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La solidarietà in prospettiva interreligiosa. Un documento di tutte le Chiese cristiane

Fascicolo: marzo 2021

La solidarietà interreligiosa al servizio di un mondo sofferente: un appello alla riflessione e all’azione dei cristiani durante la pandemia di COVID-19 e oltre: così si intitola il documento pubblicato congiuntamente il 27 agosto 2020 da Consiglio ecumenico delle Chiese e Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso1. Segna un passo in avanti nel dialogo fra Chiese cristiane, proiettandole in un cammino di servizio al mondo da percorrere insieme a «coloro che professano e praticano religioni diverse dalla nostra, o che si riconoscono non appartenenti a nessuna confessione religiosa» (p. 6). Questa intenzione spiega il coinvolgimento del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.

Fondato nel 1984, con sede a Ginevra, il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), noto anche come World Council of Churches (WCC), raccoglie 349 confessioni cristiane. La Chiesa cattolica non vi aderisce formalmente, ma partecipa in qualità di “osservatore”.

Il testo, di cui presenteremo i punti chiave, offre una elaborazione in chiave interreligiosa della nozione di solidarietà, sviluppata nel contesto della pandemia ma con una portata più ampia. Si colloca in un filone di grande attualità, al cui interno rientrano anche il Documento sulla fratellanza umana (2019), e l’enciclica Fratelli tutti, pubblicata a distanza di poco più di un mese (3 ottobre 2020).

1. Alle radici della proposta

«Chi siamo chiamati ad amare?»: la riflessione si apre con questa domanda, che trova un immediato riscontro nella parabola del samaritano (Luca 10,25-37), una meditazione valida per l’umanità di ogni epoca e di ogni religione sulla portata dei concetti di comunità, servizio e responsabilità. Se, infatti, definiamo la comunità come l’insieme dei soggetti verso cui siamo responsabili, resta aperta la questione della definizione dei suoi confini: a chi, concretamente, si estende la cerchia della mia responsabilità? La parabola ci spinge a superare confini etnici e religiosi dati per scontati all’epoca di Gesù e, sovente, anche nella nostra, e apre la prospettiva di una solidarietà universale basata sulla cura dei più vulnerabili. Inoltre è un invito ad accogliere il contributo di generosità che può provenirci dall’“altro”, da chi è portatore di una diversità culturale o religiosa. Il documento intero si muove lungo questa duplice prospettiva di allargamento delle frontiere della responsabilità e della solidarietà.

«Questa storia ci invita a riflettere sulla necessità di trascendere i confini della nostra solidarietà e del nostro servizio verso coloro che soffrono. È anche un invito a superare i preconcetti negativi eventualmente presenti e a riconoscere con umiltà e gratitudine che l’“altro” (nella fattispecie il Samaritano) può indicarci il vero significato del servizio e della solidarietà».

 

La solidarietà interreligiosa al servizio di un mondo sofferente, p. 7
La riflessione si situa nel contesto odierno e deve quindi fare i conti con gli effetti, soprattutto sociali, della pandemia: per un verso, mette a nudo la vulnerabilità di ogni persona, indipendentemente da nazionalità e classe sociale; per un altro, le conseguenze più gravi ricadono sui Paesi poveri e sulle fasce deboli della società. La pandemia aumenta il divario tra ricchi e poveri ed evidenzia i rischi connessi agli squilibri ecosistemici, apparendo così «come un presagio di future crisi legate ai cambiamenti climatici e alla distruzione della biodiversità» (p. 9).

 

A questa crisi il documento contrappone la speranza, che è capace di trasfigurare il presente e rende possibile immaginare il futuro. Riconosciuta come virtù dalla tradizione cristiana, la speranza è «un elemento imprescindibile di ogni religione» (p. 11) e si lega alla ricerca di valori etici e spirituali condivisi da tutta l’umanità. In questa prospettiva, le religioni possono dare un contributo per ispirare un ordine globale rinnovato, nel quale l’interdipendenza sia vissuta nei termini della solidarietà.

