L’ideologia del mercato
In un tweet del 28 aprile 2014, papa Francesco scrive che «L’inequità è la radice dei mali sociali». Questa affermazione è risultata indigesta a molti cattolici americani, che l’hanno criticata in quanto radicale, semplicistica e fuorviante: uno stridente contrasto con l’entusiasmo che il nuovo Pontefice suscita negli Stati Uniti. Fin dalla sua elezione, papa Francesco ha catturato l’attenzione degli americani con il suo messaggio e il suo modo di fare, nonostante ci abbia sfidato a rinnovare la nostra vita e a convertirci. Gli americani sono conquistati dal suo appello a costruire una cultura ecclesiale non stigmatizzante, approvano la riforma delle strutture vaticane e ammirano la continua attenzione di Francesco ai bisogni pastorali di uomini e donne comuni.
Il fatto che l’insegnamento sullo scandalo delle disuguaglianze economiche nel mondo contemporaneo susciti reazioni decisamente contrastanti non ha dissuaso il Papa dal tornare spesso e con forza su un argomento che gli sta molto a cuore. Il tweet di aprile, infatti, condensa una riflessione più approfondita contenuta nel n. 202 della Evangelii gaudium.
Secondo papa Francesco l’inequità è alla base di un processo di esclusione che impedisce la partecipazione attiva alla vita sociale, politica ed economica di immense fette della nostra società. Dà vita a un sistema finanziario che domina l’umanità anziché essere al suo servizio e a un capitalismo che letteralmente uccide coloro che non sono utili come consumatori. Inevitabilmente tale esclusione distrugge le basi della pace e della sicurezza all’interno della nostra società e a livello globale. Il grido del povero catturato da EG è una sfida alla «mentalità individualista, indifferente ed egoista» (n. 208) così diffusa in molte culture a livello mondiale; è una chiamata ad affrontare il male dell’esclusione economica e a dare inizio a un processo di riforme strutturali che conducano all’inclusione invece che all’emarginazione.
Voci autorevoli del mondo della politica, dell’economia e degli affari si sono alleate per identificare i limiti della ricetta del Papa. Alcuni commenti si sono rivelati superficiali e fortemente politicizzati; altri acuti e penetranti. Le critiche a papa Francesco si imperniano su tre elementi principali: il Papa non capisce l’importanza del mercato; il capitalismo criticato da Francesco è ben diverso dal sistema economico degli Stati Uniti; il punto di vista del Papa è distorto dalle sue origini latinoamericane e non è in linea con l’insegnamento dei suoi predecessori. Di conseguenza, le sue critiche al sistema economico mondiale sono considerate di volta in volta ingenue, fuori bersaglio o troppo estreme dal punto di vista dottrinale.
Ma dopo una lettura approfondita delle parole di papa Francesco e del muro di critiche che esse provocano, si profila un’altra possibilità: il rifiuto non deriva dal fatto che il Papa non riesce ad apprezzare adeguatamente la centralità dei mercati, la natura del sistema economico americano o il percorso dell’autentica dottrina sociale della Chiesa, ma proprio dal fatto che ci riesce fin troppo bene e quindi pone interrogativi di fondo sulla giustizia e sul sistema economico americano.
In particolare, ciò che il Papa scrive sull’inequità e sulla giustizia economica evidenzia gli errori logici impliciti in una serie di presupposti culturali profondamente radicati nella società americana, che riguardano il significato e il valore della disuguaglianza economica, la moralità del libero mercato e la relazione tra l’attività economica e il posto che ciascuno ricopre nella società. Solo l’esame della fondatezza di ciascuno di questi presupposti permette di valutare la portata della critica e della sfida di papa Francesco. Solo l’analisi della mentalità che l’insieme di questi presupposti ha creato consente di capire in che modo essi taglino alla radice la possibilità di aumentare la giustizia del sistema economico americano e della comunità mondiale.
