Mohandas Gandhi (1869-1948), avendo sperimentato personalmente l’ingiustizia della discriminazione razziale in Sudafrica e il dominio coloniale britannico in India, non rimase in silenzio, non scelse di collaborare con l’oppressore né di prendere le armi per cambiare la situazione sociale con l’uso della forza. Al contrario, Gandhi mise in campo la sua grande fede in Dio e nelle armi della verità e dell’amore. «Lo studio e l’esperienza della nonviolenza mi hanno dimostrato che è la più grande forza del mondo», scrisse nel novembre 1924 (Gandhi 1924). Un’incessante campagna nonviolenta condotta da Gandhi portò l’India a ottenere l’indipendenza dal dominio straniero nel 1945.
Di fronte all’ingiustizia della segregazione razziale e della violenza negli Stati Uniti del Sud, Martin Luther King Jr. (1929-1968) organizzò le comunità afroamericane in vista di un cambiamento sociale positivo, escludendo la violenza, che avrebbe solo riprodotto l’ingiusta tattica dell’oppressore. Nel suo racconto del boicottaggio degli autobus di Montgomery, Stride Toward Freedom (1957), King spiega: «L’amore era per Gandhi uno strumento potente di trasformazione sociale e collettiva. È stato in questa enfasi gandhiana sull’amore e la non violenza che ho scoperto il metodo di riforma sociale che cercavo da molti mesi» (King 2010). Con King come leader e la nonviolenza come arma, il movimento per i diritti civili si è diffuso negli Stati Uniti e ha ispirato altri movimenti a livello globale.
Nel 2018 abbiamo ricordato il 70° e il 50° anniversario delle morti – entrambe per assassinio – di questi grandi leader del secolo scorso: Mohandas Gandhi (30 gennaio) e Martin Luther King Jr. (4 aprile). Entrambi hanno mostrato una profonda fede in Dio e nella forza dell’amore come motore efficace per la trasformazione sociale. Chiamavano nonviolenza questo amore attivo che ha resistito alla violenza e difeso la dignità umana e i diritti. I movimenti che guidavano non hanno avuto bisogno di armi né di eserciti, ma hanno conquistato l’indipendenza e i diritti civili per mezzo della lotta nonviolenta.
Mentre ricordiamo e celebriamo la vita di questi grandi profeti della nonviolenza, le notizie quotidiane sulla violenza nelle sue molteplici forme – in vari Paesi, nei nostri quartieri e persino la minaccia della guerra nucleare – rendono oggi la loro testimonianza ancora più attuale e importante. Papa Francesco è un leader che coglie l’urgenza di questo impegno nel momento presente.
Martin Luther King: tre punti chiave sulla nonviolenza
«Un’altra cosa che dovevamo far comprendere era il fatto che
l’oppositore nonviolento non cerca di umiliare o di sconfiggere
l’avversario, ma di conquistarne l’amicizia e la comprensione. Questo
era un appello che dovevamo sempre tenere ben presente alla gente, cioè
che il proposito non è quello di sconfiggere la comunità bianca, non di
umiliarla, ma di conquistare l’amicizia di tutte quelle persone che
avevano perpetrato questo sistema nel passato. Il fine e le conseguenze
della violenza sono l’astio. Il fine e le conseguenze della nonviolenza
sono la riconciliazione e la costruzione di una comunità unita
nell’amore. […] Poi dovevamo far comprendere che l’oppositore
nonviolento cerca di attaccare il male del sistema piuttosto che gli
individui che sono intrappolati nel sistema. È questo il motivo per cui
io dico a volte che la lotta, al Sud, non è tanto un provocare tensione
fra bianchi e neri. La lotta è piuttosto tra giustizia e ingiustizia,
tra le forze dell’oscurità e le forze della luce. E se ci sarà una
vittoria non sarà solo una vittoria per 50mila neri. Ma sarà una
vittoria per la giustizia, una vittoria per la buona volontà, una
vittoria per la democrazia. Un’altra cosa fondamentale che dovevamo
spiegare era il fatto che la resistenza nonviolenta è anche una
questione interna personale. Non solo rifugge dalla violenza fisica
esteriore, ma anche dalla violenza interna dello spirito».
King M.L., «Discorso tenuto all’Università di Berkeley, California, il 4 giugno 1957», in Id., Io ho un sogno, SEI, Torino 1993, 30-31.
