ArticoloDibattiti aperti
Il salario minimo nell’eterna risacca della politica italiana
La proposta di legge sul salario minimo, sottoscritta dalla stragrande
maggioranza delle forze di opposizione, ha prodotto un’ampia
discussione in Parlamento a partire dal luglio 2023. Dopo l’acquisizione
di un parere formale del CNEL, il 6 dicembre la Camera ha deciso
a maggioranza di sopprimere il testo originario, trasformandolo in una
proposta di legge delega (A.C. 1275-A e abb., Deleghe al Governo in materia
di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva, nonché di
procedure di controllo e informazione) che non prevede la regolamentazione
per legge delle retribuzioni minime. Una volta approvata anche dal Senato,
il Governo avrà sei mesi di tempo per l’attuazione delle deleghe ricevute.
Questa discussione è avvenuta in un contesto europeo contraddistinto
dall’adozione generalizzata di forme di salario minimo, nonché dalla
presenza di una direttiva dell’Unione Europea (Direttiva [UE] 2022/2041
del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 relativa a salari
minimi adeguati nell’Unione Europea). Oltre all’Italia, soltanto Austria, Danimarca,
Finlandia e Svezia non lo prevedono, ma, rispetto a questi Paesi, la
situazione italiana è caratterizzata da una marcata debolezza del mercato del
lavoro, in termini di frammentazione delle tutele contrattuali, precarietà diffusa,
incidenza di persone a rischio di povertà e di lavoratori poveri.
È quindi comprensibile che si sia giunti a proporre l’adozione di un salario minimo
legale anche nel nostro Paese. [continua]
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