Il Forum nazionale di Etica civile, tenutosi a Milano (1-2 aprile), si è concluso con la presentazione di un Patto, promosso dalla nostra Rivista insieme ad altri soggetti, e con il lancio di alcuni cantieri per proseguire nell’impegno riflessivo e pratico ispirati dall’ecologia integrale.
Sabato 1 e domenica 2 aprile si è svolto a Milano, presso la sede di Aggiornamenti Sociali, il II Forum nazionale di etica civile, lanciato più di un anno fa su queste pagine (cfr Aggiornamenti Sociali, «Territori, cittadini e buone pratiche: patrimoni da connettere», in Aggiornamenti Sociali, 2 [2016] 93-98 e Morandini S., «Etica civile: verso il II Forum nazionale», in Aggiornamenti Sociali, 3 [2017] 236-241) e organizzato insieme ad altre sette realtà che sono espressione di impegno sociale e civile di diverse aree del Paese: Associazione Cercasi un fine (Bari), Associazione Incontri (Firenze), Centro Studi Bruno Longo (Torino), FOCSIV (federazione nazionale con sede a Roma), Fondazione Lanza (Padova), Il Regno (Bologna), Istituto di formazione politica Pedro Arrupe (Palermo).
L’intuizione alla base del Forum è stata la convinzione che, nonostante gli evidenti problemi della situazione politica e sociale, la società civile italiana resta ricca di energie e di esperienze positive, capaci di tradursi, soprattutto in ambito locale, in buone pratiche di solidarietà, di giustizia e di promozione del bene comune. Per esprimere tutta la loro potenzialità, queste esperienze hanno però bisogno di confrontarsi e collegarsi in un modo che rispetti l’originalità di ciascuna, ma senza rinunciare a elaborare un progetto più ampio e una modalità condivisa di abitare la società italiana e affrontare le sue contraddizioni.
Lo scopo di queste pagine non è offrire un resoconto dei lavori del Forum: per questo rimandiamo al suo sito <https://forumeticacivile.com>, in cui sono disponibili abbondanti materiali, compresa la registrazione video di tutti i lavori assembleari e il messaggio del Presidente della Repubblica. Qui, nello stesso spirito con cui si è svolto il Forum, proveremo a condividere le riflessioni che esso ha suscitato all’interno della Redazione di Milano e Palermo della nostra Rivista, allargando lo scambio ai nostri lettori e rilanciando l’opportunità di partecipare a un lavoro che non è terminato il 2 aprile.
Il valore del Forum e del cammino che lo ha preparato sta nel suo essere stato un esercizio concreto di costruzione e pratica di uno spazio pubblico di incontro e articolazione tra realtà diverse. L’antenato di questa esperienza è la piazza pubblica, l’agorà, quel luogo in cui i cittadini si radunavano per discutere dei fatti riguardanti il governo della città. Qui intendiamo per spazio pubblico in senso figurato l’insieme di processi dove si articolano gli interessi comuni e le differenze e si organizza l’esperienza sociale. Il termine “pubblico” non si riferisce esclusivamente a ciò che riguarda lo Stato e l’amministrazione, ma ai processi collettivi che definiscono norme e valori sociali, aggiornano criticamente le tradizioni, identificano problemi e avanzano soluzioni. Lo spazio pubblico è un concetto utile non soltanto a descrivere, ma soprattutto a orientare le pratiche e le forme della cultura politica e sociale.
In questa prospettiva l’esperienza del Forum ci ha consentito di approfondire l’intuizione originale da cui eravamo partiti come promotori. Riflettendo oggi sul percorso compiuto, siamo convinti che, per molti versi, la capacità di mantenere aperto uno spazio autenticamente pubblico e la disponibilità a farsi carico dello sforzo perché esso continui a essere attraversato da uno scambio costruttivo, costituiscono il contenuto essenziale dell’etica civile nella società italiana di oggi: è lo spazio pubblico quel bene comune la cui difesa e promozione interpellano la coscienza di quanti vogliono abitare il tempo presente in modo responsabile e civile.
