Le tensioni tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti, accompagnate dalla minaccia di ricorrere alle armi nucleari, e l’attribuzione del premio Nobel per la pace del 2017 all’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN, in italiano Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari) hanno riportato all’attenzione generale la questione degli armamenti nucleari e della legittimità del loro possesso ed eventuale utilizzo. La Chiesa a lungo si è confrontata su questo tema e le sue posizioni – come vedremo – si sono evolute alla luce dei cambiamenti occorsi a livello internazionale.
Le posizioni conciliari sulle armi nucleari
Il concilio Vaticano II qualificava «delitto contro Dio e contro la stessa umanità» l’utilizzo di armi di distruzione di massa, anche nel caso di legittima difesa, perché «possono produrre distruzioni immani e indiscriminate» (GS, n. 80). Ma se l’impiego di questo tipo di armi fu condannato, qual era la posizione nel caso esse siano possedute a fini di dissuasione? Questa questione fu al centro del dibattito dei padri conciliari, ai quali fu presentata la differenza tra atteggiamento dissuasivo ed eventuale ricorso ad armi di distruzione di massa: «Le armi scientifiche, è vero, non vengono accumulate con l’unica intenzione di poterle usare in tempo di guerra. Poiché infatti si ritiene che la solidità della difesa di ciascuna parte dipenda dalla possibilità fulminea di rappresaglie, questo ammassamento di armi, che va aumentando di anno in anno, serve, in maniera certo paradossale, a dissuadere eventuali avversari dal compiere atti di guerra. E questo è ritenuto da molti il mezzo più efficace per assicurare oggi una certa pace tra le nazioni» (GS, n. 81). Alcuni vescovi, in particolare statunitensi, non volevano che il Concilio dichiarasse immorale il possesso delle armi di dissuasione, perché tale condanna avrebbe esercitato un’influenza solo in Occidente. Fu trovato un compromesso: la dissuasione nucleare non era condannata né approvata, ma tollerata in via provvisoria. In effetti, pur riconoscendo che la minaccia di mutua distruzione può produrre paradossalmente degli effetti pacificatori, i vescovi non potevano rassegnarsi all’idea che la pace si fondasse su questa base: «la corsa agli armamenti, alla quale si rivolgono molte nazioni, non è una via sicura per conservare saldamente la pace, né il cosiddetto equilibrio che ne risulta può essere considerato pace vera e stabile» (ivi). A loro giudizio, l’equilibrio del terrore assicura al massimo una «tregua», di cui bisogna approfittare al fine di «trovare delle vie per comporre in maniera più degna dell’uomo le nostre controversie» (ivi).
In piena guerra fredda
Quindici anni più tardi, nel momento della crisi degli “euromissili”, una fase di particolare tensione tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, Giovanni Paolo II e diverse Conferenze episcopali tornarono a pronunciarsi sull’argomento, ribadendo che la posizione conciliare della «tregua» era ancora valida: «Nelle attuali condizioni, una dissuasione basata sull’equilibrio, non certamente come un fine in sé ma come una tappa sulla via di un disarmo progressivo, può ancora essere giudicata come moralmente accettabile» (Giovanni Paolo II 1982). Tuttavia, il Papa ricordava che l’obiettivo da raggiungere era di liberare un giorno il mondo dalla minaccia nucleare. Come aveva già dichiarato a Hiroshima, nel 1981, «promettiamo ai nostri simili che ci adopereremo infaticabilmente per il disarmo e l’abolizione di tutte le armi nucleari» (Giovanni Paolo II 1981).
