La crisi economica alla luce della Caritas in veritate

Fascicolo: giugno-luglio 2015
Lo scopo dell’enciclica Caritas in veritate, pubblicata da Benedetto XVI il 29 giugno 2009, non è l’analisi della crisi finanziaria ed economica scoppiata nel biennio precedente, ma la commemorazione del 40° anniversario della prima enciclica sullo sviluppo dei popoli (Paolo VI, Populorum progressio, 1967), così da aggiornarne la dottrina al nuovo contesto di un mondo globalizzato. Papa Ratzinger riafferma e approfondisce la tesi fondamentale di Paolo VI: per essere autentico, lo sviluppo deve essere integrale e solidale. Si tratta, quindi, di una riflessione antropologica ed etica.

Secondo informazioni fornite dalla Santa Sede stessa, il testo era praticamente pronto nel febbraio 2008, tuttavia il Papa decise di ritardarne la pubblicazione per inserire riferimenti alla crisi scoppiata pochi mesi prima, di cui già si percepiva la gravità. Per rintracciarli e comprenderne la portata, è utile partire da un sintetico esame della crisi e delle sue cause, senza per questo addentrarci in un’analisi dettagliata. La crisi è spesso attribuita a fallimenti del mercato, che non è stato in grado di allocare le risorse in modo efficiente, nonostante la fiducia riposta in esso; ma anche a un fallimento delle autorità pubbliche, che non solo non sono riuscite a correggere le inefficienze del mercato, ma talvolta hanno peggiorato la situazione.

Volendo individuare un fattore distintivo della crisi attuale, occorre sicuramente fare riferimento alla globalizzazione: questa non consiste semplicemente nell’internazionalizzazione delle economie, cioè nel progressivo passaggio da economie chiuse a economie aperte (aumento dei rapporti con l’estero, commerciali all’inizio e di ogni tipo in seguito), secondo una dinamica avviata almeno a partire dal XIX secolo (sebbene con oscillazioni). Quanto è accaduto nell’ultimo terzo del XX secolo è un salto di qualità: il processo di globalizzazione, accelerato dall’effetto congiunto del crollo del modello sovietico e dello sviluppo delle tecnologie informatiche, è dovuto anche alle decisioni politiche delle grandi potenze economiche, che hanno scelto di liberalizzare le economie quasi senza restrizioni.

Tuttavia, questa liberalizzazione non ha inciso allo stesso modo su tutti i mercati, ma si è concentrata in particolare su quelli finanziari. Si spiega così lo spettacolare sviluppo dell’economia finanziaria, diventata un mondo peculiare, dove si opera con straordinaria velocità grazie alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ed estremamente complesso per la moltiplicazione e la sofisticazione degli strumenti e delle operazioni che vi si realizzano. Ma soprattutto la finanza ha acquisito autonomia, svincolandosi progressivamente dall’economia reale, fino a dominarla. In questo modo si è invertito l’ordine logico della relazione tra finanza ed economia reale.


La lettura della Caritas in veritate

L’enciclica non offre un’analisi sistematica della crisi, ma contiene allusioni sparse, che non sembrano molto sviluppate, pur manifestando una conoscenza accurata dei diversi aspetti della crisi. Questo corrisponde a una caratteristica dell’enciclica nel suo insieme: il suo messaggio centrale è più teologico che morale. Le questioni sociali, più che analizzate in dettaglio, sono situate all’interno del contesto teologico a partire dal quale, secondo Benedetto XVI, devono essere affrontate. Il quadro di riferimento è proprio la globalizzazione (CV, n. 33), considerata non solo un fenomeno economico, ma anche culturale. Il Papa non vuole che sia interpretata con un atteggiamento fatalistico, che ci condanna a vivere in balia di forze anonime e incontrollate, ma come un processo guidato dalle decisioni di esseri umani (CV, n. 42). In questo senso va considerata un’opportunità (CV, n. 33).

I riferimenti alla crisi presenti nella enciclica ci consentono, a ogni modo, di ricostruirne una visione sufficientemente sistematica. Anche se presentata come crisi economico-finanziaria, essa non è solo il risultato di eventi verificatisi nel mondo della finanza. Bisogna andare più in profondità e considerarla come un’espressione della gravità di un processo giunto ai suoi esiti estremi, le cui radici storiche erano già state denunciate dalla Populorum progressio. Un aspetto della crisi che la CV sottolinea con forza è il venir meno della fiducia, che ha colpito in particolare il mondo della finanza (CV, n. 35). In contesti diversi vengono denunciati altri due aspetti problematici: la speculazione, che cerca unicamente il guadagno a breve termine (CV, n. 40), e gli abusi prodotti dal ricorso ai sofisticati strumenti sviluppati nei mercati finanziari (CV, n. 65).

Quando si passa a considerare le possibili soluzioni, va riconosciuto anzitutto che nell’enciclica non si trova il disegno di un modello alternativo, ma proposte che si possono articolare attorno a due assi fondamentali. Il primo, che costituisce l’apporto più innovativo della CV, è l’invito a rivedere in profondità la teoria e la pratica economica, adottando come fondamento l’etica della gratuità e della fraternità. Il secondo, meno innovativo ma reso attuale dalla crisi, è la proposta di un’autorità mondiale, diventata più necessaria e urgente nel contesto di un mondo globalizzato e martoriato dalla crisi finanziaria.


