Commentando il racconto di Caino e Abele (Genesi 4,1-16) era già emersa la minacciosa problematica della violenza, capace di inquinare e distruggere i rapporti interpersonali e sociali se non viene dominata (Teani M., «Dominare la violenza», in Aggiornamenti Sociali, 10 [2017] 686-689). Questo tema è ripreso e approfondito nei successivi capitoli del primo libro della Bibbia, che mostrano le conseguenze nefaste causate dalla corruzione delle coscienze e dalla violenza che ne deriva e dilaga in modo inarrestabile su tutta la terra. Le vicende narrate, dalla discendenza di Caino fino al diluvio, sono scandite, infatti, dall’ostentazione di un potere violento e mortifero, che si intuisce essere “il” peccato che deturpa il mondo e lo conduce alla rovina.
La crescita esponenziale della violenza
Riportando la genealogia di Caino, il brano di Genesi 4,17-24 presenta Lamech, una figura caratterizzata dall’eccesso, come il suo tipico discendente (v. 18b). Si tratta dell’ultimo personaggio nominato sul quale il testo si sofferma a lungo, invitando così il lettore a concentrare la sua attenzione su di lui. In Genesi 2,24 era riportato il progetto di Dio circa la relazione uomo-donna, quale cammino di comunione di vita: I due saranno una carne sola. Qui si dice che Lamech si prese due mogli (Genesi 4,19). Il verbo “prendersi” suggerisce l’appropriarsi dell’altro, trattato come un oggetto a propria disposizione, usato per la propria esaltazione personale. Con il suo gesto Lamech vuole ostentare se stesso e la propria potenza virile, un modo per dire a tutti: «guardate come sono forte e vigoroso!». Anche le parole che pronuncia con tono sprezzante al cospetto delle mogli sulla sua reazione se aggredito (vv. 23-24) sono nel segno dell’eccesso. La sua arma di dissuasione verso potenziali nemici è la minaccia della vendetta. Una vendetta sproporzionata. Infatti egli, che ha già ucciso un uomo per una leggera ferita, proclama con aria tracotante che sarà vendicato settanta volte, vale a dire in una misura esorbitante rispetto allo stesso Caino. Siamo di fronte a una crescita esponenziale della violenza, fenomeno devastante che emerge in tutta la sua crudezza.
La violenza non è confinata solo alle relazioni interpersonali. Il testo attribuisce a Enoc la fondazione di una città (v. 17); ai suoi figli, oltre all’avvio della pastorizia e alla creazione degli strumenti musicali (v. 21), fa risalire la lavorazione dei metalli (v. 22). Si tratta di novità introdotte sulla terra dai discendenti di Caino! Ciò lascia subito intendere come tali novità, che pure segnano lo sviluppo della civiltà, presentano una forte ambiguità. È il caso della lavorazione del rame e del ferro: da una parte, essa permette di produrre strumenti di lavoro efficienti; dall’altra, però, porta alla fabbricazione delle armi. Di fatto, la civiltà del bronzo e quella successiva del ferro hanno determinato un forte aumento della capacità offensiva e della violenza.
In questo quadro fosco, però, è introdotto uno spiraglio di speranza. Subito dopo la discendenza di Caino, è riportata quella di Set, un altro figlio di Adamo ed Eva. Essa appare caratterizzata da una novità rilevante: con Enos, figlio di Set, si comincia a invocare il nome del Signore (Genesi 4,25-26). Con questa annotazione il testo registra una svolta radicale rispetto alla logica di Caino e dei suoi discendenti: il riconoscimento di Dio come autore della vita e, conseguentemente, la consapevolezza che nessuno può farsi padrone della vita stessa. Il lettore è così sollecitato a riconoscere come dentro la storia, accanto alla presenza massiccia dei discendenti di Caino, si faccia strada una discendenza “alternativa”, meno vistosa (il testo le riserva solo due versetti), ma reale. I capitoli successivi, tuttavia, insisteranno sull’aumento vertiginoso della violenza nel mondo, mostrando che lo sbocco inevitabile sarà il diluvio.
