A maggio 2024, proprio sul filo della scadenza della precedente legislatura, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno approvato un pacchetto di riforme radicali del cosiddetto Sistema comune di asilo in Europa (Common European Asylum System, CEAS). L’orientamento complessivo della riforma è una nettissima compressione del diritto d’asilo, e pertanto dei diritti e delle garanzie riconosciuti a chi chiede protezione internazionale in uno dei Paesi membri dell’Unione.
Giunge così a conclusione il percorso iniziato nel settembre 2020 con la presentazione da parte della Commissione europea della proposta di Patto per l’immigrazione e l’asilo (Borraccetti 2021). I testi che compongono il nuovo quadro del CEAS sono ben dieci: nove Regolamenti e una sola Direttiva, quella sull’accoglienza, che viene modificata rispetto a quella vigente (Di Pascale 2024; cfr riquadro a p. seguente). Alcuni testi normativi consistono in modifiche più o meno rilevanti di quelli previgenti, mentre altri introducono nozioni e procedure del tutto nuove.
L’intera riforma del CEAS entrerà in vigore tra giugno e luglio 2026, a eccezione di singole disposizioni che recano un termine di applicazione diverso. Un tempo così lungo è dovuto al fatto che le normative prevedono l’elaborazione di nuove procedure amministrative da coordinare tra gli Stati membri e la realizzazione di nuove infrastrutture, in particolare per l’attuazione delle procedure di frontiera. Ogni Stato dovrà adottare programmi di attuazione nazionale, che devono procedere in parallelo affinché l’intero nuovo sistema sia operativo in tutta l’UE per l’estate 2026.
I Regolamenti che costituiscono il Patto hanno una forma piuttosto inedita, in quanto prevedono che molte disposizioni siano di applicazione opzionale da parte degli Stati, specie in relazione ad aspetti cruciali. Questo approccio, presumibilmente legato alla difficoltà di trovare un’intesa politica, determinerà probabilmente una profonda disomogeneità tra gli Stati membri, forse persino aumentando le attuali situazioni di incertezza nell’applicazione delle normative previste dal CEAS. Per capire meglio, analizziamo qui alcune delle innovazioni più significative.
1. Un percorso che viene da lontano
Prima di analizzare la riforma, è necessario guardare indietro nel tempo in modo da comprendere come si è sviluppata in Europa la traiettoria seguita dal diritto d’asilo nell’ultimo decennio. Il percorso di costruzione di un sistema unico di asilo in Europa inizia con il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel maggio 1999, in base al quale l’asilo e l’immigrazione sono diventati un settore di competenza normativa dell’UE. Da allora ha preso il via l’ancora incompiuto processo di armonizzazione e poi di progressiva (tentata) unificazione delle normative in materia di asilo dei singoli Stati membri.
Dopo una fase iniziale, che ha comunque permesso di conseguire un livello minimo di armonizzazione delle normative tra gli Stati membri, consentendo ad alcuni Stati, tra cui l’Italia, di superare un forte ritardo nello sviluppo del proprio sistema di asilo, il processo è entrato in profonda crisi dopo il 2015, con la cosiddetta “crisi dei rifugiati”, che in breve tempo portò in Europa oltre un milione di persone provenienti in prevalenza dalla Siria, dall’Afghanistan e dall’Iraq. La difficoltà di gestire quegli avvenimenti ha «rivelato carenze strutturali della politica di asilo dell’Unione europea, che consentono di inquadrare [la crisi] come un problema di integrazione attraverso il diritto» (Thym 2017) e ha messo in luce una crisi dell’Unione Europea che non è di natura organizzativo-gestionale, bensì «politica, ideologica e morale» (Rivera 2016).
Nel 2015 la Commissione europea a guida Juncker avviò con l’Agenda europea per le migrazioni (Commissione europea 2015) un processo di riforme del CEAS dalla natura alquanto ambigua e contraddittoria che naufragò interamente, in quanto non si trovò tra gli Stati alcun accordo sulle proposte di riforma normative più rilevanti (Favilli 2018). Ciò che avvenne fu l’irrompere drammatico e incontrollato da parte di molti Stati di politiche e prassi spesso illegittime o ai limiti della legalità il cui principale obiettivo, perseguito fino a oggi, fu tentare di impedire con ogni mezzo l’ingresso dei rifugiati, senza che l’Unione agisse da freno. Le strategie principali per conseguire tale obiettivo sono state due: l’esternalizzazione del controllo delle frontiere e i respingimenti alle frontiere esterne.
a) Esternalizzazione del controllo delle frontiere
Con tale espressione si intende l’insieme delle azioni economiche, giuridiche, militari e culturali, svolte soprattutto al di fuori del territorio di uno Stato, poste in essere da soggetti statali e sovrastatali, con il supporto indispensabile di ulteriori attori pubblici e privati, volte a impedire o a ostacolare che i migranti (e, tra essi, i richiedenti asilo) possano entrare nello Stato stesso, anche al fine di chiedervi asilo (ASGI 2019). L’insieme di tali prassi ha causato la più grave crisi del sistema di protezione dei diritti fondamentali degli ultimi vent’anni e ha prodotto profonde distorsioni nello stesso assetto istituzionale dell’UE sia per ciò che attiene l’equilibrio di poteri tra i diversi organi sia per ciò che riguarda la suddivisione delle competenze tra l’UE e gli Stati membri.
