Il percorso della dottrina sociale (III): l’epoca della globalizzazione

Fascicolo: gennaio 2014
Con il Vaticano II e il magistero dei pontefici che ne sono stati protagonisti, Giovanni XXIII e Paolo VI, la dottrina sociale della Chiesa riprende il suo percorso sul fondamento di una lettura spirituale della realtà sociale e dell’intreccio fra la dimensione antropologica e quella teologica.

Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo II si colloca pienamente in questa prospettiva, assegnando ampio spazio a una antropologia che è in pari tempo personalista e teologica, o “integrale” nel senso della Gaudium et spes. Rispetto a Paolo VI scrive in un contesto storico sensibilmente diverso, in particolare dopo la caduta del muro di Berlino (1989). I problemi dello sviluppo restano acuti, con disuguaglianze crescenti tra Paesi e all’interno di ciascuno di essi; il liberismo si impone, sfociando nella globalizzazione economica e finanziaria; cresce la coscienza dei problemi ecologici.
Giovanni Paolo II dedica ai temi sociali tre encicliche: Laborem exercens (1981), Sollicitudo rei socialis (1987), Centesimus annus (1991). Le sue analisi accordano un posto centrale all’uomo, concepito come «persona», essere relazionale e «soggetto autonomo di decisione morale, il quale costruisce mediante tale decisione l’ordine sociale» (CA, n. 13). Le istituzioni sono dunque il frutto della libertà dell’uomo e, per essere davvero al suo servizio, devono essere fondate su una giusta concezione della persona: «ciò che fa da trama e, in certo modo, da guida all’Enciclica [Rerum novarum] e a tutta la dottrina sociale della Chiesa, è la corretta concezione della persona umana e del suo valore unico, in quanto l’uomo in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa» (CA, n. 11).
All’opposto, sono proprio gli errori antropologici la causa delle disfunzioni che egli denuncia, specialmente in campo economico e politico, e anche sul piano dell’ecologia: l’errore «consiste in una concezione della libertà umana che la sottrae all’obbedienza alla verità e, quindi, anche al dovere di rispettare i diritti degli altri uomini» (CA, n. 17). La verità dell’uomo, metro del corretto esercizio della sua libertà e fondamento della sua inalienabile dignità, è il suo essere persona creata a immagine di Dio. Attraverso le relazioni che la legano ai suoi contemporanei e alle generazioni precedenti e future, la persona umana si sviluppa in una comunità e trova il proprio compimento nella comunione con gli uomini e con Dio. Tra gli errori Giovanni Paolo II menziona il materialismo, che considera l’uomo soltanto sotto l’aspetto dei suoi bisogni materiali, e l’ateismo, che nega la relazione con Dio. Fondamentalmente, la concezione dell’uomo come persona si oppone a un individualismo, che esalta l’autonomia a detrimento della relazione, e al collettivismo, che non rispetta il primato della persona sulla comunità. Il personalismo è così il nucleo centrale della denuncia del liberismo come del socialismo.
Giovanni Paolo II colloca le questioni economiche in una prospettiva antropologica e teologica: l’economia e il lavoro sono uno dei luoghi della realizzazione dell’uomo e della comunità. Nella Centesimus annus sottolinea molti aspetti positivi della economia di mercato: si fonda sulla proprietà, sulla libertà dell’uomo e sulla sua responsabilità in campo economico, suscita la sua creatività e la sua libera iniziativa. Sono le basi della critica del socialismo reale e degli «eccessi ed abusi che hanno provocato, specialmente negli anni più recenti, dure critiche allo Stato del benessere, qualificato come “Stato assistenziale”» (CA, n. 48). Il mercato viene riconosciuto come strumento efficace per allocare le risorse e soddisfare i bisogni degli uomini, ma a condizione che se ne riconoscano i limiti (cfr CA, nn. 34.40 ). Il profitto è legittimo come indicatore del buon andamento dell’impresa, ma non è il solo criterio: «Scopo dell’impresa, infatti, non è semplicemente la produzione del profitto, bensì l’esistenza stessa dell’impresa come comunità di uomini che, in diverso modo, perseguono il soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio dell’intera società» (CA, n. 35). La valutazione positiva dell’economia di mercato si associa tuttavia a una severa messa in guardia contro le concezioni neoliberali del capitalismo (cfr CA, n. 42), della quale la storia avrebbe mostrato la pertinenza.