Lo spazio pubblico tra mediazione e mediatizzazione
Lo sforzo di costruire uno spazio autenticamente pubblico deve oggi fare i conti con una serie di difficoltà, che sono emerse anche lungo il nostro percorso. La prima è quella di trovare il modo di articolare idee e opinioni elaborate in ambiti privati, evitando di limitarsi a metterle in scena. Oggi infatti lo spazio pubblico non ospita i processi di elaborazione, che avvengono altrove, ma la manifestazione dei loro esiti. Raramente si pongono le condizioni perché ogni interlocutore abbia la possibilità di argomentare la propria posizione in dialogo con chi la pensa diversamente e arrivare a un punto di intesa accettabile per tutti. Le opinioni sono semplicemente enunciate e ripetute all’infinito, senza alcuna reale intenzione di comprendersi e, eventualmente, modificare la propria posizione, ma puntando a raccogliere il consenso di quanti, per le ragioni più varie, vi si identificano. In questo senso si può parlare più propriamente di spazio pubblico come luogo di mediatizzazione delle idee che come processo di mediazione: si esibiscono le differenze, scatenando opposizioni e identificazioni ugualmente viscerali, senza che si apra alcuna possibilità di incontro per quanto limitata e parziale. Si tende a cercare acriticamente l’uniformità fra opinioni simili, o a debellare l’avversario se si è in disaccordo, ma non a incontrare l’altro-diverso per individuare strade da percorrere insieme.
Se assistiamo a questa messa in scena di opinioni e pretese che restano sostanzialmente private è per l’indebolimento del senso del “comune”, del “collettivo”, di tutto ciò che è capace di trascendere il puramente individuale. Questo non va certo inteso come una prospettiva di omogeneizzazione, ma come qualcosa di plurale e in divenire, nel rispetto della complessità delle nostre società e delle differenze e dei conflitti che le attraversano. Come ha spiegato nella prima giornata del Forum la politologa spagnola Cristina de la Cruz Ayuso, «L’erosione del senso del collettivo è all’origine di una serie di fenomeni che rientrano perfettamente in ciò che Marcel Gauchet ha denominato “ideologia della disappartenenza”: individui puri che non hanno debiti con la società e che esigono tutto da essa. Si tratta di quella categoria di disaffiliazione definita da Michael J. Sandel come l’“io svincolato”».
Su questa tendenza incidono le trasformazioni prodotte dalle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione. Ancora non è chiaro l’effetto che Internet, e in particolare i social network, avranno sullo spazio pubblico, ma è legittima la domanda se contribuiranno alla diffusione di una cultura civica comune o favoriranno la frammentazione e la polarizzazione sociale, incoraggiando un’informazione selettiva che non farà che confermare ciascuno nelle proprie opinioni.
Spazio pubblico e impegno politico
In un contesto che sembra erodere via via la possibilità di qualcosa di comune e più ancora di pubblico, occorre ripartire da una domanda che non può essere semplicemente retorica o banalmente cinica: quanto ciascuno è davvero interessato e disponibile a mettere in gioco le proprie opinioni in uno spazio pubblico e non soltanto a comunicarle, ammantandole di una pretesa di assolutezza individualista? Quale cambiamento richiede aprirsi allo spazio pubblico? Quanto in fin dei conti riteniamo rassicurante rimanere in una dimensione privata più protetta? Non affrontare seriamente queste domande è la ragione che ha decretato e continua a decretare il fallimento di tante iniziative del Terzo settore, della società civile, o dell’associazionismo di matrice cattolica. In particolare due sono le posizioni in cui si rischia di rimanere rinchiusi.
La prima è quella della “coscienza testimoniale”, attenta soprattutto a esibire e preservare la propria differenza, senza rendersi conto che l’ansia di costruirsi uno spazio “a parte” o “contro” può sfociare nell’autoreferenzialità, alla lunga sterile, a dispetto dei valori di cui si è portatori. È un rischio che riguarda tutti i tentativi di costruzione di alternative, nel campo della produzione e del commercio, come in quello della finanza etica e più in generale degli stili di vita: ci si accontenta di racconti marginali rispetto alle dinamiche che governano l’evoluzione della società, o di opposizioni reattive e conflittuali, o ancora di lamentazioni moralistiche.