Verso il diluvio
Il lungo racconto del diluvio (Genesi 6,5-9,17), caratterizzato da una storia redazionale complessa (cfr Ska J.-L., Antico Testamento. 2. Temi e letture, EDB, Bologna 2015, 33-41), riprende un motivo presente nel patrimonio culturale dell’Oriente (si pensi, in particolare ai miti mesopotamici), ma lo interpreta alla luce della fede nel Dio dell’esodo. Non siamo di fronte a un resoconto cronachistico di una calamità avvenuta sulla terra tanto tempo fa. Ciò che il testo biblico intende trasmettere è una visione teologica della storia: parla della relazione tra Dio e l’umanità, evidenziando la necessità di un cambiamento radicale dell’umanità stessa, il che implica la necessità di un nuovo intervento creatore da parte di Dio. È quanto emerge dalla pericope iniziale (Genesi 6,5-22), in cui è descritta la situazione della terra prima del diluvio (cfr il riquadro a p. seguente: nel testo sono messi in evidenza i termini ripetuti, rilevanti per cogliere il messaggio veicolato dal testo stesso).
Il testo presenta la terra immersa in una condizione non più sostenibile. Subito, infatti, si dice che il male, radicato nel profondo del cuore umano (cioè nella sede dell’intelligenza, del discernimento e delle decisioni), si è riversato sulla terra, invadendola (v. 5); concetto ribadito poco dopo con termini diversi (vv. 11-13). Due volte è rimarcato che la terra è piena di violenza e corrotta. La misura è colma. La violenza, scatenata dalla cupidigia (Caino), si moltiplica in un crescendo impressionante (Lamech) fino ad arrivare a occupare interamente il mondo. Essa innesca un processo di corruzione della vita che porta alla sua distruzione. In questo modo, il testo lascia intendere che il vero male, che contrasta con il disegno di Dio descritto in Genesi 1-2, è la violenza. Ciò è in linea con la predicazione profetica, in cui la violenza è ripetutamente denunciata come il peccato fondamentale che inquina la storia (cfr Amos 3,9-10; Geremia 20,8; Abacuc 1,2-4).
Perché il diluvio?
La prima reazione di Dio di fronte alla malvagità dilagante è descritta in termini antropomorfi e ha lo scopo di chiarire come Egli non sia affatto impassibile. Si dice che si pentì di avere creato ‘adam (l’essere umano) e che se ne addolorò (Genesi 6,6). Dio è coinvolto in ciò che succede nella storia. Il cuore malvagio dell’uomo addolora il cuore di Dio. Egli soffre constatando il fallimento della sua opera, posto in risalto dalla messa a fuoco di un duplice contrasto. In Genesi 1,28 Dio aveva benedetto l’umanità dicendo: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra. Ma ora deve riconoscere che la terra è piena non di esseri viventi, ma di violenza. Ancora: in Genesi 1,31 Dio aveva attestato che quanto aveva creato era molto buono. Ora è costretto a prendere atto che tutto è corrotto.
Il male mette in questione Dio e il suo progetto. Egli non può assistere passivamente al dilagare della violenza ed è spinto a intervenire. Il testo dice che si vede costretto a “distruggere” quanto ha chiamato all’esistenza. Una simile decisione ci lascia perplessi, abituati come siamo a rifarci all’immagine di un Dio di misericordia, ma quest’ultima non significa facile indulgenza o dabbenaggine (cfr Teani M., «Educare», in Aggiornamenti Sociali 6-7 [2017] 512-515). La Scrittura, insistendo qui come in altri testi sulla necessità della “distruzione”, rimanda alla gravità della violenza e della corruzione dilaganti e ne evidenzia l’insopportabilità.
Detto questo, non possiamo evitare di misurarci con l’interrogativo seguente: la decisione di distruggere ogni carne (cioè ogni essere vivente) come si accorda con la definizione di Dio amante della vita (Sapienza 11,26)? In altre parole: perché il diluvio? Una prima risposta si ottiene prendendo in considerazione il verbo shachat, che ritorna cinque volte nel nostro testo (vv. 11.12a.12b.13.17). Il suo significato a livello basilare è “corrompere”: fa riferimento al processo di progressiva degenerazione di una realtà, fino al suo annientamento. Arriva così ad assumere il significato di “distruggere”.