Ma quali sono le basi teologiche cristiane della solidarietà interreligiosa? Il testo le individua: nella dignità di ogni essere umano, fondata sul riconoscimento che siamo tutti creature di Dio Padre; nella sequela di Gesù Cristo, in cui la compassione, nel senso etimologico di condivisione del dolore, assume valore redentivo; nella presenza di Cristo nell’umanità sofferente, secondo il discorso escatologico di Matteo 25; nell’interconnessione tra i cristiani mediante l’azione dello Spirito Santo, che suscita e sostiene l’impegno per il mondo.

Discendono da questa base i principi che costituiscono le «linee guida nell’opera di servizio al prossimo in un mondo sofferente, insieme a tutte le persone di fede e di buona volontà» (p. 16): 1) umiltà e vulnerabilità; 2) rispetto; 3) comunità, compassione e bene comune; 4) dialogo e comprensione reciproca; 5) pentimento e rinnovamento; 6) gratitudine e generosità; 7) amore. Possiamo da subito notare come la formulazione di questi principi sia già un esercizio di dialogo tra le categorie bibliche e i grandi temi dell’etica contemporanea.

Il testo si chiude consegnando alle Chiese una serie di raccomandazioni per attuare la solidarietà interreligiosa, coniugando l’advocacy, la cura della spiritualità, la formazione e lo sviluppo di progetti interreligiosi di solidarietà.

2. La solidarietà interreligiosa

La solidarietà interreligiosa, perno concettuale dell’intero documento, si pone, come abbiamo visto, all’incrocio tra l’asse ecumenico, poiché riguarda il legame tra i cristiani, e quello interreligioso, poiché mira a identificare una base interreligiosa per la solidarietà umana.

Sotto il profilo ecumenico, il documento radica la solidarietà umana nella fede trinitaria. Il punto di partenza è l’affermazione che «Tutti gli esseri umani sono creature di Dio Padre» (p. 13). Questa comune origine fonda la dignità originaria di ogni persona, che deve essere riconosciuta incondizionatamente. Proprio da questa dignità deriva la responsabilità reciproca, che si declina soprattutto in termini di cura di chi è vulnerabile e vede minacciata la propria dignità. «La nostra fiducia e la nostra speranza risiedono in Gesù Cristo che guarisce con le Sue ferite» (ivi): è questo a rendere possibile il confronto con la sofferenza. Infatti, la morte e la resurrezione di Gesù riconfigurano il rapporto con il dolore. Il suo sacrificio, vissuto come forma estrema di compassione per l’umanità, apre lo spazio a un nuovo significato della sofferenza: per il cristiano, nell’atto di farsi prossimo a chi soffre si opera una forma di partecipazione alla vita, morte e resurrezione di Cristo stesso, con tutto il suo valore redentivo. Inoltre, «nella sofferenza delle nostre sorelle e dei nostri fratelli incontriamo il volto di Cristo sofferente» (p. 14): è dunque la fede cristologica a motivare in profondità la solidarietà del cristiano. Nella solidarietà si manifesta poi l’azione dello Spirito Santo, che attua l’azione trasformatrice di Dio nelle nostre vite. Lo Spirito che «soffia dove vuole» (Giovanni 3,8) alimenta la creatività solidale, che sempre sa superare le barriere e scoprire nuove forme per incontrare il prossimo.

«Come ci mostra il Buon Samaritano, questa solidarietà è universale, trascende i confini e ha come destinatari tutti gli esseri umani. Il nostro legame profondo e la nostra comune origine sono ben più significativi delle divisioni generate e percepite dall’uomo».

 

