ArticoloPunti di vista
Io capitano: quando un film fa pensare. Lo sguardo di Matteo Garrone sulle migrazioni
Foto: 01 Distribution
Intervista a Chiara Peri, Ricercatrice presso IPRS (Istituto psicoanalitico per le ricerche sociali E.T.S.), a cura di Giuseppe Riggio SJ
Da molti anni lei segue il tema della migrazione, in particolare quella
forzata, e nel suo lavoro si è occupata delle politiche del settore, di
advocacy, di collaborazione sul piano internazionale tra enti impegnati
in questo ambito. Ha perciò visto il film Io capitano con una prospettiva
particolare, da addetta ai lavori. Che aspettative aveva?
Quando il film è uscito nelle sale mi sono recata subito a vederlo, dato che
il tema delle migrazioni mi ha sempre coinvolto sul piano sia professionale
sia personale. Avevo una certa attesa, anche perché avevo già avuto modo
di incrociare nella mia vita professionale il regista e sua sorella, Lilli Garrone,
che ha collaborato con il Centro Astalli-JRS Italia. In particolare,
avevo un pregiudizio positivo rispetto alle fonti che il regista poteva aver
usato. Noi addetti ai lavori spesso soffriamo i film che trattano di immigrazione,
perché sono tendenzialmente approssimativi, un po’ macchiettistici
e lontani dalla realtà. In questo caso, invece, sono andata a
vederlo con l’idea che il regista, per la serietà che lo caratterizza e per il suo itinerario personale, non si fosse basato su informazioni di quinta mano,
ma si fosse documentato. La mia attesa è stata effettivamente confermata
una volta vista la pellicola. Si coglie, infatti, il lavoro previo per scrivere
una sceneggiatura basata su storie vere, sull’ascolto di immigrati senegalesi
coinvolti nella realizzazione del film. Anche l’ampio uso del wolof, la lingua
parlata in Senegal, è un tentativo di far entrare gli spettatori italiani
in una realtà per noi lontana, rifuggendo scelte narrative più semplici. In
questo senso, il film non fa leva sui “buoni sentimenti”, che, alla prova dei
fatti, risultano talmente ingenui da non avere nessun tipo di realismo, e
per questo sono privi di valenza, di serietà, di credibilità, di messaggio. [continua]
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