Se ora osserviamo il modo in cui sono articolate tra loro le ricorrenze di shachat nel testo (cfr riquadro) constatiamo che due volte (vv. 11-12a) il verbo è usato per segnalare la “corruzione” della terra (piena di violenza); la terza volta esso rimanda alla ragione per cui il mondo sta andando in rovina: la causa è vista nella “corruzione” morale generalizzata (v. 12b: ogni carne è coinvolta). Il testo, dunque, afferma a chiare lettere che è l’orientamento del cuore – e le scelte che ne scaturiscono – a salvaguardare la terra o a spingerla verso il baratro. La corruzione degli animi corrompe il creato!
Nelle ultime due ricorrenze di shachat (vv. 13 e 17), il verbo assume il significato di “distruggere” e il soggetto di tale azione è Dio. Il senso di un tale intervento (di primo acchito sconcertante) si chiarifica alla luce del contesto immediato, costituito dall’uso del verbo fatto nei versetti precedenti. Ne risulta che Dio, decretando la fine di ogni carne, non fa altro che far emergere in tutta la sua forza dirompente quel processo di corruzione della vita che, innestato dal peccato (violenza) dell’umanità corrotta, è già in atto nel mondo. La sentenza che Dio pronuncia contro il male non è qualcosa di aggiunto dall’esterno in modo arbitrario. È, invece, la conseguenza intrinseca al peccato, che è rivelata in modo incontrovertibile.
È necessario distruggere per salvare
Una seconda considerazione di grande rilievo per rispondere all’interrogativo che ci siamo posti nasce da una constatazione sorprendente. A una lettura attenta del testo in esame, risulta come ciò che sta a cuore a Dio è di attuare una distruzione che sia, nello stesso tempo, creatrice. In altre parole, ai suoi occhi si tratta di operare un giudizio di condanna del male che, contemporaneamente, si riveli azione di salvezza. È necessario distruggere e salvare. È questa la problematica sottesa a Genesi 6, come risulta dalla triplice ricorrenza, lungo il capitolo, di coppie di affermazioni tra loro volutamente contraddittorie.
In Genesi 6,7 Dio afferma: Cancellerò dalla faccia della ‘adamah ‘adam che ho creato. Ma, subito dopo, è detto che Noè trovò grazia agli occhi del Signore (v. 8). Da una parte, c’è la drastica decisione divina di eliminare l’intera umanità, nessuno escluso. Dall’altra, c’è qualcuno che incontra il favore gratuito di Dio! Poco dopo, Dio dice a Noè: È venuta per me la fine di ogni carne […] Ecco io li distruggerò (6,13). Nel versetto immediatamente seguente Dio ordina allo stesso Noè di fabbricarsi un’arca di legno (v. 14). Nel momento stesso in cui è decretata la distruzione di ogni carne, è disposta la costruzione dell’arca, che permetterà di salvare ogni carne! L’antinomia precedente, leggermente riformulata, ritorna nei vv. 17 e 19. All’affermazione di Dio di volere distruggere ogni carne, si contrappone l’ordine che Noè riceve da Dio stesso: di ogni carne introdurrai nell’arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te.
Le riflessioni appena svolte trovano conferma se si analizza il modo in cui, nel testo della Genesi, è descritta l’arca. Il termine ebraico utilizzato per designare l’arca (tevah) ricorre una sola altra volta nella Scrittura, precisamente in Esodo 2,3, dove indica la cesta di papiro nella quale è stato posto il piccolo Mosè. Attraverso questa scelta terminologica si stabilisce una prossimità tra la figura di Noè e quella di Mosè. Quest’ultimo, il cui nome, secondo Esodo 2,10, significa tratto dalle acque, guiderà Israele nel passaggio attraverso le acque del Mar Rosso. Il diluvio, dunque, è letto nell’ottica teologica della liberazione dalla schiavitù d’Egitto: è visto come il grande esodo che coinvolge ogni carne.
Le istruzioni impartite da Dio per la costruzione dell’arca, in secondo luogo, ci dicono che è composta di tre piani, inferiore, medio e superiore (6,16), corrispondenti alle tre parti di cui, secondo la concezione biblica, è formato l’universo: il cielo, la terra e il mondo sotterraneo (cfr, ad esempio, Esodo 20,4). L’arca, pertanto, costituisce una sorta di universo in miniatura. In essa, per così dire, si trova concentrata l’intera realtà creata. Andando ancora più in là, si può dire che l’arca è il contenitore di un microcosmo. Essa, infatti, non accoglie soltanto una parte dei viventi, bensì ogni carne. L’insistenza con cui il testo dice che Noè deve entrare nell’arca con due animali di ogni specie (6,19-20, ripreso in 7,14-16), significa che niente è perduto della vita. Strettamente congiunto al decreto di distruggere tutto, vi è l’ordine di introdurre nell’arca tutte le forme di vita. L’arca è ciò che permette di salvare ogni carne quando avviene la distruzione di ogni carne.