Una giustizia oltre il mercato (Centesimus annus, n. 34)
Sembra che, tanto a livello delle singole Nazioni quanto a quello dei rapporti internazionali, il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni. Ciò, tuttavia, vale solo per quei bisogni che sono «solvibili», che dispongono di un potere d’acquisto, e per quelle risorse che sono «vendibili», in grado di ottenere un prezzo adeguato. Ma esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato. È stretto dovere di giustizia e di verità impedire che i bisogni umani fondamentali rimangano insoddisfatti e che gli uomini che ne sono oppressi periscano. È, inoltre, necessario che questi uomini bisognosi siano aiutati ad acquisire le conoscenze, ad entrare nel circolo delle interconnessioni, a sviluppare le loro attitudini per valorizzare al meglio capacità e risorse. Prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, che le son proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all’uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità. Questo qualcosa dovuto comporta inseparabilmente la possibilità di sopravvivere e di dare un contributo attivo al bene comune dell’umanità.

I limiti del mercato (Centesimus annus, n. 40)
È compito dello Stato provvedere alla difesa e alla tutela di quei beni collettivi, come l’ambiente naturale e l’ambiente umano, la cui salvaguardia non può essere assicurata dai semplici meccanismi di mercato. [...] Si ritrova qui un nuovo limite del mercato: ci sono bisogni collettivi e qualitativi che non possono essere soddisfatti mediante i suoi meccanismi; ci sono esigenze umane importanti che sfuggono alla sua logica; ci sono dei beni che, in base alla loro natura, non si possono e non si debbono vendere e comprare. Certo, i meccanismi di mercato offrono sicuri vantaggi: aiutano, tra l’altro, ad utilizzare meglio le risorse; favoriscono lo scambio dei prodotti e, soprattutto, pongono al centro la volontà e le preferenze della persona che nel contratto si incontrano con quelle di un’altra persona. Tuttavia, essi comportano il rischio di un’«idolatria» del mercato, che ignora l’esistenza dei beni che, per loro natura, non sono né possono essere semplici merci.


Le istituzioni economiche, sociali e politiche hanno come finalità lo sviluppo integrale dell’uomo e a questo scopo devono essere concepite. Così, nella Laborem exercens, il lavoro è considerato come espressione della persona umana e come luogo del compimento della sua vocazione personale, comunitaria e spirituale: mediante il lavoro l’uomo mette in azione e sviluppa le proprie capacità, «realizza se stesso come uomo e anzi, in un certo senso, “diventa più uomo”» (LE, n. 9). Inoltre si unisce agli altri uomini per formare una comunità; lo stesso accade nello scambio dei prodotti del lavoro tra gli uomini e attraverso le generazioni. Con il lavoro l’uomo collabora all’opera redentrice di Cristo e alla edificazione del «corpo dell’umanità nuova» e allo «sviluppo del Regno di Dio» (LE, n. 27).
Riprendendo uno dei temi all’origine della dottrina sociale, Giovanni Paolo II ribadisce che il capitale non può venire opposto al lavoro, di cui è frutto e a cui resta ordinato. Il primato del lavoro sul capitale deriva da quello dell’uomo sulle cose. Perciò si oppone a quella forma di «“rigido” capitalismo, il quale difende l’esclusivo diritto della proprietà privata dei mezzi di produzione come un “dogma” intoccabile nella vita economica» (LE, n. 14). Con la stessa fermezza critica le forme di collettivizzazione dei mezzi di produzione. Tra questi due estremi riconosce il diritto di proprietà dei mezzi di produzione, ma ne delimita rigorosamente la portata sottolineando che «l’unico titolo legittimo al loro possesso […] è che essi servano al lavoro» (ivi).
Per quanto riguarda lo sviluppo, Giovanni Paolo II estende la riflessione di Paolo VI nella Populorum progressio, notando come «il sottosviluppo dei nostri giorni non è soltanto economico, ma anche culturale, politico e semplicemente umano» (SRS, n. 15). Di conseguenza, «lo sviluppo non deve essere inteso in un modo esclusivamente economico, ma in senso integralmente umano. […] si tratta […] di costruire nel lavoro solidale una vita più degna, di far crescere effettivamente la dignità e la creatività di ogni singola persona, la sua capacità di rispondere alla propria vocazione e, dunque, all’appello di Dio in essa contenuto» (CA, n. 29). Sottolinea inoltre che il sottosviluppo non colpisce solo i Paesi poveri, ma anche quelli ricchi, in cui da una parte si sviluppano nuove forme di povertà, dall’altra il supersviluppo produce la radicale insoddisfazione tipica della società dei consumi. Alle cause economiche e politiche di questo stato di cose vanno affiancate anche quelle di ordine morale (cfr SRS, n. 35); di conseguenza è necessario «un cambiamento degli atteggiamenti spirituali» (SRS, n. 38) nella direzione della virtù della solidarietà.

