà dalla sfera pubblica a quella privata, un fenomeno sconosciuto
in precedenza. L’impatto di questi processi sulle società è stato drammatico
ed è ancora largamente sottostimato. Qualche esempio aiuta a capire
meglio quanto è accaduto. Nel 1991, la Cecoslovacchia ha registrato una
profonda recessione (-11,6%); in Ungheria, la cura improntata all’austerità
imposta dal ministro delle Finanze Lajos Bokros nel biennio 1995-1996 ha
gettato quasi il 30% della popolazione al di sotto della soglia di povertà;
nel 2004, il 20% dei polacchi era disoccupato.
Grazie all’ingresso nell’Unione Europea (UE) e nella NATO, questi
Paesi sono tornati alla prosperità abbastanza rapidamente, al punto
che oggi le economie di Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria
sono tra le più dinamiche del continente. Nel 2019 la loro crescita annuale
è stata tra il 2,3 e il 4,5%, con un tasso di disoccupazione tra i più bassi in
Europa (tra il 2 e il 5,7%). Ma gli anni di transizione e l’approfondirsi
delle disuguaglianze sociali degli anni ’90 sono un ricordo traumatico
per una parte significativa della popolazione. D’altra parte, proprio l’integrazione
in un mondo globalizzato, in particolare l’adesione all’UE e alla
NATO, rende più difficile per questi Paesi affermarsi di fronte a Stati più
grandi e da tempo presenti nei mercati internazionali. Questa situazione
genera talvolta la sensazione di non essere trattati secondo il proprio giusto
valore e di essere relegati ancora una volta alla “periferia dell’Europa”, una
condizione dalla quale cercano di uscire da quasi 200 anni [continua]
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