Riflessione dal titolo “Pane di vita, pane di giustizia” rivolta al mondo agricolo il 26 novembre 2019 in occasione della annuale Giornata del ringraziamento per i doni della terra organizzata dal Centro per la Pastorale sociale e del Lavoro della Diocesi di Mantova.
Papa Francesco ha scelto la gratitudine come appellativo per l’enciclica sulla cura della casa comune, facendo propria la lode del Poverello di Assisi nel Cantico delle creature: «Laudato si’, mi’ Signore, cum tucte le tue creature!». Questa lode proviene da una gioia profonda, insita in ogni uomo, che rinviene nella natura e nel creato l’impronta del suo Creatore: ne ricorda la magnificenza, la potenza, ma anche la delicatezza e l’amorevolezza che ha per l’essere umano.
La ragione di tale lode ha dunque radici profonde, che ritrovano nel trascendente la sua causa prima. Ma, mi pongo una domanda – e rilancio a voi la provocazione –: troviamo ancora il coraggio di ringraziare? Le ferite inferte alla natura, i ritmi e le precarietà della vita consentono ancora alla natura che ci circonda di ispirare la nostra lode a Dio?
In effetti, nella situazione attuale di precarietà e di degrado, ci arriva piuttosto il grido di nostra madre Terra, che «protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei» (LS, n. 2): l’ambiente in cui viviamo ha subìto una radicale trasformazione, provocata dalla mano dell’uomo. Di fronte a tale situazione verrebbe piuttosto da chiedersi: come siamo arrivati allo stato attuale?
Per affrontare tali questioni, possiamo ripercorrere ancora una volta (non è mai abbastanza!) i passi principali dell’enciclica Laudato si’ che ci guidano non a dare facili risposte, ma a entrare alla radice di una dinamica di speranza: «A nulla ci servirà descrivere i sintomi, se non riconosciamo la radice umana della crisi ecologica» (LS, n. 101).
Solo a nostro uso e consumo
L’enciclica innanzitutto aiuta a dare un nome esemplificativo a quanto sta avvenendo, sostenendo che dietro a tale moto distorsivo del reale ci sia il cosiddetto “paradigma tecnocratico”, con cui l’essere umano ha adattato a suo uso e consumo la realtà circostante e la natura in cui vive. Questo concetto non implica che la scienza e la tecnologia, in quanto frutti del suo ingegno, siano da rifiutare o da valutare negativamente in quanto tali. La tecnologia, al contrario, ha prodotto risultati realmente preziosi per migliorare la qualità della vita dell’essere umano, a partire dagli oggetti di uso domestico, fino ai grandi mezzi di trasporto, ai ponti, agli edifici, agli spazi pubblici (cfr LS, n. 103), e ci ha consentito di produrre opere di bellezza e di maggior comprensione di ciò che ci circonda, dai mezzi di comunicazione, anche telematici, che hanno azzerato le distanze, fino alle sonde spaziali, che ci consentono di conoscere e operare meglio nell’universo di cui siamo parte.
L’enciclica condanna invece quell’atteggiamento di fondo che considera l’interesse personale quale paradigma unico del suo rapporto con il mondo e che intende classificare ogni realtà – fisica, biologica, umana o sociale – come un oggetto che può essere manipolato a piacimento, senza alcun freno inibitore (cfr LS, n. 106). Da tale atteggiamento nei confronti del mondo deriva una pericolosa opera riduzionista della tecnica che, legata alla finanza, «pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri» (LS, n. 20). Il paradigma tecnocratico, quindi, strumentalizza tutto e attribuisce alle cose un valore commisurato solamente all’utilità da loro derivabile! Questa logica utilitarista innesca una mentalità che valorizza ciò che ci circonda solo in base a quanto noi possiamo trarne vantaggio. È il caso della rinata attenzione a temi quali la produzione biologica o la tutela della biodiversità, che stanno divenendo importanti non perché atti a proteggere l’ambiente in quanto tale, ma per il valore economico che stanno progressivamente acquisendo (cfr LS, nn. 32-33).
Il paradigma tecnocratico e la ricerca spasmodica del profitto sono alla base della cosiddetta “cultura dello scarto”, richiamata da papa Francesco in più occasioni (prima fra tutte nell’Udienza generale del 5 giugno 2013), per evidenziare la tendenza attuale della società a rimuovere ed eliminare tutto ciò che si ritiene senza valore economico effettivo, che non è in grado di produrre profitto, in primis la persona, specie se è povera, anziana, nascitura o disabile. Lo scarto, infatti, è la sorte riservata a tutto ciò che è inutile, che è ritenuto obsoleto o potenzialmente a basso profitto: lavoratori ritenuti presto anziani e rigettati dal mercato e giovani che non riescono ad esserne parte. La precarietà e l’esclusione, a cui ci ha abituato oggi il paradigma tecnocratico, sono le nuove forme di sfruttamento e portano a un degrado sociale, sintomo di «una silenziosa rottura dei legami di integrazione» (LS, n. 46): questo induce le persone ad accentuare la conflittualità, anche tra generazioni, e ad adottare logiche miopi, che non guardano al domani e all’insieme.
La cultura dello scarto ci ha indotti a intessere relazioni distorte con gli altri e con le cose: «Ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione», sottolineava il Santo Padre nell’udienza del 5 giugno 2013, ricordando che alla base della questione alimentare vi è, prevalentemente, la mentalità consumistica. È essa che ci spinge ad essere travolti dal vortice degli acquisti e delle spese superflue perché, di fatto, «il consumismo ossessivo è il riflesso soggettivo del paradigma tecno-economico» (LS, n. 203).