L’ordine naturale
Il primo presupposto è che gli attuali livelli di disuguaglianza economica facciano parte del funzionamento naturale di un sistema economico sano. La logica alla base di questa affermazione è semplice: qualunque sistema economico che cerchi di favorire la crescita deve incentivare l’iniziativa e l’impegno individuale. Per questa ragione, la disuguaglianza sarà un elemento costitutivo di tutti i Paesi che danno valore alla crescita.
Secondo questo presupposto, le disuguaglianze economiche sono naturali anche in un senso più fondamentale. La disuguaglianza nasce dal diritto di uomini e donne di utilizzare i propri talenti come meglio credono e dalla giusta esigenza di ricompensare gli individui per il contributo a specifiche iniziative. È legittimo che le società abbiano l’obbligo di assicurare una soglia di sostegno economico ai loro cittadini, ma andare oltre e cercare di limitare la disuguaglianza economica non solo incepperebbe la crescita, ma violerebbe principi basilari di giustizia.
Ma per la dottrina cattolica questo presupposto, così profondamente connaturato alla cultura americana, è radicalmente inaccettabile. Il punto di partenza del pensiero della Chiesa non è la necessità di massimizzare la crescita economica o il diritto degli individui a essere ricompensati, ma la pari dignità di tutti gli uomini e donne, creati a immagine di Dio. Come afferma il n. 29 della Gaudium et spes, «La uguale dignità delle persone richiede che si giunga a condizioni di vita più umane e giuste. Infatti le disuguaglianze economiche e sociali eccessive tra membri e tra popoli dell’unica famiglia umana, suscitano scandalo e sono contrarie alla giustizia sociale, all’equità, alla dignità della persona umana, nonché alla pace sociale e internazionale».
Gravi disuguaglianze tra le nazioni e al loro interno sono automaticamente sospette secondo la dottrina cattolica: non costituiscono la concretizzazione dell’ordine naturale, ma ne rappresentano una profonda violazione.
È cruciale notare che, nel testo citato, il Concilio non parla del diritto a un salario di sussistenza, assai meno controverso, ma esplicitamente delle disparità di reddito. La dottrina cattolica riconosce da tempo che i danni più profondi arrecati dalla disuguaglianza economica non si manifestano soltanto nella sfera materiale, ma negli effetti sociali, psicologici e politici che da essa derivano. Gli emarginati dal punto di vista economico lo sono anche dal punto di vista dell’istruzione, del tipo di abitazione o dell’opportunità di trovare un lavoro dignitoso. Di conseguenza – conclude papa Francesco – sono di fatto esclusi dalla società: «Con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati”, ma rifiuti, “avanzi”» (EG, n. 53).
L’affermazione che straordinari livelli di disuguaglianza costituiscano una profonda ingiustizia e non un elemento necessario dell’ordine naturale è il punto di attrito alla base del rifiuto del messaggio di papa Francesco negli Stati Uniti. Che la nazione più ricca del mondo abbia il livello più elevato di disuguaglianza dei redditi netti tra i Paesi più sviluppati è un’ingiustizia, non l’ordine naturale. Che le 85 persone più ricche del mondo posseggano più ricchezza dei 3,5 miliardi più poveri è un’ingiustizia, non l’ordine naturale. Le correnti di pensiero americane che considerano livelli grotteschi di disuguaglianza inevitabili in un’economia di mercato costituiscono un’ideologia della giustificazione e dell’autoindulgenza, impossibile da conciliare con la consapevolezza di essere complici dell’ingiustizia e con l’imperativo alla conversione che scaturisce da qualsiasi applicazione sensata del Vangelo alle relazioni economiche nel mondo in cui viviamo.
La sacralità del mercato
Il secondo presupposto culturale ampiamente accettato negli Stati Uniti è che la libertà del mercato sia un imperativo categorico invece che una libertà strumentale. Nessun elemento dell’insegnamento di papa Francesco sulla giustizia economica ha ricevuto più critiche del suo rifiuto dell’assoluta autonomia dei mercati. I difensori del capitalismo americano hanno ribattuto alle critiche del Papa con due diverse argomentazioni. La prima sostiene che i sistemi economici occidentali non sono in realtà completamente autonomi, ma soggetti a regole che salvaguardano importanti diritti umani. La seconda sostiene che il libero mercato è il miglior sistema per produrre ricchezza a vantaggio di tutte le classi sociali e per dare attuazione al diritto umano fondamentale a stipulare contratti e a intraprendere.