La seconda posizione in cui si può rimanere rinchiusi è quella di una gestione, magari sempre più raffinata da un punto di vista tecnico, delle emergenze sociali, in risposta alle sollecitazioni provenienti dalle istituzioni pubbliche, col rischio però di perdere la visione di fondo, la carica innovativa e l’autonomia di proposta in uno spazio autenticamente pubblico. Non è difficile riconoscere in questa dinamica la radice di fenomeni di corruzione che hanno interessato vari ambiti, tra cui anche alcune componenti del Terzo settore: impegnarsi per costruire e mantenere vivo uno spazio pubblico è in fin dei conti la migliore tutela della propria stessa ispirazione (cfr Polizzi E. – Vitale T., «Riforma del Terzo settore: verso quale approdo?», in Aggiornamenti Sociali, 2 [2017] 102-112).
Un autentico agire politico, invece, non è primariamente strumentale o gestionale, ma implica innanzi tutto la costituzione di un vincolo umano dotato di senso, rifiutando ogni esercizio di dominazione o di neutralizzazione della pluralità. Per questo ha bisogno dello spazio pubblico per poter promuovere un immaginario positivo del vivere insieme − una nuova narrazione, spiegava al Forum don Virginio Colmegna − che sia capace di rafforzarsi continuamente attraverso la prospettiva di un’azione comune. Rifiuta quindi di ragionare sulla società a partire da diritti o da utilità puramente individuali, puntando a stabilire forme di cooperazione più stabili della mera coincidenza di interessi, ma senza per questo far entrare in gioco dinamiche fondate sull’appartenenza identitaria. Queste infatti, come quasi ogni giorno ci mostra la cronaca, finiscono per frammentare lo spazio pubblico, negando l’universalità del “comune” e quindi, sottilmente, privatizzandolo.
Si apre allora una domanda ancora più profonda, che Gherardo Colombo ha lucidamente posto al Forum nella mattinata di domenica: siamo davvero pronti a prendere sul serio la pari dignità delle persone e a costruire una società che su questo si fondi? La risposta retorica è scontata, ma riposa anche sul fatto che troppo facilmente ci dimentichiamo che nella storia la discriminazione è la regola, e non l’eccezione, nell’organizzazione della società. È chiaro però che lo spazio pubblico è luogo di incontro tra coloro che lo abitano, e non di oppressione di alcuni su altri, solo se è fondato sul riconoscimento reciproco. Lo dimostra, ad esempio, la storia delle relazioni di genere e di come i ruoli siano stati codificati in norme che è stato a lungo difficile scalfire, anche quando risultavano in palese contrasto con il dettato costituzionale.
Una prospettiva integrale per l’etica civile
Costruire uno spazio pubblico in cui sia possibile il pieno riconoscimento di tutti coloro che lo abitano, senza discriminazione, è possibile, ma richiede un metodo che renda l’incontro tra le diversità generativo e non esplosivo. Abitare lo spazio pubblico in un modo che sia etico e civile esige di operare per l’integrazione tra le posizioni che in esso si esprimono, valorizzando i nessi, le connessioni, i nodi. L’etica civile non può che aprirsi quindi a prospettive come quella dell’ecologia integrale, intesa come paradigma di costruzione della giustizia in una società complessa, attenta ai legami tra le persone e i corpi sociali, ma anche con la natura che ne sostiene l’esistenza. Soprattutto, l’etica civile declinata in chiave integrale richiede di rinunciare alla lotta per occupare il centro della scena e di lì dominarla, per occuparsi della cura degli snodi che permettono l’articolazione di una società poliedrica.
Il passaggio chiave, che nel Forum abbiamo cercato di mettere alla base della metodologia usata per i lavori di gruppo, è accettare la sfida dell’ascolto profondo, capace di lasciar risuonare la parola dell’altro prima di giudicarla sulla base dei propri pregiudizi o delle proprie convinzioni. E soprattutto prima di reagire ribadendo ancora una volta la propria posizione, come se l’incontro fosse una competizione da vincere o peggio una battaglia in cui trionfare. Quando tutti partono da questo presupposto, l’incontro non può che rimanere un dialogo tra sordi, o meglio tra interlocutori assordati dagli strepiti con cui ciascuno cerca di zittire quelli che gli appaiono solo come avversari. L’esperienza quotidiana conferma quanto sono rari i luoghi in cui non domina questa logica, con un evidente esito di limitazione del potenziale di creatività all’interno di dinamiche sociali il cui copione risulta immodificabile.