La solidarietà interreligiosa al servizio di un mondo sofferente, p. 7

Sul piano interreligioso, possiamo sottolineare come la parabola non prescriva la solidarietà nella forma dell’ingiunzione o dell’imperativo universale, ma utilizzi, attraverso la narrazione, un meccanismo di identificazione per suggerire così di comportarsi in maniera analoga: Va’ e anche tu fa’ così (Luca 10,37). Propone cioè di affrontare le situazioni di fragilità a partire dalla capacità di compassione che ognuno possiede, non di una convinzione intellettuale o religiosa, tanto che a indicare il vero senso della solidarietà è il samaritano, membro di una comunità con cui il giudaismo è in conflitto, e non i suoi rappresentanti ufficiali (il sacerdote e il levita). Il movimento di allargamento della solidarietà è dunque duplice: da una parte i confini della responsabilità si ampliano fino a includere chiunque si trovi nel bisogno, in nome della capacità universale di provare compassione; dall’altra si amplia anche la fonte di ispirazione, con il riconoscimento del bene di cui sono portatrici le altre tradizioni religiose, rappresentate dalla figura del samaritano. Come afferma il documento, «le virtù della misericordia e della compassione per tutti coloro che soffrono sono presenti anche in altre tradizioni religiose, ricche di testimonianze di generosità e di sollecitudine per i più bisognosi» (ivi). Suona come un invito a lasciarsi sorprendere e trasformare dalla capacità di bene che Dio ha infuso in tutta l’umanità, guardando al di là delle frontiere culturali e religiose.

3. Solidarietà e fraternità

Come segnalato in apertura, il documento che stiamo qui presentando cattura quella che possiamo definire la sensibilità del momento. Evidenzia infatti numerosi punti di contatto tematico che lo pongono in dialogo sia con il Documento sulla fratellanza umana del 2019, sia con l’enciclica Fratelli tutti, che ne riprende la preoccupazione, rilanciandone l’appello finale.

a) Il Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi

Il 4 febbraio 2019, papa Francesco e Ahmad al-Tayyib, grande imam della moschea-università Al-Azhar del Cairo, hanno sottoscritto il Documento sulla fratellanza umana, alla presenza di circa cinquecento leader religiosi riuniti ad Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti). Si è trattato di uno dei più grandi eventi interreligiosi della storia, promosso su iniziativa musulmana.

La novità assoluta del Documento è di essere un testo scritto in comune, con cui «i due leader offrono ai loro fedeli una narrazione condivisa. Questa consente di sentirsi parte della stessa storia, di percepirsi confrontati dalle stesse domande, dalle stesse inquietudini e preoccupazioni»2, in cui soprattutto “l’altro” non appare più come nemico. Le narrazioni sono infatti lo strumento con cui le comunità etniche o di fede costruiscono la propria identità e il proprio orizzonte di valori, spesso caratterizzando la diversità come negativa, deteriore o minacciosa: tracciare un confine, escludere, identificare un nemico sono un modo per affermare la propria identità. In un mondo interconnesso come il nostro, la rappresentazione dell’altro come nemico è fonte di continui conflitti. È in gioco non solo la pace globale, ma anche la stabilità delle nostre società multietniche e multireligiose. Il Documento di Abu Dhabi contribuisce a costruire un immaginario sociale diverso, fondato sulla fraternità. «Ciascun credo è chiamato a superare il divario tra amici e nemici» affermava papa Francesco per l’occasione, mentre il grande imam invitava i musulmani a riconoscere i cristiani come fratelli.

«Tutti i cristiani sono chiamati a lavorare insieme e a collaborare con i fedeli di altre tradizioni religiose per realizzare la nostra speranza di un mondo in armonia, fondato sulla pace e sulla giustizia»

 

La solidarietà interreligiosa al servizio di un mondo sofferente, p. 7

Inoltre, offre anche una riflessione sul contributo che le religioni possono dare alla costruzione di un futuro di pace globale. Ne consegue la condanna di tutto quello che, invece di promuovere la vita, la mortifica, a partire dagli atti di violenza, a maggior ragione se si pretende di giustificarli in nome di Dio. Il documento ecumenico sulla solidarietà interreligiosa di agosto 2020 assume questo stesso orizzonte di superamento delle divisioni in vista della costruzione di relazioni di solidarietà e fraternità.

b) L’enciclica Fratelli tutti

L’enciclica Fratelli tutti (FT) riconosce nel percorso che ha condotto alla redazione del Documento di Abu Dhabi una fonte di ispirazione, e ne riprende temi e motivi, dando così continuità al cammino intrapreso. Nell’enciclica di papa Francesco «sulla fraternità e l’amicizia sociale» troviamo inoltre linee di riflessione in profonda consonanza con il documento del Consiglio ecumenico delle Chiese e del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso.