Entrambe contengono importanti elementi di verità. In Occidente i mercati non sono liberi in senso assoluto, ma incorporano tutele basilari della dignità umana. Inoltre, i mercati costituiscono il meccanismo centrale nella creazione di ricchezza che ha permesso a milioni di persone negli ultimi decenni di lasciarsi la povertà alle spalle, soprattutto in Cina e in India. Infine, i liberi mercati danno espressione e nutrimento all’importante libertà della persona di intraprendere e stipulare contratti. Per tutte queste ragioni, mercati relativamente liberi favoriscono l’instaurazione della giustizia economica nel mondo.
Ma negli ultimi cinquant’anni la dottrina sociale della Chiesa ha messo in chiaro che il libero mercato non costituisce un principio primo della giustizia economica. La libertà dei mercati è per sua stessa natura puramente strumentale, e deve essere governata dalla società e dalla politica in vista del bene comune. Nell’enciclica Centesimus annus Giovanni Paolo II inserisce sapientemente nella dottrina sociale una valutazione moderna del mercato e chiarisce che la libertà in campo economico deve essere «inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso» (n. 42). Avendo davanti agli occhi la distruzione provocata dal crollo dei mercati finanziari nel 2008, Benedetto XVI osserva nell’enciclica Caritas in veritate che la giustizia distributiva e quella sociale sono essenziali quali complemento della giustizia commutativa tipica dei mercati, poiché «il mercato, lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare» (n. 35). Con coerenza e costanza la dottrina della Chiesa sostiene che la dignità della persona è il metro di misura di ogni sistema e di ogni istituzione e che i mercati devono essere organizzati a partire da questa prospettiva.
È proprio alla luce di questa posizione di fondo che papa Francesco si pronunzia sul tema del mercato e condanna l’integralismo di chi si oppone a riforme strutturali che porterebbero maggiore equità e promuoverebbero la dignità umana. Identifica un approccio “sacrale” alle strutture di mercato esistenti, che si oppone a ogni proposta di cambiamento e di riforma nel nome della libertà e dell’efficienza. Vista attraverso il prisma della sacralità, qualsiasi critica allo status quo è interpretata come centralismo statalista, invasione della libertà individuale o spinta alla stagnazione economica.
La stessa sacralizzazione del libero mercato ha contrassegnato l’opposizione a tutte le principali spinte riformatrici della storia economica degli Stati Uniti: quella per la riforma agraria del XIX secolo, quelle del progressismo del primo Novecento e quelle del periodo della Grande Depressione. In ciascuno di questi casi i riformatori si scontrarono con una difesa integralista dei mercati, che etichettava qualsiasi cambiamento come attacco alla libertà e alla prosperità. È ironico che sia proprio su queste riforme che i difensori del mercato oggi puntano il dito con orgoglio come prova che la libertà dei mercati non è assoluta.
La libertà di mercato è essenziale per un’economia robusta e giusta, ma è un mezzo e non un imperativo categorico. I mercati esistono al servizio delle persone e delle comunità. La società e il Governo hanno l’obbligo di regolare i mercati in modo che possano svolgere il loro servizio nel modo migliore.
“Produttori” contro “assistiti”
L’ultimo presupposto culturale è che ci sia nella società americana una contrapposizione di fondo tra coloro che danno un contributo in termini economici e coloro che non lo fanno. Questa tendenza è stata catturata dalla retorica della campagna presidenziale del 2012, che opponeva “produttori” (makers) e “assistiti” (takers). I primi sono coloro che pagano tasse maggiori dei benefici che ricevono dalla pubblica amministrazione, mentre i secondi sono coloro che ricevono benefici in misura maggiore delle tasse che pagano. Pur in mancanza di una definizione di quali benefici dovessero essere computati in questo calcolo o di un chiarimento se coloro che hanno contribuito economicamente in passato ma sono oggi in pensione o invalidi vadano considerati nel secondo gruppo, l’idea di base è che una fetta consistente della società americana drena continuamente risorse dal sistema economico.