Va ricordato che la cooperazione con Paesi terzi, anche per la gestione dei flussi migratori, è di stretta competenza dell’Unione; ciò significa che gli Stati membri possono concludere accordi in questo campo con Paesi terzi solo all’interno delle procedure UE di adozione di accordi internazionali, le quali prevedono il coinvolgimento del Parlamento europeo e un controllo di legittimità da parte della Corte di giustizia dell’UE (Schiavone 2024). Per aggirare tali ostacoli (nonché per eludere anche il controllo democratico interno) molti Stati membri hanno dato vita a una sorta di “informalizzazione” dei loro accordi con Paesi terzi, ricorrendo a intese, collaborazioni di polizia, protocolli operativi, memorandum e altri strumenti adottati senza fare ricorso a procedure trasparenti. Ciò è potuto avvenire perché si è sviluppato un clima di sostanziale condivisione politica all’interno dell’UE di fronte all’ipotesi di lasciare mano libera alla realizzazione di forme di collaborazione con Paesi terzi prive di ogni verifica e senza condizionalità, ovvero senza subordinare il sostegno dato a Paese terzi al rispetto dei diritti fondamentali delle persone coinvolte nelle operazioni di contrasto ai flussi migratori. Già la nota Sentenza Hirsi c. Italia con la quale la Corte di Giustizia aveva condannato l’Italia per i respingimenti illegali attuati verso la Libia, aveva evidenziato come sono pienamente perseguibili le violazioni dei diritti umani commesse da un determinato Stato dell’Unione anche attuate al di fuori del suo territorio statale. Più difficilmente accertabili, ma comunque sanzionabili possono essere le azioni attuate da uno Stato terzo formalmente non vincolato al rispetto dei diritti tutelati in Europa, se ciò avviene con fondi e mezzi forniti dallo Stato europeo che invece a tali vincoli è sottoposto. L’esternalizzazione solleva dunque serissimi interrogativi giuridici ed etici su possibili forme di responsabilità per complicità nella commissione di crimini.
Le situazioni nelle quali si verificano atroci e sistematiche violazioni dei diritti umani nell’ambito dei controlli sui flussi migratori sono così numerose ed estese da rappresentare sotto molti profili il segno tragico dei tempi (Human Rights Watch 2019; Commissioner for Human Rights 2021; UN Human Rights Council 2024; Magnani e Kim Son Hoang 2024). Un rapporto del 2024 promosso congiuntamente da OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni), UNHCR e Mixes Migration Centre sulle migrazioni dall’Africa verso l’Europa evidenzia come sia quasi impossibile distinguere le violenze perpetrate da bande criminali da quelle commesse da attori statali dei diversi Paesi di transito dei migranti. Le migliaia di testimonianze raccolte «evidenziano atrocità, violazioni e abusi perpetrati da criminali, milizie e autorità governative de iure o de facto [commesse verso] rifugiati e migranti con esigenze e profili diversi». Lo stesso rapporto si chiude con l’importante raccomandazione all’Europa e ai suoi Stati di «sottoporre qualsiasi assistenza fornita ai Paesi lungo la rotta del Mediterraneo centrale a requisiti di condizionalità, tra cui misure chiare ed efficaci per mitigare il rischio di violazioni dei diritti umani» (ivi). La realtà politica attuale dell’Unione si pone purtroppo all’opposto di tali invocati requisiti in quanto spinge in modo sempre più forte e determinato verso un’incontrollata esternalizzazione del controllo delle frontiere a Paesi terzi, ben consapevole delle conseguenze che tale scelta comporta (Bove e Astuti 2024). In questo cupo scenario l’Italia è uno dei Paesi con le maggiori responsabilità, in particolare per la sua politica verso la Libia e la Tunisia (Openpolis 2023).
