I papi e l’Europa: da Pio XI a Francesco

Fascicolo: maggio 2018

Nel corso del Novecento i papi si sono spesi per sostenere la pacificazione del continente europeo, con Benedetto XV prima, che cercò invano di riportare i belligeranti della Prima guerra mondiale al tavolo dei negoziati, e con Pio XI poi, che denunciò l’ideologia nazionalsocialista nell’enciclica Mit brennender Sorge del 1937. Dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale, quando il ricordo del conflitto era ancora vivo, Pio XII sottolineò la necessità della rapida costruzione di un’unione europea e manifestò il suo interesse, inviando un rappresentante personale al Congresso europeo dell’Aia del 7 maggio 1948. Qualche mese dopo, rivolgendosi ai delegati del Congresso internazionale per dar vita all’Unione federale europea, affermò che è giusto esigere dalle nazioni europee che «sappiano fare astrazione dalla loro grandezza di altri tempi, per allinearsi su una unità politica ed economica superiore», nel rispetto «dei caratteri culturali di ciascuno dei popoli» (Pio XII 1948). In un messaggio alle Semaines sociales de France del 1962, il suo successore Giovanni XXIII evocò a sua volta «la base stessa di un insieme europeo, i cui partecipanti dovranno gradualmente definire istituzioni comuni che, pur garantendo il bene di ogni comunità, sapranno promuovere il bene comune europeo».

Un altro campo di riflessione ruota attorno al patrimonio spirituale europeo, sottolineato in particolare da Paolo VI, che proclamò san Benedetto patrono d’Europa: «Perché agli uomini di oggi, a quelli che possono operare e a quelli che solo possono desiderare sia ormai intangibile e sacro l’ideale dell’unità spirituale dell’Europa, e non manchi loro l’aiuto dall’alto per realizzarlo in pratici e provvidi ordinamenti che abbiamo voluto proclamare san Benedetto Patrono e protettore dell’Europa» (Paolo VI 1964).

I discorsi citati, abbastanza generici, sono favorevoli agli sforzi per garantire la pace in Europa, ma non avanzano proposte più precise. A pesare, in una prima fase, sono anche i limiti alla presenza delle Chiese nelle istituzioni europee: i trattati non prevedono che le Chiese possano partecipare nella qualità di “osservatori” – a differenza del Consiglio d’Europa ai cui lavori la Santa Sede partecipa in questa veste dal 1970 – e solo nel 2009 il Trattato di Lisbona ha previsto «un dialogo aperto, trasparente e regolare» con le Chiese (art. 17 TFUE).

Per mostrare che l’Europa prende forma anche a livello ecclesiale, diversi Presidenti delle Conferenze episcopali crearono nel marzo 1971 il Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE, con sede a San Gallo, in Svizzera, <www.ccee.eu>), «un organismo di comunione tra le Conferenze episcopali d’Europa che ha come fine la promozione e la custodia del bene della Chiesa» (cfr <www.ccee.eu>). Pur avendo una finalità essenzialmente ecclesiale e pastorale, il CCEE ha costituito un esempio vivo di dottrina sociale della Chiesa, mostrando la solidarietà tra le Chiese di tutti i Paesi europei, al di là delle diversità politiche, nel periodo della guerra fredda.

La svolta degli anni Ottanta

Un passo avanti avvenne all’inizio degli anni ’80 con l’avanzare del progetto europeo. Nel giugno 1979, la prima elezione del Parlamento europeo a suffragio universale nei nove Stati membri dell’epoca trasformò il progetto economico delle istituzioni europee (la CECA e la CEE) in uno ampiamente politico: i cittadini eleggevano i propri rappresentanti chiamati a partecipare alle scelte prese a livello europeo. Inoltre, le intenzioni di allargamento dell’Unione facevano intravedere una nuova unità del continente. È in questo periodo, esattamente nel 1980, che i vescovi europei costituirono la COMECE (Commissione dei vescovi della Comunità europea, <www.comece.eu>), composta da un vescovo per ogni Paese membro dell’Unione, che ha partecipato in diverse occasioni ai dibattiti europei, divenendo strumento di un continuo discernimento del progetto politico dell’Unione sulla base dell’insegnamento sociale della Chiesa.