La logica della gratuità

L’interesse per la gratuità e il suo rapporto con l’attività economica ha a che fare con i fallimenti del mercato. La crisi l’ha reso evidente. Un primo segnale dell’insufficienza del mercato è la sua incapacità di garantire la coesione sociale richiesta dall’attività economica. In effetti, la crisi economico-finanziaria è caratterizzata proprio da un’accentuata perdita della fiducia tra gli operatori: «Il mercato, lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare. Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave» (CV, n. 35).

Vi è poi un secondo esempio dell’insufficienza del mercato: anche se funzionasse bene, non sarebbe mai in grado di risolvere tutti i problemi della società, in particolare quelli di giustizia distributiva. Tradizionalmente questa è considerata un compito dello Stato. Si pone in questa linea anche la dottrina sociale della Chiesa, dalla Rerum novarum in poi (cfr CV, n. 39). Si delinea, perciò, un modello misto dove mercato e Stato sono complementari. Giovanni Paolo II ha compiuto un ulteriore passo avanti, proponendo nella Centesimus annus (1991) un modello articolato su tre soggetti: mercato, Stato e società civile. La CV lo richiama, con l’intento di andare oltre. La novità della proposta di Benedetto XVI è che la logica della gratuità non dovrebbe agire solo fuori del mercato e ai suoi margini, ma al suo interno (CV, n. 38, nel riquadro). La logica del mercato e dello scambio, governata dal principio di equivalenza, non viene respinta, ma deve essere integrata da quella della gratuità. In altre parole, non si tratta di eliminare il profitto, ma di integrarlo con altri scopi dell’attività economica.


La gratuità dentro l’economia (Caritas in veritate, n. 38)

Mentre ieri si poteva ritenere che prima bisognasse perseguire la giustizia e che la gratuità intervenisse dopo come un complemento, oggi bisogna dire che senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia. Serve, pertanto, un mercato nel quale possano liberamente operare, in condizioni di pari opportunità, imprese che perseguono fini istituzionali diversi. Accanto all’impresa privata orientata al profitto, e ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali […]. Carità nella verità, in questo caso, significa che bisogna dare forma e organizzazione a quelle iniziative economiche che, pur senza negare il profitto, intendono andare oltre la logica dello scambio degli equivalenti e del profitto fine a se stesso.

La CV inserisce nella sua argomentazione anche la logica dello Stato, che si è aggiunta a quella del mercato quando si è dato vita a un modello misto di organizzazione della società. Un altro passaggio di CV mostra in modo sintetico il modo di operare di Stato e mercato, indicando ancora l’esigenza di dare spazio alla gratuità: «Quando la logica del mercato e quella dello Stato si accordano tra loro per continuare nel monopolio dei rispettivi ambiti di influenza, alla lunga vengono meno la solidarietà nelle relazioni tra i cittadini, la partecipazione e l’adesione, l’agire gratuito, che sono altra cosa rispetto al “dare per avere”, proprio della logica dello scambio, e al “dare per dovere”, proprio della logica dei comportamenti pubblici, imposti per legge dallo Stato. […] Il binomio esclusivo mercato-Stato corrode la socialità, mentre le forme economiche solidali, che trovano il loro terreno migliore nella società civile senza ridursi ad essa, creano socialità. Il mercato della gratuità non esiste e non si possono disporre per legge atteggiamenti gratuiti. Eppure sia il mercato sia la politica hanno bisogno di persone aperte al dono reciproco» (CV, n. 39). È un’idea che merita di essere approfondita, per capire in quali realizzazioni concrete può tradursi. La stessa enciclica ne individua alcune in due ambiti: l’impresa e la finanza.


Una nuova concezione di impresa

In diversi passaggi dedicati alle imprese, la CV cerca di superare la prospettiva limitante dell’alternativa tra imprese private e pubbliche, tra imprese a scopo di lucro e non profit. Questo tentativo è sostenuto dalla consapevolezza che non si tratta di un ragionamento teorico, dato che esistono già alcuni esempi concreti: «Sembra che la distinzione finora invalsa tra imprese finalizzate al profitto (profit) e organizzazioni non finalizzate al profitto (non profit) non sia più in grado di dar conto completo della realtà, né di orientare efficacemente il futuro. In questi ultimi decenni è andata emergendo un’ampia area intermedia tra le due tipologie di imprese. […] Non si tratta solo di un “terzo settore”, ma di una nuova ampia realtà composita, che coinvolge il privato e il pubblico e che non esclude il profitto, ma lo considera strumento per realizzare finalità umane e sociali» (CV, n. 46; cfr anche CV, n. 41).