Non si pensi tuttavia che tali politiche di esternalizzazione siano attuate solo verso la sponda sud del Mediterraneo; l’area balcanica, che comprende Paesi sia UE sia non UE di transito dei migranti, rappresenta probabilmente il laboratorio di sperimentazione principale di tale strategia. Risale infatti al marzo 2016 la dichiarazione nota come EU-Turkey joint action plan, Piano di azione comune tra l’UE e la Turchia, attraverso il quale quest’ultima, a fronte di un corrispettivo di sei miliardi di euro, all’ottenimento di un impegno relativo alla liberalizzazione della politica di visti per i cittadini turchi e a una accelerazione del processo di adesione all’UE, si dichiarò disponibile a impegnarsi negli interventi di pattugliamento marittimo per evitare le partenze verso l’Europa, nel rimpatrio di coloro che irregolarmente raggiungono le isole egee della Turchia e nel fornire apparenti misure di accoglienza e tutela per i cittadini siriani soggiornanti nel proprio territorio. Ciò nell’ambito di un ampio (ma mai avvenuto) piano di reinsediamento nel territorio dell’Unione di rifugiati siriani. La Corte di Giustizia dell’UE, chiamata nel 2017 a pronunciarsi sulla legittimità di tale dichiarazione e sull’annesso stanziamento di fondi per gli scopi annunciati e sulla loro compatibilità con il rispetto dei diritti fondamentali, non ha potuto che constatare come formalmente l’EU-Turkey joint action plan, nonostante i suoi enormi effetti, non sia un accordo internazionale e neppure un impegno preso da e nei confronti di un’istituzione europea, bensì sia solo un accordo del tutto “informale” assunto dai singoli Stati UE.
b) Respingimenti alle frontiere esterne
Uno dei principi cardine del diritto internazionale in materia di asilo è il cosiddetto non refoulement, ovvero il divieto assoluto di respingimento di un rifugiato verso i confini di un territorio in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate. Tale tutela è riconosciuta anche ai richiedenti asilo. La stessa proibizione della tortura, contenuta nell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (1950) è sempre stata interpretata dalla Corte istituita dalla stessa Convenzione come proibizione assoluta di espellere o respingere un cittadino straniero verso territori nei quali possa subire il rischio di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti.
Nonostante tale divieto, il respingimento di coloro che chiedono asilo, specie alle frontiere esterne europee, è una diffusa realtà che si è venuta consolidando negli ultimi anni, disseminando l’intero territorio europeo di fatti di inaudita gravità (ASGI 2017) che rimangono in genere impuniti. Nei rari casi in cui i fatti vengono a giudizio ciò che emerge è un quadro di violenze e di respingimenti sistematici, come nel caso della Grecia verso la Turchia, la quale è stata recentemente condannata dalla Corte europea per i diritti dell’uomo per «una pratica sistematica di deportazione da parte delle autorità greche di cittadini di Paesi terzi dalla regione di Evros verso la Turchia» (par. 229). Tra le frontiere terrestri la rotta balcanica risulta infatti particolarmente cruenta (Huser, Ford, Sunderland et al. 2024); ci si può chiedere perché i respingimenti sono spesso accompagnati da trattamenti degradanti come l’uso della violenza, la denudazione forzata, la confisca degli effetti personali, le intimidazioni verbali, ecc. Si tratta di fatti isolati attribuibili a singoli o gruppi fuori controllo o di scelte più o meno pianificate? Il numero e l’estensione dei fenomeni di violenza verso i migranti fanno effettivamente propendere più per la seconda ipotesi; usare violenza permette di realizzare una maggiore deterrenza e di rallentare in modo significativo il viaggio di chi cerca di chiedere asilo in Europa, perché chi è respinto, prima di ritentare, dovrà prima curarsi e reperire nuove risorse economiche.
2. Estensione a dismisura della procedura accelerata di frontiera
La riforma si pone dunque quale parte integrante di un disegno demolitorio del diritto d’asilo già in atto da alcuni anni, di cui si continua a proclamare la centralità nel sistema di tutela dei diritti umani, ma che viene di fatto “sterilizzato”. Nel Piano di attuazione delle nuove normative predisposto dalla Commissione si afferma che «la riforma della politica in materia di migrazione e asilo prevista dal patto sulla migrazione e l’asilo rappresenta una svolta storica. Fornisce all’UE il quadro giuridico e gli strumenti per rendere ancora più efficace la gestione delle sue frontiere esterne e istituire procedure rapide ed efficienti per l’asilo e il rimpatrio, disponendo nel contempo garanzie solide. Mette in atto un sistema equo ed efficace di solidarietà e responsabilità per consentire una gestione collettiva della migrazione, nel contesto della quale nessuno Stato membro sia lasciato solo sotto pressione» (Commissione europea 2024a). Colpisce come la Commissione sveli in poche parole quali siano gli obiettivi di fondo della riforma, ovvero ampliare, fino renderla generale e ordinaria, la cosiddetta procedura accelerata di frontiera, pensata per «valutare rapidamente in linea di principio, alla frontiera esterna, se la domanda è infondata o inammissibile» (Regolamento [UE] 2024/1348, considerando n. 58).