Come quest’ultimo, l’enciclica parte dall’osservazione della situazione attuale, segnata dalla sofferenza di tante persone, il cui ascolto rivela l’urgenza della fraternità. Dopo avere riconosciuto la sofferenza dei più deboli – che già nell’enciclica Laudato si’ del 2015 papa Francesco chiamava «il grido della terra e dei poveri» (n. 49) – occorre lasciarsi interrogare: che cosa implica la fraternità nel mondo di oggi, al contempo altamente connesso e altrettanto frammentato? Fino a dove la fraternità può e deve spingersi? Ancora una volta, la risposta proviene dalla parabola del samaritano, a cui è dedicato il secondo capitolo di Fratelli tutti. Il samaritano è presentato come modello a cui guardare per «far risorgere la nostra vocazione di cittadini» (FT, n. 66). Nella parabola, osserva papa Francesco, le differenze sociali ed etnico-religiose (giudeo, samaritano, levita, sacerdote) scompaiono e i personaggi si riducono a due categorie: chi si fa carico del dolore e chi passa a distanza (cfr FT, n. 70): il senso della cittadinanza si gioca e si costruisce sulla scelta che ciascuno fa davanti al dolore e sulla risposta che dà sulla spinta della compassione che prova. Resta tuttavia la domanda: chi può essere destinatario della compassione? La risposta del samaritano è chiara: l’uomo ferito, in quanto si trova in una situazione di bisogno. Il prossimo è dunque chi ha bisogno di noi e questa è la base per tracciare i confini della comunità non sulla base dell’identità, ma a partire dalla vulnerabilità e dai bisogni.

Nel cap. III, l’enciclica contrasta il modo di agire del samaritano con la mentalità di una società ripiegata in difesa di se stessa, dove il “prossimo” è rimpiazzato dal “socio”, colui con il quale ci si associa per un’utilità comune (cfr FT, n. 102). La pandemia ha messo drammaticamente in rilievo le diverse conseguenze di questi due atteggiamenti di fondo, l’uno ispirato alla fraternità, l’altro all’interesse individuale. Lo vediamo a tutti i livelli, dalle relazioni sociali quotidiane ai rapporti internazionali.

4. Una Chiesa in uscita

All’interno della Chiesa cattolica, gli spunti fondamentali del documento sulla solidarietà interreligiosa vanno collocati nell’alveo di un percorso ecclesiale di ascolto della realtà e di dialogo con altri soggetti. Rappresenta così un pungolo a proseguire nell’attuazione del progetto di “Chiesa in uscita” annunciato nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (nn. 20-24), il documento programmatico del pontificato di papa Francesco. La Chiesa “esce”, cioè si sbilancia nell’incontro con l’altro e nel servizio, si lascia interrogare dalla realtà che le viene incontro e si mette alla ricerca di soluzioni nuove e creative.

Il contesto drammatico della pandemia e delle sue conseguenze rappresenta per la Chiesa, in questa luce, un’opportunità per approfondire l’ascolto, il dialogo e la capacità di servizio. Dal punto di vista ecumenico, la situazione è uno stimolo per mettere a fuoco i fondamenti comuni della fede in Gesù Cristo e delle esigenze della sua sequela, che richiede oggi un coinvolgimento generoso a favore dell’umanità. In una prospettiva interreligiosa, l’impegno dei cristiani per rispondere ai bisogni di coloro che soffrono, senza distinzione di religione, e a fianco di chi professa una diversa fede religiosa, sarà un passo in avanti nella direzione della costruzione di un mondo più fraterno.

 

 

1 Il testo originale inglese e la traduzione in 7 lingue sono disponibili nel sito del Pontificio Consiglio, alla pagina <www.pcinterreligious.org/christian-call-reflection-action-during-covid-19-and-beyond>, e in quello del CEC, alla pagina <www.oikoumene.org/resources/publications/serving-a-wounded-world-in-interreligious-solidarity>; per le citazioni faremo riferimento a quest’ultima versione, che differisce per l’impaginazione e alcuni dettagli.

2 Costa G., «Le religioni e il coraggio dell’alterità: la Dichiarazione congiunta di Abu Dhabi», in Aggiornamenti Sociali, 3 (2019) 181-188.

 

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