Un Papa parla per la nonviolenza
In occasione delle festività dello scorso Natale e Capodanno, il Papa ha chiesto di diffondere, a suo nome, un’immagine e un semplice messaggio. Il lato anteriore del biglietto reca la foto di un bambino giapponese che porta sulla schiena il fratellino morto, mentre si trova in fila in un crematorio di Nagasaki. Il fotografo americano Joseph Roger O’Donnell ha catturato questa immagine straziante dopo il bombardamento atomico della città nel 1945. Si legge: «La tristezza del bambino trapela solo dalle sue labbra serrate, che trasudano sangue». Il retro del biglietto dice semplicemente: «Il frutto della guerra».
Nel suo discorso a una sessione congiunta del Congresso degli Stati Uniti nel 2015, papa Francesco ha sottolineato il lascito di quattro americani che hanno «dato forma a valori fondamentali che dureranno per sempre nello spirito del popolo americano» e «ci offrono una possibilità di vedere e interpretare la realtà»: Abraham Lincoln, Martin Luther King Jr., Dorothy Day e Thomas Merton. Gli ultimi tre sono ben noti per il loro impegno concreto e costante in favore della nonviolenza evangelica.
Lo scorso anno, papa Francesco ha dedicato il suo messaggio annuale per la Giornata mondiale della Pace alla «nonviolenza: stile di una politica per la pace». Ha affermato che, vivendo oggi in un contesto pervaso dalla violenza, dobbiamo impegnarci nuovamente a fare «della nonviolenza attiva il nostro stile di vita» e «lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni», dal «livello locale e quotidiano, fino a quello dell’ordine mondiale».
Con il suo stile tipico, Francesco nel messaggio ha detto che il nostro mondo di oggi sta vivendo una «terribile guerra mondiale a pezzi»: non un conflitto su scala planetaria tra gli eserciti dei Paesi, ma una situazione globalmente caratterizzata da guerre civili, atti di terrorismo, criminalità organizzata, violenza di strada, insieme alla minaccia della guerra nucleare e allo stoccaggio di armi di distruzione di massa. Tutto questo ha conseguenze immense. Quando si tenta di arginare queste diverse manifestazioni di violenza, usando mezzi altrettanto violenti, ne conseguono crisi umanitarie più profonde e diffuse. «Rispondere alla violenza con la violenza – ha spiegato Francesco – conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo».
Nel 2016 la spesa militare globale ha raggiunto 1.69 trilioni di dollari e più di un terzo del totale, 611 miliardi di dollari, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, viene speso dai soli Stati Uniti. Nel frattempo le Nazioni Unite stimano che circa 815 milioni di persone nel mondo soffrono ogni giorno la fame e circa 258 milioni sono emigrati dal loro Paese d’origine.
Parlando nel 1967, durante l’escalation della guerra del Vietnam e della corsa agli armamenti, Martin Luther King Jr. offrì una diagnosi spirituale: «Una nazione che continua anno dopo anno a spendere più soldi per la difesa militare che per programmi di sviluppo sociale si sta avvicinando alla morte spirituale». La minaccia della violenza è così grave, disse King, che la scelta alla quale ci troviamo di fronte è fra «la coesistenza nonviolenta e l’annientamento reciproco violento».
In questo contesto, qual è la risposta dei cristiani? Affidarsi alla violenza per risolvere i problemi – piccoli o grandi – o credere, con Gandhi, King e i grandi profeti della nonviolenza, che l’amore è la forza più efficace per migliorare le persone e le società?
Gandhi, un devoto indù, ha proposto una lettura intramontabile dei Vangeli, quando ha definito la strada tracciata da Gesù come quella della «nonviolenza per eccellenza». Nel suo messaggio della Giornata mondiale della Pace, papa Francesco ha ricordato le parole e le azioni di Gesù in questa stessa luce. «Gesù ha tracciato la via della nonviolenza», mostrandoci la via dell’amore, dell’ospitalità e del perdono, ha detto papa Francesco. Ha ricordato in modo particolare quando gli scribi e i farisei volevano lapidare, secondo la legge, una donna colta in adulterio, ma Gesù, in modo creativo, li ha fermati, mettendo in discussione questa prassi violenta, e ha rassicurato la donna: «Neanche io ti condanno» (Giovanni 8,11). Inoltre, quando Pietro cercava di difendere Gesù dall’arresto, Gesù gli ha comandato: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno» (Matteo 26,52).