Questa procedura, che è strettamente connessa all’applicazione di misure di limitazione della libertà dei richiedenti protezione internazionale, dovrebbe essere applicata nelle ipotesi più disparate: se si ritiene infondata la domanda; se sussistono alcune condotte illecite (elusione dei controlli di frontiera, presentazione di notizie o documenti falsi al solo scopo di indurre in errore le autorità, ecc.); o semplicemente se si considera la provenienza della persona richiedente asilo da un Paese ritenuto sicuro o, secondo una nuova nozione introdotta dal Regolamento procedure, la sua provenienza da un Paese terzo per il quale la percentuale di decisioni di riconoscimento della protezione internazionale è pari o inferiore al 20% secondo gli ultimi dati medi annuali Eurostat disponibili per tutta l’UE. L’autorità che valuta nel merito le domande viene coinvolta solo dopo, limitandosi a esaminare quelle che l’autorità di pubblica sicurezza ha già deciso che vengano trattate in procedura accelerata.
Tale impostazione presenta un elevatissimo rischio d’errore: chiunque abbia una competenza e un’esperienza, anche minima, in materia di asilo, sa infatti che i concetti usati dal nuovo testo normativo sono scivolosissimi. Le domande di asilo vengono purtroppo abitualmente verbalizzate in contesti del tutto inidonei (stazioni di polizia, luoghi di sbarco affollati e caotici, luoghi di detenzione, ecc.), dove chi è stato vittima di pregresse torture e trattamenti inumani e degradanti subisce un nuovo trauma, che ostacola il formarsi di una narrazione coerente e non contraddittoria.
Assai problematica appare in particolare la previsione di un’automatica applicazione della procedura accelerata nei riguardi di chi proviene da un Paese per il quale la percentuale di decisioni di riconoscimento della protezione internazionale sia pari o inferiore al 20%, senza tenere in considerazione né l’appartenenza etnica, religiosa, politica o sociale del richiedente, né alcun’altra caratteristica e condizione. Viene in tal modo introdotto nell’ordinamento giuridico «un criterio statistico di meritevolezza della pretesa in un giudizio individuale ed ex ante imprevedibile nei risultati» (Perin 2024) che non appare compatibile con l’obbligo da parte dello Stato di condurre un esame equo e completo della domanda di asilo su base individuale.
3. L’accoglienza sospesa tra libertà e detenzione
L’unica direttiva già presente all’interno del quadro normativo del CEAS che non viene trasformata in regolamento è quella sulle misure di accoglienza. Ciò dipende dal fatto che i sistemi di accoglienza negli Stati membri dell’UE sono diversissimi e la loro armonizzazione è rimasta un obiettivo mai raggiunto e probabilmente mai realmente perseguito. Pur prevedendo la possibilità di utilizzare normali case di civile abitazione anche parzialmente autogestite dagli ospiti, non ha mai spinto gli stati membri ad adottare quel modello di accoglienza che in Italia viene denominato di “accoglienza diffusa”, come nel caso dell’esperienza del sistema SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), oggi ridenominato SAI (Sistema di accoglienza e integrazione) nato nel lontano 2002 sulla base dell’idea di un accordo tra Stato ed Enti Locali, con l’obiettivo di attuare un veloce inserimento nel tessuto sociale territoriale non solo di coloro cui è stata riconosciuta una protezione internazionale o umanitaria/speciale, ma anche dei richiedenti asilo, dunque fin dall’inizio della procedura ed indipendentemente dal suo esito. Nella maggior parte dei Paesi UE (e purtroppo, nonostante l’esperienza SPRAR, anche in Italia) è prevalso invece il ricorso a strutture o centri dedicati specificamente all’accoglienza dei richiedenti asilo, che hanno prodotto gravi fenomeni di ghettizzazione ed emarginazione (Openpolis e ActionAID 2023).
La Direttiva (UE) 2024/1346 sull’accoglienza per i richiedenti asilo nell’UE non interviene purtroppo a modificare in alcun modo tale quadro. Essa tuttavia conferma il principio fondamentale, già contenuto nel testo attualmente vigente, in base al quale «gli Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un richiedente o sulla base della sua nazionalità» (art. 10, par. 1), e mantiene l’obbligo di prevedere nella propria legislazione le alternative alle misure di trattenimento. La Direttiva definisce trattenimento «il confinamento del richiedente, da parte di uno Stato membro, in un luogo determinato, che lo priva della libertà di circolazione» (art. 2, par. 9), applicabile ai «richiedenti soltanto nelle circostanze eccezionali definite molto chiaramente nella presente direttiva e in base ai principi di necessità e proporzionalità per quanto riguarda sia le modalità che le finalità di tale trattenimento» (considerando n. 26). Inoltre non impone alcun obbligo agli Stati di applicare delle misure di trattenimento, neppure durante le procedure accelerate di frontiera (art. 10, par. 4).