Attenti all’evoluzione dell’Unione, i papi hanno espresso le loro posizioni soprattutto in occasione delle visite alle istituzioni europee. L’11 ottobre 1988, una data storica, per la prima volta un Papa visita il Parlamento europeo. Fin dalle prime battute Giovanni Paolo II chiarì la posizione: «Come potrebbe la Chiesa disinteressarsi della costruzione dell’Europa, lei che è radicata da secoli nei popoli che la compongono e che ha condotto un giorno al fonte battesimale popoli per i quali la fede cristiana è e rimane uno degli elementi della loro identità culturale?» (Giovanni Paolo II 1988). La Chiesa mostrava così il suo interesse per un processo che aveva trascurato in precedenza, ritenendolo limitato alle questioni economiche. Il Papa manifestò anche il suo apprezzamento per gli sviluppi in atto: «Il “mercato unico”, che entrerà in vigore dalla fine del 1992, accelererà il processo di integrazione europea. Una struttura politica comune, emanazione della libera volontà dei cittadini europei, lungi dal mettere in pericolo l’identità dei popoli della comunità, servirà piuttosto a garantire più equamente i diritti, soprattutto culturali, di tutte le sue regioni» (ivi). Rivolse poi diversi inviti nel solco dell’insegnamento sociale. Si augurò, innanzitutto, che l’Europa orientale potesse aderire al progetto europeo quando fossero maturate le condizioni: ciò avverrà nel 2004 con l’allargamento dell’Unione a dieci nuovi Stati membri. Invitò soprattutto l’Europa a guardare verso il Sud del mondo: «Nessuno può immaginare che un’Europa unita possa rinchiudersi nel suo egoismo. Parlando all’unisono, unendo le sue forze, essa sarà in grado più ancora che nel passato di consacrare risorse ed energie nuove al grande compito dello sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo [...]. La cooperazione europea sarà quindi tanto più credibile e fruttuosa quanto più sarà portata avanti senza secondi fini di dominio, con l’intento di aiutare i Paesi poveri a farsi carico del loro proprio destino» (ivi). Una richiesta che esplicita i ripetuti inviti delle precedenti encicliche, come Pacem in terris e Populorum progressio. Gran parte del discorso è dedicata alla laicità che, se ben compresa – affermerà lo stesso Giovanni Paolo II nel 2005 (cfr riquadro) –, fa parte della dottrina sociale della Chiesa.


Giovanni Paolo II
al Parlamento europeo

Dopo circa due millenni, l’Europa offre un esempio molto significativo della fecondità culturale del cristianesimo che, per sua natura, non può essere relegato alla sfera privata. Il cristianesimo, infatti, ha vocazione di professione pubblica e di presenza attiva in tutti gli ambiti della vita. Il mio dovere è anche quello di sottolineare con forza che se il sostrato religioso e cristiano di questo continente dovesse essere emarginato dal suo ruolo di ispirazione dell’etica e dalla sua efficacia sociale, non è soltanto tutta l’eredità del passato che verrebbe negata, ma è ancora un avvenire dell’uomo europeo – parlo di ogni uomo europeo, credente o non credente – che verrebbe gravemente compromesso.

La Carta dei diritti fondamentali

Nel 1999, l’Unione Europea (UE) avvia il processo di elaborazione di una Carta dei diritti fondamentali, completato nel 2000 da una Convenzione riunitasi a Bruxelles e presieduta da Roman Herzog, ex presidente della Repubblica federale di Germania, durante la quale si accese subito un vivace dibattito, ampiamente pubblicizzato, sul preambolo della Carta: vi devono essere menzionate le radici cristiane del continente? Vi erano divergenze tra Francia da un lato e Germania, Polonia e Spagna dall’altro, testimonianze di due visioni della laicità. I tedeschi si batterono affinché il testo facesse riferimento all’“eredità religiosa” dell’Europa, mentre i francesi, indipendentemente dai partiti di appartenenza, proponevano la menzione semplicemente del “patrimonio spirituale”.

Basandosi sulla varietà dei modelli europei di relazioni con gli Stati (integrazione in Germania, separazione in Francia), le Chiese, soprattutto cattoliche e ortodosse, auspicavano che la Carta dei diritti fondamentali riconoscesse in modo formale la loro esistenza istituzionale. La Convenzione si rifiutò di farlo, pur riconoscendo il diritto alla libertà religiosa, il diritto di manifestare la propria religione individualmente o collettivamente e il diritto di riunione e associazione. Il preambolo si limitò a ricordare che l’Unione è «consapevole del suo patrimonio spirituale e morale»: una formula minima che ottenne il consenso della Convenzione. Al contempo, il Trattato di Lisbona, come abbiamo già detto, riconosce però alle Chiese il loro status unico e instaura un dialogo regolare con loro. Resta comunque una certa distanza nei confronti della Chiesa cattolica: mentre c’è un Nunzio apostolico presso la Comunità Europea dal 1970, solo nel 2006 la UE ha formalizzato una propria rappresentanza presso la Santa Sede.