Interdipendenza e solidarietà (Sollicitudo rei socialis, n. 38)
Si tratta, innanzitutto, dell’interdipendenza, sentita come sistema determinante di relazioni nel mondo contemporaneo, nelle sue componenti economica, culturale, politica e religiosa, e assunta come categoria morale. Quando l’interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come «virtù», è la solidarietà. Questa, dunque, non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. Tale determinazione è fondata sulla salda convinzione che le cause che frenano il pieno sviluppo siano quella brama del profitto e quella sete del potere, di cui si è parlato. Questi atteggiamenti e «strutture di peccato» si vincono solo – presupposto l’aiuto della grazia divina – con un atteggiamento diametralmente opposto: l’impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a «perdersi» a favore dell’altro invece di sfruttarlo e a «servirlo» invece di opprimerlo per il proprio tornaconto.


Benedetto XVI

Benedetto XVI pubblica la Caritas in veritate per celebrare il quarantesimo anniversario della Populorum progressio, sviluppandone le intuizioni. Egli riprende l’orizzonte mondiale della riflessione, che si impone nell’epoca della globalizzazione, e le conferisce una forte valenza teologica, focalizzando le sue considerazioni sull’amore (caritas).
Nel contesto di una grave crisi economica e finanziaria, il Papa volge sul mondo contemporaneo uno sguardo perspicace e critico, ma soprattutto pieno di speranza. Questa è basata sulla carità. Espressione perfetta dell’amore, dono di Dio che è amore, secondo il titolo della sua prima enciclica (Deus caritas est), la carità è l’asse portante delle sue argomentazioni: «è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa» (CV, n. 2) e «la principale forza propulsiva per il vero sviluppo» (CV, n. 1). Vivere la carità nella verità è la vocazione di ogni uomo. Essa chiama tutti gli uomini di buona volontà a riconoscere e a operare per «l’ideale cristiano di un’unica famiglia dei popoli, solidale nella comune fraternità» (CV, n. 13). La carità nella verità illumina la profondità delle realtà sociali, economiche e politiche nelle quali questa fraternità si costruisce. Il Papa ne esplicita le conseguenze e le esigenze nella situazione del mondo contemporaneo. Senza offrire soluzioni pratiche, egli si fonda sui documenti dei suoi predecessori per aprire nuove prospettive e interpellare le coscienze: l’uomo è libero e responsabile, le strutture e istituzioni che plasmano il mondo sono costruite dall’uomo e non sono mai sottratte al controllo della sua libertà. Alla luce della carità nella verità, la libertà dell’uomo può scoprire come orientare la propria azione secondo i principi della giustizia, della solidarietà, della sussidiarietà e del bene comune, che dalla carità derivano.
La carità si concretizza nel dono e nella gratuità, due concetti che attraversano le riflessioni del Papa. Il primo dono è quello di Dio: dono dell’amore-carità (cfr CV, nn. 2.5.34), della creazione (cfr CV, n. 48), della vita. L’uomo è chiamato a vivere questo dono: «L’essere umano è fatto per il dono, che ne esprime e attua la dimensione di trascendenza» (CV, n. 34). Questo vale anche a livello delle istituzioni della vita sociale, politica ed economica: lo sviluppo «ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità» (ivi).