La cultura della cura
Che cosa fare di fronte a tale situazione? Da dove ripartire per cercare di arginare i danni che questa mentalità sta producendo e aprirci nuovamente al grido dell’umanità, dei poveri e della terra, che reclamano giustizia di fronte alle disuguaglianze e agli oltraggi che stanno subendo (cfr LS, n. 48)? Non sono esagerazioni, se è vero che la forbice tra i pochi che hanno molto e i molti che hanno poco si è allargata come mai prima e che in circa sei mesi il pianeta consuma i prodotti dell’anno intero: «il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi» (LS, n. 161).
Di fronte alla constatazione della gravità della crisi in atto, papa Francesco ci suggerisce qualche indicazione, che muove fondamentalmente dalla richiesta di cambiare i nostri stili di vita per curare le nostre relazioni e migliorare il mondo.
Tale cambio di rotta può avvenire, in primo luogo, con un ritorno alla semplicità e alla sobrietà, come ricordato dal Santo Padre nel Messaggio per la Giornata mondiale dell’alimentazione 2019: la sobrietà, «vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contrario» (LS, n. 223). Essa è sinonimo della capacità di godere delle “piccole cose”, è un ritorno alla semplicità, che ci permette di essere grati per ciò che siamo e che abbiamo, di non rattristarci per ciò che invece non possediamo, nella logica del dono e della riconoscenza per ciò che abbiamo ricevuto. In questo modo, anche se una persona si trovasse in condizioni economiche tali da potersi permettere di consumare e spendere di più, saprebbe comunque scegliere la moderazione, nel rispetto e in solidarietà con chi non si trova nella stessa situazione socioeconomica.
In secondo luogo, papa Francesco testimonia come la salvaguardia di una vita sociale positiva «diffonde luce in un ambiente a prima vista invivibile» (LS, n. 148), e questo è ancor più vero in aree geografiche in cui il degrado ambientale è arrivato a livelli insostenibili per l’alta densità abitativa. Coltivare la cordialità e orientare i rapporti di vicinato all’insegna dell’amicizia e del rispetto reciproco è un ottimo rimedio contro il disordine e la disarmonia di gran parte dell’attuale tessuto urbano che caratterizza le nostre città.
In terzo luogo, egli propone la strategia delle «piccole azioni quotidiane» (LS, n. 211) e dell’educazione alla responsabilità ambientale che, nel capitolo VI dell’enciclica, assumono connotati molto concreti, identificandosi con l’adozione di comportamenti virtuosi, sintesi di una più generale cultura della cura. Vengono menzionate, nello specifico, azioni come: «Evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via» (ivi). Si tratta, quindi, di azioni che permettono di maturare delle abitudini, possono divenire quotidiane e sono in grado di edificarci a una vera e propria “cittadinanza ecologica”, nel rafforzamento del nostro senso di appartenenza alla casa comune. Non bisogna pensare che siano sforzi vani, che non apporteranno nulla di significativo alla nostra esistenza e al mondo in cui viviamo: le azioni concrete, che pur sembrano piccole, possono essere motivate dall’educazione e trasformarsi in stili di vita, diffondendo un bene nella società che magari a noi sfugge, ma che produce un effetto onda che va al di là di quanto si possa constatare. I piccoli gesti, quindi, generano un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente, ma sempre percettibilmente. Per di più, al di là delle ripercussioni esterne, questi comportamenti sani ci restituiscono il senso della nostra dignità, racchiuso negli atti di amore che possiamo compiere: amore che comprende il senso del sacrificio di sé per l’altro, che oggi pare spesso tragicamente dimenticato. L’impegnarci per gli altri esseri umani e per l’ambiente ci ridona una maggiore profondità esistenziale, ci permette di sperimentare che vale la pena impegnarsi nella società e agire per cause nobili, come la tutela del bene comune.
Relazioni e strutture
Tuttavia, come sottolinea il Papa nell’enciclica, «non basta che ognuno sia migliore per risolvere una situazione tanto complessa come quella che affronta il mondo attuale» (LS, n. 219) e che richiede necessariamente la messa a punto di azioni collettive. Romano Guardini ricordava, infatti, che «le esigenze di quest’opera saranno così immense che le possibilità delle iniziative individuali e la cooperazione dei singoli, individualisticamente formati, non saranno in grado di rispondervi. Sarà necessaria una unione di forze e una unità di contribuzioni» (La fine dell’epoca moderna. Il potere, Morcelliana, Brescia 1993, 66 [ed. or. 1950]). Ciò ha riscontro nell’intrinseca relazionalità degli esseri umani: «essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile» (LS., n. 89). È per questo che la condivisione deve essere promossa anche nell’ambito internazionale, in cui i responsabili politici sono urgentemente chiamati ad andare oltre agli interessi di parte, oggi purtroppo prevalenti, per ridare slancio al multilateralismo e ai programmi promossi dalle Organizzazioni internazionali, affinché le relazioni siano ispirate dalla solidarietà che deriva dal nostro saperci parte della stessa famiglia umana, rimuovendo quelle logiche di sopraffazione legate a una lettura della sovranità statale in termini assolutistici.
Vorrei ripetere, giunto ormai a conclusione, la provocazione che vi avevo proposto all’inizio: di fronte alla situazione attuale c’è ancora motivo di ringraziare? La risposta diventa molto più facile vedendo tutti voi che concretamente vi impegnate nel cammino che la Laudato si’ traccia. E non siete pochi: giovani e meno giovani, impegnati professionalmente o volontari, di ogni cultura e formazione. Siamo in un’epoca di grandi sfide, ma di enormi possibilità. Il Papa ci ha donato alcuni elementi di lettura della realtà. Spetta a ognuno portare a concretezza e compimento queste prospettive. Solo così potremmo non lasciare intentato nulla di quanto è in nostro potere di fronte al compito che fin dall’origine Dio ci ha affidato: custodire il Creato.