Il senso del diluvio
Il percorso svolto ha fatto emergere l’attualità e la forza di interrogazione della Scrittura sulla corruzione e sulla violenza, che minano alla radice le relazioni personali e la convivenza civile. La forza distruttiva di questi fenomeni è maggiore di quanto possiamo immaginare e il racconto biblico del diluvio vuole proprio evidenziare la gravità di questo male che si infiltra e corrode dall’interno l’integrità di ogni carne e del mondo. Il cardinal Martini, in un intervento tenuto nel 1991, notava che quando il diluvio «comincia a riversarsi sulla terra (Genesi 7), già da tempo il diluvio dell’iniquità l’ha sommersa (Genesi 6)». E continuava: attraverso il racconto biblico «Dio ci parla facendoci capire come ancora oggi i diluvi che ci sommergono sono preceduti da diluvi di iniquità, di ingiustizie, di immoralità» (Martini C.M., Innamorarsi di Dio e della sua Parola, EDB, Bologna 2011, 41).
Il diluvio è perciò la via scelta da Dio per denunciare da un lato la gravità di quanto sta accadendo, facendo cogliere all’umanità fino in fondo i processi di morte in atto, e dall’altro per contrapporvi una parola di vita nel segno di un inizio rinnovato. La pagina biblica ci offre allora l’indicazione fondamentale di resistere a due possibili tentazioni: minimizzare l’eventuale realtà violenta che viviamo, senza coglierne le mortifere implicazioni e conseguenze; restare attaccati al passato, al ricordo di una situazione originaria paradisiaca, rifiutandosi di riconoscere che si impone un cambiamento perché vi possa ancora essere la vita. La ferma presa di distanza dalla corruzione e dalla violenza è poi accompagnata dall’individuazione di un rinnovamento possibile. Dio non fa una nuova creazione, non crea un altro ‘adam o un altro mondo, ma ha cura di ripartire da quelle realtà che esistono e sono positive, come Noè. Trasponendolo in un linguaggio odierno Dio crede nella resilienza della creatura e della creazione, indicando la necessità di prendere coscienza del male in cui siamo immersi per rifiutarlo e poter così giungere a un propositivo – e possibile! – cambiamento nelle relazioni e negli stili di vita a livello personale e nella città.
Genesi 6,5-22
5Il Signore vide che la malvagità di ‘adam [l’essere umano] era grande sulla terra e che ogni intimo intento del suo cuore non era altro che male, sempre. 6E il Signore si pentì di avere fatto ‘adam sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. 7Il Signore disse: «Cancellerò dalla faccia della terra ‘adam che ho creato e, con ‘adam, anche il bestiame, i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti». 8Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.
9Questa è la storia di Noè. Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio. 10Noè generò tre figli: Sem, Cam e Iafet. 11Ma la terra era corrotta (shachat) davanti a Dio e piena di violenza. 12Dio vide la terra ed ecco essa era corrotta (shachat), perché ogni carne aveva corrotto (shachat) la sua condotta sulla terra.
13Allora Dio disse a Noè: «È venuta per me la fine di ogni carne, perché la terra per causa loro è piena di violenza. Ecco io li distruggerò (shachat) insieme con la terra.
14Fatti un’arca di legno di cipresso [vv. 14b-16: istruzioni sulla costruzione dell’arca]. 17Ecco, io sto per mandare il diluvio, cioè le acque sulla terra, per distruggere (shachat) sotto il cielo ogni carne in cui c’è soffio di vita; quanto è sulla terra perirà. 18Ma con te io stabilisco la mia alleanza. Entrerai nell’arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. 19Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell’arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te. [vv. 20-21: specificazione degli animali da introdurre nell’arca]
22Noè eseguì ogni cosa come Dio gli aveva comandato: così fece.