Il vero punto di partenza dell’etica civile è invece che ciascuno accetti l’eventualità che la posizione dell’altro sia portatrice di elementi che conducono a modificare la propria, perché consentono od obbligano a guardare le cose anche da un’altra prospettiva. Per questo l’ascolto profondo, che è l’unico terreno su cui può fiorire e portare frutto il dialogo, riveste una importanza cruciale. Attraverso la sua pratica è possibile uscire dall’autoreferenzialità e anche dall’urgenza emotiva di ciò che sta a cuore a ciascuno per cominciare a pensare come “noi”, come soggetto collettivo capace di riconoscere i singoli e le loro istanze, ma anche di riconoscersi in preoccupazioni comuni e di disporle in un ordinamento di priorità sensato, offrendo uno spazio adeguato e individuando modalità e linguaggi che rendano davvero possibile la partecipazione di quanti sono normalmente esclusi o lasciati ai margini (i giovani, i ceti popolari, le tante “periferie”).
È questo ascolto che apre l’incontro tra le differenze alla generatività di un progetto comune che non le uniforma, ma in cui ciascuna può recare il proprio contributo, riconoscendosi e sentendosi riconosciuta anche quando l’istanza che porta non è in cima all’agenda. La sfida è dunque costruire spazi pubblici in cui ci si ascolta sul serio.
Un itinerario che prosegue: il Patto e i cantieri
Gli organizzatori e i partecipanti del Forum si sono riconosciuti in questo stile e nel metodo di ascolto, che si richiamano all’ecologia integrale: lo affermano le righe conclusive del Patto per un’etica civile che è stato presentato alla conclusione dei lavori e che pubblichiamo al termine di questo Editoriale. Il testo è stato sottoscritto, oltre che dai promotori – e quindi anche da Aggiornamenti Sociali e dai membri della sua Redazione – da 23 realtà associative e da 133 persone singole (al 15 aprile 2017). La possibilità di aderirvi attraverso il sito è ancora aperta e ci sentiamo quindi di invitare i nostri lettori a leggerlo con attenzione e a sottoscriverlo, personalmente ma soprattutto a nome delle associazioni e realtà della società civile di cui fanno parte.
Proprio per continuare a praticare concretamente quello spazio pubblico di cui il Forum ci ha permesso di rimettere a fuoco la valenza etica e civile per il nostro tempo, il Patto indica che il percorso non è terminato, ma proseguirà attraverso l’impegno di coloro che lo sottoscrivono e in particolare attraverso la realizzazione di alcuni cantieri di lavoro trasversali. Questi da un lato sono emersi durante il Forum come snodi nevralgici, dall’altro rappresentano anche il terreno su cui sono già partiti percorsi d’impegno che si possono aprire all’azione comune: i temi vanno dalla formazione all’ecologia integrale alla promozione di strumenti finanziari che promuovano la sostenibilità ambientale, dall’accompagnamento etico a chi svolge funzioni manageriali al sostegno alle situazioni di solitudine in cui finisce spesso per trovarsi chi decide di operare secondo lo spirito dell’etica civile, da percorsi di cittadinanza attiva alla formazione di elettori critici e maturi.
I cantieri proposti rappresentano allora una possibilità di costruire e abitare lo spazio pubblico, oltre a essere un modo concreto in cui l’ecologia integrale offre forma, metodo e sostanza al nostro vivere insieme, nel segno di uno stile improntato all’ascolto, al dialogo e al confronto autentico.
PATTO PER UN'ETICA CIVILE
Il percorso partecipativo che ha condotto al II Forum nazionale di etica civile (Milano, 1-2 aprile 2017) è stato promosso da una pluralità di soggetti (Aggiornamenti Sociali, Associazione Cercasi un fine, Associazione Incontri, Centro Studi Bruno Longo, FOCSIV, Fondazione Lanza, Il Regno, Istituto di formazione politica Pedro Arrupe), convinti che la collaborazione sia un valore aggiunto decisivo in questo frangente storico dominato dagli individualismi e dalla frammentazione.