Gratuità e dono dentro l’economia (Caritas in veritate, n. 36)
La grande sfida che abbiamo davanti a noi, fatta emergere dalle problematiche dello sviluppo in questo tempo di globalizzazione e resa ancor più esigente dalla crisi economico-finanziaria, è di mostrare, a livello sia di pensiero sia di comportamenti, che non solo i tradizionali principi dell’etica sociale, quali la trasparenza, l’onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica. Ciò è un’esigenza dell’uomo nel momento attuale, ma anche un’esigenza della stessa ragione economica. Si tratta di una esigenza ad un tempo della carità e della verità.

Per quanto riguarda l’economia, Benedetto XVI ne critica la separazione troppo netta dalla politica e mette in guardia contro le derive di una finanza slegata dalle esigenze dell’economia reale. Senza sostenere la decrescita, invita a una revisione degli stili di vita, delle scelte di consumo e di risparmio, e all’uso più sobrio e più equo delle risorse naturali. Tuttavia la sua prospettiva resta fondamentalmente positiva: l’economia, la finanza, il mercato, la globalizzazione, come pure le tecniche che l’uomo sviluppa, non sono cattive in se stesse, ma richiedono che se ne assuma la dimensione etica. Spetta all’uomo animare le istituzioni secondo la carità nella verità, per farne luoghi «comunione con gli altri uomini per una crescita comune» (CV, n. 51).

Conclusione

Riletta nel suo sviluppo storico, la dottrina sociale della Chiesa si mostra coerente e stabile, mentre il suo contenuto si approfondisce progressivamente in relazione con le situazioni storiche. Alla radice vi è la convinzione, antica quanto il Vangelo, che l’uomo realizza la propria umanità nella comunione della fraternità universale, che si struttura nel mondo attraverso le istituzioni economiche, sociali e politiche che gli uomini costruiscono. La Chiesa contribuisce a tale realizzazione proponendo una riflessione alimentata dalle risorse della ragione e della Rivelazione. È un compito a cui essa non può sottrarsi, poiché – come ha ribadito recentissimamente papa Francesco nella Evangelii gaudium – «Il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri. Il contenuto del primo annuncio ha un’immediata ripercussione morale il cui centro è la carità» (EG, n. 177). Anche quando «dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia» (ivi, n. 203).

CA = GIOVANNI PAOLO II, enciclica Centesimus annus, 1991.
CV = BENEDETTO XVI, enciclica Caritas in veritate, 2009.
DC = BENEDETTO XVI, enciclica Deus caritas est, 2005.
EG = FRANCESCO, esortazione apostolica Evangelii gaudium, 2013.
LE = GIOVANNI PAOLO II, enciclica Laborem exercens, 1981.
PP = PAOLO VI, enciclica Populorum progressio, 1967.
SRS = GIOVANNI PAOLO II, enciclica Sollicitudo rei socialis, 1987.
GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle scienze sociali, 27 aprile 2001.
ROGER B., «Il percorso della dottrina sociale (I): da Leone XIII a Pio XII», in Aggiornamenti Sociali, 11 (2013) 786-789.
— «Il percorso della dottrina sociale (II): l’epoca del Concilio», in Aggiornamenti Sociali, 12 (2013) 864-868.

La rubrica «Cristiani e cittadini» è realizzata in collaborazione con il CERAS (Centre de Recherche et Action Sociales di Parigi) e la sua rivista Projet. I testi originali sono disponibili sul sito <www.cerasprojet.org/dsc>. La traduzione italiana è a cura di Rocco Baione SJ. Per i testi del magistero si fa riferimento alla versione disponibile su <www.vatican.va>.
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