Benedetto XVI propone, inoltre, «profondi cambiamenti anche nel modo di intendere l’impresa», richiesti dalle «attuali dinamiche economiche internazionali» e dalle «gravi distorsioni e disfunzioni» che stanno producendo (CV, n. 40). Nel tempo della globalizzazione, la delocalizzazione delle imprese è una pratica frequente, dettata anche dall’intento di attirare maggiori capitali. Così facendo, si tiene conto solo degli interessi degli investitori, trascurando quelli, non meno legittimi, di tutti gli altri gruppi coinvolti. In questo quadro l’enciclica menziona la responsabilità sociale dell’impresa in contrapposizione alla concezione patrimoniale dell’impresa, intesa come insieme di attività di cui massimizzare il valore di mercato.


Il ruolo della finanza

Anche in questo ambito ci troviamo di fronte a un’ulteriore applicazione di quanto appena affermato rispetto alle imprese e al profitto come motore dell’attività economica. Ci sono, però, alcune circostanze speciali – la gravità della crisi finanziaria e le sue dannose conseguenze sull’economia reale – che giustificano una maggiore attenzione a questo ambito. L’enciclica non propone soltanto la regolamentazione dei mercati finanziari (menzionata in CV, n. 67), ma soprattutto un ritorno al vero significato della finanza nel suo rapporto con l’economia produttiva (CV, n. 65; cfr anche CV, n. 45).

Anche in questo caso sono menzionate alcune esperienze concrete, ad esempio nel settore della microfinanza o del risparmio etico, con l’avvertimento a non abusare del termine “etico”, riferendolo ad attività che non meritano di essere qualificate in questo modo (cfr CV, nn. 45 e 65). Non manca, infine, un appello alla responsabilità del risparmiatore (cfr CV, n. 65).


Tutta la finanza deve essere etica (Caritas in veritate, n. 45)

Occorre adoperarsi — l’osservazione è qui essenziale! — non solamente perché nascano settori o segmenti «etici» dell’economia o della finanza, ma perché l’intera economia e l’intera finanza siano etiche e lo siano non per un’etichettatura dall’esterno, ma per il rispetto di esigenze intrinseche alla loro stessa natura.


Serve un’autorità mondiale

Una ulteriore proposta della CV per far fronte alla crisi è l’istituzione di un’autorità mondiale come espressione della solidarietà della famiglia umana. Il tema non è nuovo, ma è divenuto oggi più evidente dato che la globalizzazione ha accresciuto la consapevolezza di essere parte di un’unica famiglia umana, con una forte interdipendenza. Inoltre, è tanto più urgente perché costituisce una risposta alla crisi. Questo tema è trattato in modo meno frammentario di altri, poiché è concentrato alla fine del quinto capitolo dell’enciclica, dedicato alla famiglia umana, in particolare nel n. 67, che ne precisa le ragioni: «Di fronte all’inarrestabile crescita dell’interdipendenza mondiale, è fortemente sentita, anche in presenza di una recessione altrettanto mondiale, l’urgenza della riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni» (ivi).

Si tratta di una ripresa di quanto già proposto dalla Pacem in terris nel 1963, a partire dalla constatazione della crescente interdipendenza e della necessità di tener conto del bene comune universale, che i Governi dei singoli Stati non sono in grado di assicurare. Il passaggio dal bene comune di una comunità politica determinata (secondo la nozione classica) al bene comune universale rende necessario integrare le autorità dei singoli Stati con un’autorità universale, istituita in base all’accordo di tutte le nazioni e avendo come criteri guida il rispetto dei diritti umani e il principio di sussidiarietà.

Benedetto XVI non fa che applicare questa dottrina alle attuali circostanze. In accordo con l’asse portante dell’enciclica, lo sviluppo dei popoli, l’orizzonte ultimo di questa autorità mondiale è l’impegno per un autentico sviluppo umano integrale, ispirato ai valori della carità nella verità, che la crisi richiede di concretizzare in obiettivi specifici: governare l’economia mondiale; risanare le economie colpite dalla crisi; prevenirne il peggioramento e i conseguenti maggiori squilibri; realizzare un opportuno disarmo integrale, la sicurezza alimentare e la pace; garantire la salvaguardia dell’ambiente e regolamentare i flussi migratori.

I principi alla base della struttura e delle competenze di questa autorità mondiale sono la sussidiarietà e la solidarietà, oltre che la realizzazione del bene comune universale. Inoltre, è essenziale che si fondi sul diritto e sia riconosciuta da tutti, così da non essere la mera espressione dell’equilibrio di potere tra i più forti. Il numero di CV dedicato a questo argomento, conciso nella sua formulazione ma ricco nei suoi contenuti, si conclude con un riferimento all’ordine morale e alle Nazioni Unite: «Lo sviluppo integrale dei popoli e la collaborazione internazionale esigono che venga istituito un grado superiore di ordinamento internazionale di tipo sussidiario per il governo della globalizzazione e che si dia finalmente attuazione ad un ordine sociale conforme all’ordine morale e a quel raccordo tra sfera morale e sociale, tra politica e sfera economica e civile che è già prospettato nello Statuto delle Nazioni Unite» (ivi). Il tema dell’autorità mondiale, con particolare riferimento al settore della finanza, sarà successivamente ripreso dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, come vedremo in un prossimo contributo.
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