Questa impostazione generale a tutela della libertà dello straniero che chiede asilo appare tuttavia in contrasto con la scelta di applicare la procedura accelerata di frontiera in una serie di ipotesi talmente ampia da divenire la normalità. L’evidente ambiguità delle norme di cui stiamo trattando probabilmente non è frutto di un’imperizia tecnica, bensì rappresenta un tentativo di forzare il sistema giuridico riducendo la rilevanza di principi fondamentali, pur senza cassarli apertamente. Va ricordato infatti che l’art. 31 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo Statuto dei rifugiati proibisce agli Stati di applicare sanzioni penali agli stranieri che giungono «irregolarmente» nel loro territorio allo scopo di chiedere asilo, se tale richiesta è presentata senza indugio. Una consolidata interpretazione dottrinale ritiene che tale divieto si estenda anche alle misure amministrative di limitazione della libertà, alle quali si dovrebbe ricorrere solo in casi eccezionali e che mai possono essere assunte con finalità di deterrenza all’accesso al diritto d’asilo. Non dovrebbe dunque essere possibile applicare in modo estensivo le procedure di frontiera e le connesse misure di limitazione della libertà a persone la cui unica “colpa” è di essere arrivate nel territorio dello Stato in cui chiedono asilo nel solo modo che avevano a disposizione.
4. L’indebolimento delle garanzie
Nel Regolamento (UE) 2024/1348 sulla procedura comune di riconoscimento della protezione internazionale continua a essere presente il diritto a un ricorso effettivo quale principio fondamentale. Tuttavia nel nuovo testo vengono inserite limitazioni e ipotesi derogatorie estremamente ampie, che lo indeboliscono fortemente. I termini fissati per presentare il ricorso, da un minimo di cinque a un massimo di dieci giorni (e che la nuova legislazione italiana, introdotta con la L. n. 187/2024, fissa a sette giorni), sono brevissimi, specie se si considera la complessità di una procedura di impugnazione in materia di asilo. Come può infatti la persona interessata individuare in così poco tempo un avvocato di fiducia ed esporgli i fatti (con tutte le difficoltà linguistiche del caso) in modo da permettere allo stesso legale di predisporre e depositare in tempo utile un ricorso ben strutturato? Alle persone ristrette nei centri di detenzione, come ad esempio in quelli recentemente attivati dall’Italia in Albania (ma anche negli hotspot e nei CPR in Italia), i diritti fondamentali di difesa vengono dunque riconosciuti solo sulla carta e non nella realtà, in quanto il loro concreto esercizio viene reso impossibile.
Inoltre, per i richiedenti asilo sottoposti alla procedura di frontiera si applica quella che viene definita una “finzione giuridica di non ingresso”: anche la persona si trova fisicamente nel territorio di uno Stato membro, pur in una zona diversa dalla frontiera, sul piano giuridico è come se si trovasse ancora sulla linea di confine, senza essere entrata nel territorio. Questa alterazione della realtà fattuale ha come unico scopo di introdurre un’ulteriore e piuttosto sorprendente compressione delle garanzie; il nuovo Regolamento (UE) 2024/1349, che stabilisce una procedura di rimpatrio alla frontiera a seguito del rigetto della domanda di asilo, consente infatti agli Stati di procedere all’adozione di un provvedimento di respingimento alla frontiera e non di un provvedimento di espulsione dal territorio. Al respingimento alla frontiera, in ragione delle sue caratteristiche di provvedimento scarno e di immediata esecuzione adottato nei confronti di una persona che non è entrata nel territorio, non si applicano le (già limitate) garanzie previste dalla normativa europea sui rimpatri fissate dalla Direttiva 115/CE/2018.
5. Situazioni eccezionali di crisi e strumentalizzazione
Il Regolamento (UE) 2024/1359 concernente le situazioni di crisi e di forza maggiore nel settore della migrazione e dell’asilo rappresenta una novità assoluta nel panorama normativo dell’UE. Il suo scopo è affrontare «mediante misure temporanee, situazioni eccezionali di crisi, compresa la strumentalizzazione, e di forza maggiore, nel settore della migrazione e dell’asilo all’interno dell’Unione» (art. 1, par. 1).
I due concetti di «situazioni eccezionali di crisi» e di «strumentalizzazione» non sono tuttavia definiti in modo rigoroso. Per crisi il Regolamento intende «una situazione eccezionale di arrivi in massa di cittadini di Paesi terzi o di apolidi in uno Stato membro via terra, aria o mare, incluse persone che sono state sbarcate a seguito di operazioni di ricerca e soccorso, le cui entità e natura [...] rendono inefficace, anche in conseguenza di una situazione a livello locale o regionale, i ben preparati sistemi di asilo, di accoglienza [...] al punto che potrebbero esservi gravi conseguenze sul funzionamento del sistema europeo comune di asilo» (art. 1.4.a). Si verifica invece una situazione di strumentalizzazione nei casi in cui «un Paese terzo o un attore non statale ostile incoraggia o favorisce lo spostamento verso le frontiere esterne o uno Stato membro di cittadini di Paesi terzi o di apolidi con l’intenzione di destabilizzare l’Unione o uno Stato membro, e laddove tali azioni possano mettere a repentaglio funzioni essenziali di uno Stato membro, ivi incluso il mantenimento dell’ordine pubblico o la salvaguardia della sicurezza nazionale» (art. 1.4.b).