Abbiamo fin da subito pensato il Forum come un luogo di confronto tra riflessioni e buone pratiche, nel segno della partecipazione più ampia possibile. Il dialogo avviato tra i partecipanti – con le loro esperienze e le loro proposte condivise online – e poi concretizzato nei seminari e nel Forum Nazionale ha permesso di evidenziare una volta di più il ruolo centrale della dimensione civile per una buona convivenza sostenibile nelle nostre città, così come nella polis globale.
Nell’incontro con una delegazione dei promotori del Forum, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sottolineato l’importanza di ritrovare le ragioni etiche dello stare insieme; il tentativo di far incontrare segmenti di società che di solito agiscono in maniera separata; lo sforzo di andare oltre i compartimenti stagni per vivere quella circolarità senza la quale non si crea comunità. Le parole del Presidente ci incoraggiano ad andare avanti nella direzione intrapresa.
Dal percorso fin qui fatto e dal Forum abbiamo imparato insieme che occorre tessere un’etica civile, capace di attingere a tradizioni diverse, per interpretare la poliedrica realtà attuale e proporre pratiche rinnovate. In particolare, abbiamo capito che un’etica civile attenta al bene comune tocca diverse dimensioni qualificanti della convivenza:
1) una politica che sia risposta condivisa alle domande fondamentali delle nostre città; che sia sintonizzata su ciò che è giusto, costruttivo, vero, solidale per me e per gli altri; che sia intessuta di partecipazione, competenza e lotta alla corruzione;
2) un’idea innovativa di cittadinanza, slegata da quella esclusiva di nazionalità, perché ciascuno possa esercitare i diritti e i doveri fondamentali della persona in qualunque luogo, secondo un fondamentale ius dignitatis humanae;
3) una città accogliente per l’incontro tra le diversità, spazio di dialogo senza violenza tra differenti religioni, sulla base di quella Regola d’oro che è preziosa fonte di ispirazione per un’etica civile;
4) un’educazione orientata a una nuova coscienza, generatrice di città inclusive e poliedriche, intessute di connessioni; tesa a formare i giovani a una democrazia partecipata, etica e responsabile che affezioni alla polis;
5) valorizzare le tante buone pratiche che esprimono un rapporto sostenibile tra economia e ambiente, sapendo che solo nella prospettiva dell’ecologia integrale potranno essere affrontati e risolti i complessi problemi ambientali;
6) un’economia orientata al contrasto della disuguaglianza e della povertà diffusa; attenta alla dimensione civile, della solidarietà e della condivisione; rigorosa nel rispetto delle norme (specie in ambiti come l’evasione e l’elusione fiscale o la normativa sul lavoro);
7) una comunicazione che sappia responsabilmente esprimere un dibattito pubblico libero, informato e plurale, ponendosi come strumento di formazione di coscienza civile, per persone e comunità, nella rigorosa attenzione per la veridicità di quanto veicolato.
Alla luce del percorso compiuto noi promotori sottoscriviamo questo Patto per un’etica civile impegnandoci:
a operare responsabilmente nei rispettivi ambiti di azione sulla base della rinnovata consapevolezza delle dimensioni dell’etica civile;
a condividere motivazioni e linee di azione;
a partecipare attivamente alle tappe successive di questo fecondo cammino, a partire da alcuni cantieri di lavoro trasversali che riprendono la dinamica e i contenuti del Forum;
a rendere accessibili questi percorsi attraverso il sito internet del Forum.
Non vogliamo costituire un partito né un movimento, ma condividere un percorso caratterizzato da uno stile e da un metodo di ascolto reciproco anche tra posizioni e ambiti diversi, aldilà della solitudine in cui spesso si trovano persone e gruppi che vivono scelte eticamente difficili.
Su ciascuno di questi punti, invitiamo quanti vogliono impegnarsi a sottoscrivere anche loro questo Patto per un’etica civile, mossi dalla speranza in una rinnovata convivenza civile alla cui costruzione tutti possano contribuire.