Benedetto XVI e le radici cristiane dell’Europa

Malgrado i negoziati per prepararne la visita, Benedetto XVI non poté recarsi in visita alle istituzioni europee per l’ostilità manifestata da molti parlamentari europei nei confronti della Chiesa, che rese difficile l’organizzazione dell’incontro. Peraltro, il Papa aveva espresso dure posizioni sull’abbandono dei propri valori da parte dell’Europa nel discorso del 24 marzo 2007 per il 50° anniversario del Trattato di Roma, affermazioni che rischiavano di confondere sviluppi culturali e costruzione politica, che si collocano su piani distinti.

In più occasioni, il Papa ha espresso il suo interesse per l’integrazione europea, senza però precisare la sua posizione oltre il richiamo all’eredità cristiana, come ricordato in occasione dell’incontro con i parlamentari del Partito popolare europeo: «L’Europa deve affrontare questioni complesse di grande importanza come la crescita e lo sviluppo dell’integrazione europea, la definizione sempre più precisa della politica di prossimità in seno all’Unione e il dibattito sul suo modello sociale. Per raggiungere questi obiettivi, sarà importante trarre ispirazione, con fedeltà creativa, dall’eredità cristiana che ha contribuito in modo particolare a forgiare l’identità di questo continente. Apprezzando le sue radici cristiane, l’Europa sarà in grado di offrire un orientamento sicuro alle scelte dei suoi cittadini e delle sue popolazioni, rafforzerà la loro consapevolezza di appartenere a una civiltà comune, e alimenterà l’impegno di tutti ad affrontare le sfide del presente per il bene di un futuro migliore» (Benedetto XVI 2006). Contemporaneamente, la COMECE prosegue il discernimento sullo sviluppo politico della UE nella linea di un’economia sociale di mercato.

Papa Francesco

Beneficiando di un clima più favorevole di quello del suo predecessore e provenendo da un altro continente, papa Francesco è stato invitato a intervenire al Parlamento europeo in occasione del suo viaggio a Strasburgo il 25 novembre 2014. Il suo discorso richiama il cuore della dottrina sociale della Chiesa, insistendo sulla centralità della persona umana: «Mettere al centro la persona umana significa anzitutto lasciare che essa esprima liberamente il proprio volto e la propria creatività, sia a livello di singolo che di popolo. [...] Una storia bimillenaria lega l’Europa e il cristianesimo. Una storia non priva di conflitti e di errori, anche di peccati, ma sempre animata dal desiderio di costruire per il bene» (papa Francesco 2014a). Il Papa ritorna anche sulla sua visione dei rapporti della UE con il cristianesimo: «Ritengo fondamentale non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per l’indipendenza delle istituzioni dell’Unione, bensì un arricchimento. Ce lo indicano gli ideali che l’hanno formata fin dal principio, quali la pace, la sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispetto della dignità della persona» (ivi). Il tema della dignità è centrale nel suo discorso insieme a quello della trascendenza, che si rinviano reciprocamente.

Il Papa parla alla UE, ma al contempo si rivolge a tutto l’Occidente, soprattutto quando attacca l’opulenza, la cultura dello scarto o la mancanza di slancio del continente. Nello stesso viaggio, il Papa visita anche il Consiglio d’Europa, dove affronta il tema della pace: «La pace non è la semplice assenza di guerre, di conflitti e di tensioni»; è «dono di Dio e frutto dell’azione libera e razionale dell’uomo che intende perseguire il bene comune nella verità e nell’amore» (papa Francesco 2014b).

Davanti a entrambe le assemblee, papa Francesco ricorda il rilievo dei diritti umani, espressione della ricerca e del rispetto della dignità, come già sostenuto da Giovanni Paolo II. Il Papa ha scosso i suoi uditori parlando di «un’Europa un po’ stanca e pessimista» (papa Francesco 2014b) e di «un’Europa nonna» (papa Francesco 2014a); diverso è stato, invece, il tono, pieno di speranza e di dinamismo, in occasione dell’assegnazione del premio Carlo Magno (cfr riquadro). Attento al progetto europeo, papa Francesco interviene soprattutto sul piano spirituale – sul vigore delle motivazioni dei suoi membri – più che sull’articolazione delle politiche istituzionali e sociali dell’Unione.