La strumentalizzazione dei flussi migratori è una nozione riconducibile a un ambito più politico che giuridico. Di fatto potrebbe essere invocata qualunque sia la dimensione reale del fenomeno, anche se minima, e in riferimento a molti contesti internazionali. Così ad esempio la Polonia, di fronte all’arrivo di poche migliaia di persone tra il 2020 e il 2021, si è resa responsabile, come avvenuto anche di recente, di plateali e ripetute violazioni delle convenzioni internazionali sul diritto d’asilo. A fine novembre 2023 la Finlandia ha deciso la chiusura di tutti i valichi di frontiera con la Russia proprio a seguito dell’aumento del numero dei richiedenti asilo (meno di mille persone in tre mesi), di fatto impedendo in modo illegale il loro accesso al territorio finlandese.
Tali scelte politiche, anche se vanno valutate tenendo conto della delicata situazione di tali Paesi di confine e della loro difficile storia con la Russia che ha segnato tutto il ’900, risultano tuttavia ingiustificabili, in quanto profondamente lesive dei valori e dei principi sui quali è nata l’Unione Europea. Perciò andrebbero arginate dalle istituzioni europee, in primis dalla Commissione, la quale invece tace o persino pare alimentare tali derive. La nuova nozione di strumentalizzazione si presta dunque a qualsivoglia uso politico, determinando una pericolosa sovrapposizione tra la sfera delle relazioni politiche internazionali e quella delle procedure e garanzie finalizzate al riconoscimento dell’asilo quale diritto umano fondamentale, che dovrebbero invece rimanere rigorosamente distinte.
La solidarietà che ancora non c’è
La riforma prevede misure di solidarietà tra Stati, consistenti, in caso di crisi, nella possibilità di effettuare ricollocazioni dei richiedenti asilo (e in parte dei beneficiari di protezione internazionale) dallo Stato membro che si trova in un contesto di crisi verso altri Stati membri ai sensi del Regolamento (UE) 2024/1351, detto anche RAMM (Regulation on Asylum and Migration Management), con il quale viene superato il previgente Regolamento (UE) 2013/604, noto come Dublino III, senza tuttavia correggerne gli aspetti considerati più critici. La nuova normativa mantiene infatti inalterato il criterio che assegna la competenza a esaminare la domanda di asilo allo Stato membro nel quale è avvenuto il primo ingresso “irregolare” del richiedente asilo. Si dissolvono dunque i numerosi tentativi di riforma del Regolamento Dublino III, tentati nella scorsa legislatura e inutilmente riproposti in quella attuale, finalizzati a dare effettiva attuazione alla nozione di solidarietà di cui all’art. 80 del Trattato sul funzionamento dell’UE, prevedendo un’obbligatoria redistribuzione delle presenze dei richiedenti asilo tra i diversi Stati membri basata su parametri oggettivi quali il reddito, la popolazione generale e il tasso di rifugiati residenti (Rizza 2018). Il meccanismo di solidarietà tra gli Stati previsto dal nuovo Regolamento può infatti tradursi in contributi economici allo Stato membro in difficoltà o addirittura a contributi a Paesi terzi extra UE per rafforzare il contrasto dei flussi migratori verso l’Europa e le ricollocazioni dei richiedenti protezione internazionale rimangono di fatto non obbligatorie.
In conclusione, la riforma del sistema europeo di asilo non è solo una scelta politica sbagliata per il futuro dell’Europa perché basata sulla paura e sulla chiusura, bensì una riforma che persegue delle finalità che sono in contrasto netto con la cultura giuridica europea, quali l’esame sommario di larga parte delle domande di asilo e l’introduzione di estese limitazioni della libertà delle persone basate solo sul loro status giuridico. Spaventati sia dal fallimento del sistema Dublino, che nel 2023, su 176 mila decisioni relative alle richieste di trasferimento dei richiedenti asilo per “presa” o “ripresa” in carico, ha visto attuarne meno del 10% (Godio 2024, 341), sia dalla bassissima efficacia generale del sistema di allontanamenti ed espulsioni dall’UE, che nel 2023 ha visto effettivamente realizzato solo il 19% dei rimpatri, compresi i quelli volontari (Commissione europea 2024b), gli Stati membri, invece di interrogarsi a fondo sulle molteplici ragioni di tale fallimento e modificare le normative in modo da renderle più inclusive, hanno deciso ottusamente di seguire la strategia opposta, aumentando a dismisura le misure repressive, e con esse i relativi costi (Galieni 2023).