Questa idea si è rafforzata anche a causa dell’aumento della disuguaglianza e della riduzione della mobilità economica di coloro che nascono nelle famiglie che costituiscono il 20% più povero della popolazione. Il risultato è che proprio l’esclusione contro cui papa Francesco ci mette in guardia ha intaccato la retorica pubblica e l’unità della società americana. I poveri, che erano al centro dell’azione politica e dell’attenzione pubblica negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, si ritrovano ora relegati in un angolo del dibattito pubblico. I programmi a loro beneficio devono essere giustificati sulla base dei vantaggi collaterali per la classe media. L’idea spesso non esplicitata, ma profondamente radicata in questo cambiamento culturale, è che i poveri sono in gran parte responsabili della propria povertà.
Pensare che sia possibile dividere una società in “produttori” e “assistiti” incarna esattamente quell’individualismo che papa Francesco condanna. Presuppone che la produzione della ricchezza sia essenzialmente un’impresa individuale, misconoscendo l’enorme importanza del contributo della società a ogni iniziativa imprenditoriale. Nega l’affermazione centrale della dottrina cattolica che la creazione è opera di Dio donata all’umanità nel suo insieme, e che i beni materiali hanno una destinazione universale che non deve essere contraddetta. L’ideologia di “produttori” e “assistiti” considera l’esito dei meccanismi di mercato non solo come un efficiente filtro di primo livello per la distribuzione dei beni materiali all’interno della società, ma quale arbitro etico di merito, sforzo e talento. Esercita un influsso sovversivo sulla società americana, seminando discordia e divisione.
Tra le maggiori ironie di questo mito va considerato il fatto che la strutturazione della disuguaglianza pone ostacoli enormi alla possibilità dei giovani di trovare un lavoro dignitoso. Papa Francesco fa ripetutamente riferimento a questa tragica penuria di lavoro. Senza riforme strutturali del sistema economico, mirate a rimuovere gli ostacoli alla crescita dell’occupazione, il circolo vizioso dell’esclusione economica e sociale che è al centro della sfida lanciata dal Papa non farà che peggiorare.
Nel corso della loro storia, gli Stati Uniti sono riusciti a mettere a frutto creatività degli individui, enormi risorse naturali, libertà di mercato e coesione sociale per produrre l’economia più potente che il mondo abbia mai conosciuto. Ma, come il ricco nella parabola di Lazzaro, presupposti culturali inconciliabili con il Vangelo ci rendono ciechi ai nostri obblighi, ai bisogni dei poveri e degli emarginati. Questi presupposti distorti sono alla base della convinzione che la povertà estrema sia inevitabile nel nostro Paese e nel mondo, che qualsiasi riforma strutturale dei nostri mercati farà crollare la crescita economica e instaurerà un modello di centralismo statalista, e che i poveri si siano meritati il proprio destino.
Papa Francesco, con la sua visione di una società dell’inclusione, ci dà l’occasione di mettere in discussione quei presupposti con la forza del Vangelo e facendo ricorso al significato sostanziale della giustizia. È essenziale che i cattolici americani, come cristiani e cittadini che amano la propria patria, facciano ricorso a tutta la forza di questo messaggio di inclusione per affrontare la questione della povertà, dell’esclusione e dell’inequità.
Risorse
CA = GIOVANNI PAOLO II, enciclica Centesimus annus, 1991.
CV = BENEDETTO XVI, enciclica Caritas in veritate, 2009.
EG = FRANCESCO, esortazione apostolica Evangelii gaudium, 2013.
GS = CONCILIO VATICANO II, costituzione pastorale Gaudium et spes, 1965.
Titolo originale «Market assumptions. Pope Francis’ challenge to income inequality», pubblicato su America, 3 novembre 2014, 14-21. Traduzione di Maria McKenna.
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