L’evoluzione del Magistero
L’impegno per la nonviolenza evangelica è un aspetto emergente della dottrina sociale della Chiesa. In nessun luogo questo sviluppo è più chiaro che nella sezione sulla pace e la nonviolenza del Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004) che trae spunto dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II e dal magistero dei Papi del secolo scorso e che dice: «Il Magistero condanna “l’enormità della guerra” e chiede che sia considerata con un approccio completamente nuovo. Infatti, “riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia”. La guerra è “un flagello” e non rappresenta mai un mezzo idoneo a risolvere i problemi che sorgono tra la nazioni. “Non lo è mai stato e mai lo sarà” poiché genera conflitti più nuovi e complessi» (n. 497 e relative note).
Questo rifiuto della violenza era ampiamente sostenuto già dai primi cristiani. Nel III secolo, Origene (185-254) rifletteva sulle comunità cristiane alla luce del profeta Isaia: «Poiché noi non prendiamo più “la spada contro un’altra nazione”, né impariamo più “l’arte della guerra” (Isaia 2,4), essendo diventati figli della pace, per amore di Gesù Cristo» (Contra Celsum, 5, XXXIII).
Nel messaggio per l’Angelus del 18 febbraio 2007, papa Benedetto XVI ha affermato che «la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore del nemico costituisce il nucleo della “rivoluzione cristiana”». Questa rivoluzione è personale e politica. La nonviolenza non si limita ad essere la risposta tipicamente cristiana alla violenza: anche in termini strategici, essa si è dimostrata su vasta scala un mezzo efficace per cercare e costruire la pace. Il XX secolo ha offerto molti esempi dell’efficacia dei movimenti sociali non violenti, a cominciare da Gandhi in India, quindi in ogni angolo del mondo: il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, il movimento di Solidarnosc in Polonia, la campagna antiapartheid in Sudafrica e il successo della cacciata dei dittatori in Cile e in altri Paesi.
«La nonviolenza è talvolta intesa nel senso di resa, disimpegno e passività, ma in realtà non è così» ha sottolineato papa Francesco. Ha rivolto quindi l’attenzione alla leadership femminile nei movimenti nonviolenti, facendo riferimento a Laymah Gbowee e alle migliaia di donne liberiane che «hanno organizzato incontri di preghiera e protesta nonviolenta (pray-ins) ottenendo negoziati di alto livello per la conclusione della seconda guerra civile in Liberia».
Riflettendo sull’evoluzione della dottrina sociale della Chiesa, papa Francesco spiega: «la costruzione della pace mediante la nonviolenza attiva è elemento necessario e coerente con i continui sforzi della Chiesa per limitare l’uso della forza attraverso le norme morali». Anche se queste “norme morali” rimangono parte della tradizione cattolica, i responsabili ecclesiastici mostrano una crescente riluttanza a invocare il linguaggio della “guerra giusta”, poiché i criteri morali rigorosi per entrare in guerra vengono spesso usati in modo improprio, per razionalizzare l’uso ingiusto della violenza piuttosto che dissuaderla.
L’enfasi del Papa sulla nonviolenza non solo riflette l’eredità di quell’operatore di pace che è stato il suo omonimo san Francesco d’Assisi, ma garantisce anche che la testimonianza essenziale di Gandhi e King e di molti altri profeti non violenti continuerà ad essere ricordata e, cosa più importante, messa in pratica.
Risorse
Benedetto XVI (2007), Angelus, 18 febbraio, in <www.vatican.va>.
Gandhi M. (1924), Message to World Tomorrow, New York, 14 novembre, <https://www.mkgandhi.org/letters/unstates/world_tomorrow.htm>.
King M.L. (2010), Stride Toward Freedom: The Montgomery Story, Beacon Press, Boston, <www.thekingcenter.org/news/2012-10-gandhis-birthday-dr-kings-tributes-mahatma>.
— (1967), Beyond Vietnam, 4 aprile, <https://kinginstitute.stanford.edu/king-papers/documents/beyond-vietnam>.
Origene, Contra Celsum, in <www.documentacatholicaomnia.eu>.
Papa Francesco (2017), La nonviolenza: stile di una politica per la pace. Messaggio del Santo Padre Francesco per la celebrazione della 50° giornata mondiale della pace, in <www.vatican.va>.
— (2015), Discorso all’assemblea plenaria del Congresso degli Stati Uniti d’America, in <www.vatican.va>.
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (2004), Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, LEV, Città del Vaticano.
Titolo originale: Gospel Nonviolence and the Church Today. Una versione più breve è stata pubblicata in Relations, rivista di analisi sociale dei gesuiti del Quebec, e in America, rivista dei gesuiti degli Stati Uniti. Traduzione dall’inglese di Mauro Bossi SJ.