La riforma inoltre non introduce nuovi criteri giuridici che consentano di superare la profonda e radicata disomogeneità nelle presenze dei richie- denti asilo tra i diversi Stati membri, che impedisce di costruire un reale sistema unico di asilo in Europa. È anzi molto probabile che l’attuale disomogeneità aumenterà ulteriormente. Gli Stati che non vorranno prendersi quote di richiedenti asilo continueranno infatti a poterlo fare, non sviluppando i propri sistemi di asilo e così restando Paesi nei quali nessun richiedente asilo o rifugiato vorrà restare nonostante i divieti e le sanzioni sempre più pesanti nei confronti di chi ragionevolmente cerca di spostarsi all’interno dell’UE in cerca di condizioni di vita migliori.
I testi normativi che compongono la riforma
Direttiva (UE) 2024/1346 del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale;
Regolamento (UE) 2024/1347 del Parlamento e del Consiglio recante norme sull’attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria e sul contenuto della protezione riconosciuta;
Regolamento (UE) 2024/1348 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione;
Regolamento (UE) 2024/1349 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce una procedura di rimpatrio alla frontiera;
Regolamento (UE) 2024/1350 del Parlamento e del Consiglio che istituisce un quadro dell’Unione per il reinsediamento e l’ammissione umanitaria;
Regolamento (UE) 2024/1351 del Parlamento e del Consiglio sulla gestione dell’asilo e della migrazione;
Regolamento (UE) 2024/1352 del Parlamento e del Consiglio recante modifica dei regolamenti (UE) 2019/816 e (UE) 2019/818 allo scopo di introdurre accertamenti nei confronti dei cittadini di Paesi terzi alle frontiere esterne;
Regolamento (UE) 2024/1356 del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce accertamenti nei confronti dei cittadini di Paesi terzi alle frontiere esterne;
Regolamento (UE) 2024/1358 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce EURODAC;
Regolamento (UE) 2024/1359 del Parlamento e del Consiglio concernente le situazioni di crisi e di forza maggiore nel settore della migrazione e dell’asilo.
L’evoluzione della normativa UE su immigrazione e asilo
Convenzione di Dublino (firmata nel 1990, in vigore dal 1997): trattato internazionale sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità Europea. Successivamente trasposta con modifiche nel Regolamento (CE) 2003/343 (“Regolamento Dublino II”) e Regolamento (UE) 2013/604 (“Regolamento Dublino III”).
Trattato di Amsterdam: immigrazione e asilo politico divengono settore di competenza normativa dell’UE. Nasce il Sistema comune d’asilo in Europa (CEAS). Il CEAS consiste di un quadro giuridico comprendente tutti gli aspetti del processo di asilo e di un’apposita agenzia, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO).
Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo con l’obiettivo di: organizzare l’immigrazione legale, controllare quella clandestina, favorire il ritorno volontario dei migranti nei Paesi di origine o di transito, rendere più efficaci i controlli alle frontiere, costruire un quadro europeo in materia di asilo e creare un partenariato globale con i Paesi terzi per favorire le sinergie tra migrazione e sviluppo.
Crisi dei rifugiati: giunge in Europa oltre un milione di persone in prevalenza da Siria, Afghanistan e Iraq.
Agenda europea sulla migrazione: tentativo della Commissione europea di far fronte alla crisi con misure urgenti di contenimento degli ingressi e iniziative di medio e lungo termine volte alla ricollocazione dei migranti, secondo un approccio basato sull’equilibrio tra i principi di solidarietà e responsabilità.
Patto europeo sulla migrazione e l’asilo con cui la Commissione europea ha esposto le linee guida che avrebbero orientato il suo lavoro in tema di migrazione nel successivo quinquennio. Contestualmente la Commissione ha proposto una serie di riforme che avrebbero dovuto modificare in modo sostanziale il sistema europeo di asilo.
Adozione del nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo (14 maggio). Le riforme entreranno in vigore tra giugno e luglio del 2026.
Risorse
ASGI-Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (2024), Oltre 28mila persone respinte alle frontiere europee nel 2023: 8° Rapporto PRAB, 5 febbraio, in <www.asgi.it>.
— (2019), L’esternalizzazione delle frontiere, dicembre, in <www.asgi.it>.
Borraccetti M. (2021), «Il nuovo patto europeo su immigrazione e asilo: continuità o discontinuità con il passato?», in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 1, 1-27.
Bove C. – Astuti M. (2024), «L’esternalizzazione del diritto d’asilo», in RiVolti ai Balcani (ed.), Chiusi dentro. I campi di confinamento nell’Europa del XXI secolo, Altreconomia, Milano, 63-85.