Discorso in occasione
del premio Carlo Magno

I progetti dei Padri fondatori, araldi della pace e profeti dell’avvenire, non sono superati: ispirano, oggi più che mai, a costruire ponti e abbattere muri. [...] Sogno un nuovo umanesimo europeo, “un costante cammino di umanizzazione”, cui servono “memoria, coraggio, sana e umana utopia”. Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita (papa Francesco 2016).

Una morale spirituale

La rilettura di circa 70 anni di interventi papali mostra un’iniziale esitazione della Chiesa a entrare nell’arena sociale e politica dell’Europa. Fino a Paolo VI, i papi hanno incoraggiato la costruzione dell’Europa per assicurarne l’unità, ma senza intervenire nel dibattito sulla sua forma, lasciato ai popoli europei. È solo negli anni ’80, con la creazione della
COMECE e il ruolo di Giovanni Paolo II, che il discorso della Chiesa sull’integrazione europea in un’istituzione politica comune diviene più specifico. Con Giovanni Paolo II fa il suo ingresso il tema della dimensione cristiana dell’Europa e del rispetto delle sue radici, come dimostra il dibattito sulla Costituzione europea. Benedetto XVI ha ribadito la richiesta di menzionare le origini cristiane dell’Europa nel preambolo della Carta dei diritti fondamentali. Tuttavia, non ha commentato la Carta, che affermava i valori fondamentali della dignità, del rispetto della vita, della libertà religiosa e della solidarietà. Papa Francesco non si discosta da questo approccio, non entrando in una riflessione sulla morale politica praticata dalla UE attraverso le sue istituzioni. Nei due discorsi a Strasburgo del 2014 insiste sul contributo del patrimonio cristiano alla formazione e alla crescita del continente. Citando la Lettera a Diogneto («i cristiani sono nel mondo ciò che l’anima è nel corpo»), richiama posizioni già ampiamente tenute da Benedetto XVI e da Giovanni Paolo II.

Ci si può interrogare su questa difficoltà della Chiesa a riconoscere nella UE un esempio di istituzione che abbraccia i principi essenziali della dottrina sociale della Chiesa. La consonanza con questo insegnamento non è una sorpresa, dato che i fondatori e molti dei loro successori provengono dalla tradizione cristiana. La sussidiarietà, chiave di volta del Trattato di Maastricht, è divenuta un pilastro della costruzione europea per volontà dei cristiani. La UE incarna, al livello europeo, ciò che la Chiesa nei suoi documenti, da Mater et magistra a Caritas in veritate, chiede a livello mondiale: l’esistenza di un’autorità con competenze multiple che possa evitare le derive dei nazionalismi. Il Vaticano ha preso pienamente coscienza della portata di questa unione politica regionale? Il discorso universale della Chiesa potrebbe ispirarsi a quanto concretamente realizzato nella UE per inviare un messaggio più concreto e politico a tutti i tentativi di raggruppamento di Stati, in linea con le “linee guida per l’azione” che la dottrina sociale di solito propone.


Risorse

Benedetto XVI (2006), Discorso ai partecipanti al convegno promosso dal Partito popolare europeo, 30 marzo.

Papa Francesco (2016), Discorso per il conferimento del premio Carlo Magno, 6 maggio.

— (2014a), Discorso al Parlamento europeo, 25 novembre.

— (2014b), Discorso al Consiglio d’Europa, 25 novembre.

Giovanni Paolo II (1988), Discorso durante la visita al Parlamento europeo.

Paolo VI (1964), Omelia per la consacrazione della chiesa dell’archicenobio di Montecassino, 24 ottobre.

Pio XII (1957), Discorso ai partecipanti del Congresso d’Europa, 13 giugno.

— (1948), Discorso in occasione del II Congresso internazionale per dar vita all’Unione federale europea, 11 novembre.


Testo originale Les papes et l’Europe dal sito <www.doctrine-sociale-catholique.fr>. Traduzione ridotta dal francese di Giuseppe Riggio SJ. I testi magisteriali e papali sono tratti dal sito <www.vatican.va>.


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