Commissione europea (2024a), Comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni. Piano di attuazione comune del patto sulla migrazione e l’asilo, 12 giugno, COM(2024) 251 final.
— (2024b), Statistics on migration to Europe, 5 novembre, <https://commission.europa.eu>.
— (2015), Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, agenda europea sulla migrazione, COM(2015) 240 final, 13 maggio, in <https://eur-lex.europa.eu>.
Commissioner for Human Rights (2021), A distress call for human rights. The widening gap in migrant protection in the Mediterranean, Consiglio d’Europa, <https://rm.coe.int>.
Corte di giustizia dell’Unione Europea (2017), Ricorso di annullamento - Dichiarazione UE-Turchia del 18 marzo 2016, Ordinanza del Tribunale (Prima Sezione ampliata) 28 febbraio in <https://eur-lex.europa.eu>.
Costello C. – Ioffe Y. – Büchsel T. (2017), Article 31 of the 1951 Convention Relating to the Status of Refugees, Legal and Protection Policy Research Series 34, UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), Geneva, <www.refworld.org>.
Di Pascale A. (2024), «Pubblicati gli atti che compongono il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo», in Eurojus.it Rivista, 27 maggio, <https://rivista.eurojus.it>.
Favilli C. (2018), «L’Unione che protegge, l’Unione che respinge. Progressi, contraddizioni e paradossi del sistema europeo di asilo», in Questione Giustizia, 2, 20-24
<Galieni S. (2023), «La detenzione senza reato nei Centri di permanenza per i rimpatri», in IDOS, Dossier Statistico Immigrazione, Edizioni IDOS, Roma, 177-178.
Godio G. (2024), «I numeri/3», in Fondazione Migrantes, Il diritto d’asilo, Report 2024.
Human Rights Watch (2023), “Like We Were Just Animals”. Pushbacks of People Seeking Protection from Croatia to Bosnia and Herzegovina, 3 maggio, in <www.hrw.org>.
— (2019), L’inferno senza scampo. Le politiche dell’Unione Europea contribuiscono agli abusi sui migranti in Libia, 21 gennaio, in <www.hrw.org>.
Huser H. – Ford R. – Sunderland M., et al., «Respingimenti come prassi di sistema», in RiVolti ai Balcani (ed.), Chiusi dentro. I campi di confinamento nell’Europa del XXI secolo, Altreconomia, Milano, 108.
Magnani A. – Kim Son Hoang (2024), «Fondi dispersi e violazioni di diritti umani, così la Ue ha speso (male) quasi 5 miliardi in Africa», in Il Sole24ore, 10 ottobre, in <www.ilsole24ore.com>
OIM - UNHCR - Mixed Migration Centre (2024), On this journey no one cares if you live or die. Abuse, Protection and Justice along Routes between East and West Africa and Africa’Mediterranean Coast, Géneve, in <https://italy.iom.int>
Openpolis (2023), Il memorandum Ue-Tunisia mette a rischio i diritti dei migranti, 28 luglio, in <www.openpolis.it>.
Openpolis – Action Aid (2023), Centri d’Italia 2023.Un fallimento annunciato, in <https://migrantidb.s3.eu-central-1.amazonaws.com>.
Perin G. (2024), «Se questo è un Patto. Prime riflessioni a seguito dell’approvazione del Patto europeo sulla migrazione e l’asilo», in Questione Giustizia, Speciale 2/2024, Immigrazione in Europa e diritti fondamentali, in <www.questionegiustizia.it>.
Rivera A. (2016), «La “crisi dei rifugiati” è la crisi dell’Unione Europea», in Teoria Politica, 6, 277, in <https://journals.openedition.org/tp/674>.
Rizza L. (2018), «La riforma del sistema Dublino: laboratorio per esperimenti di solidarietà», in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 1, 1-46.
Rondine F. (2023), «La finzione giuridica di non ingresso nel nuovo Patto sull’immigrazione e l’asilo: detenzione sistematica ai confini dell’Europa», in Del Turco G. et. al. (edd.) (2023), Annuario ADiM 2022, Editoriale Scientifica, Napoli, 460-468.
Schiavone G. (2024), «Il sistema dei campi di confinamento», in RiVolti ai Balcani (ed.), Chiusi dentro. I campi di confinamento nell’Europa del XXI secolo, Altreconomia, Milano, 34-38.
Thym D. (2017), «La “crisi dei rifugiati” come sfida per il sistema giuridico e la legittimità istituzionale», in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 1,1-16 in <www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it>.
UN Human Rights Council (2024), Revisiting migrants’ contributions with a human rights-based approach: a discussion on facilitating and hindering factors Report of the Special Rapporteur on the human rights of migrants, Gehad Mad, 1 may, in <https://documents.un.org>.