Nel 1983 furono pubblicati tre importanti documenti dei vescovi (Guicherd 1988). Il testo dei vescovi statunitensi si proponeva soprattutto di delegittimare la riabilitazione dell’idea di guerra nucleare compiuta dall’amministrazione del presidente Reagan, ma affrontava anche il paradosso etico sollevato dalla dissuasione nucleare: «Una nazione può minacciare ciò che non potrà mai realizzare? Può possedere qualcosa che non potrà mai usare?» (USCCB 1983, n. 137). La risposta, un po’ imbarazzata, era positiva: la dissuasione restava moralmente accettabile. Il documento dei vescovi tedeschi andava nella stessa direzione, sostenendo che non vi siano altri mezzi per fermare in modo efficace due minacce, descritte in questi termini: «minaccia rivolta alla libertà delle nazioni proveniente dai sistemi totalitari, che […] potrebbero essere tentati di utilizzare la loro potenza per espandersi o per esercitare un’influenza politica o di ricatto; minaccia che proviene dalla corsa agli armamenti […] che potrebbe un giorno portare alla catastrofe di una guerra» (Deutsche Bischofskonferenz 1983).
L’episcopato francese, nel novembre dello stesso anno, giustificava a sua volta la dissuasione nucleare nel documento Gagner la paix. Dopo aver ricordato che la posizione conciliare era una «risposta momentanea», il testo presentava la dissuasione nucleare come una «controminaccia» di fronte alla minaccia radicale costituita dal «carattere dominatore e aggressivo dell’ideologia marxista-leninista». Per giustificare questa posizione, i vescovi ritenevano che si potesse distinguere tra l’utilizzo (sempre vietato) e la minaccia (tollerabile): «per quanto riguarda la strategia della Francia, l’impiego sarebbe inaccettabile: si tratterebbe di una guerra totale con attacchi contro le città. Ma la qualificazione morale sull’utilizzo si estende anche alla “semplice” minaccia? Non sembra così, per quanto sia rischiosa la distinzione». In effetti, si tratta di una distinzione rischiosa e problematica, al punto che il documento invocava un’«etica dell’emergenza». Questa espressione si applica a una scelta etica alla quale si è spinti da una situazione d’urgenza, senza che vi sia una soluzione che appaia “buona”. Avvertendo la fragilità dell’argomentazione, i vescovi scrivevano che si trattava di una «situazione limite dalla quale bisogna uscire il più presto possibile». Il cardinale Lustiger, arcivescovo di Parigi, commenterà questa posizione parlandone come «un giudizio morale formulato in un certo momento storico e, lo spero, per un tempo dato, così come è provvisorio l’equilibrio fondato sul terrore» (Lustiger 1987, 462).
Il mutato scenario dopo il crollo dell’Unione Sovietica
Tutto muta con la fine della Guerra fredda, dato che la Chiesa si era rassegnata a tollerare temporaneamente la dissuasione nucleare solo a causa della minaccia sovietica. Nel 1993, il futuro cardinale Renato Raffaele Martino, al tempo Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, dichiara: «L’idea che la strategia della dissuasione nucleare sia essenziale alla sicurezza di una nazione è la presupposizione più pericolosa trasmessa dal periodo precedente a quello attuale. Mantenere la dissuasione nucleare fino al XXI secolo impedirà la pace più che favorirla. […] È un ostacolo fondamentale all’avvento di un nuovo periodo di sicurezza globale» (Martino 1993). Si potrebbero ricordare numerose altre dichiarazioni sempre della diplomazia vaticana (cfr Mellon 2000).
Benedetto XVI, nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2006, ribadì la condanna alla tesi che uno Stato possa fondare la sua sicurezza sul possesso di armi nucleari.
Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2006, n. 11
Che dire poi dei Governi che contano sulle armi nucleari per
garantire la sicurezza dei loro Paesi? Insieme a innumerevoli persone di
buona volontà, si può affermare che tale prospettiva, oltre che essere
funesta, è del tutto fallace. In una guerra nucleare, infatti, non vi
sarebbero vincitori ma solo vittime. La verità della pace richiede che
tutti – sia i Governi che in modo dichiarato o occulto possiedono armi
nucleari, sia quelli che intendono procurarsele – invertano
congiuntamente la rotta con scelte chiare e ferme, orientandosi verso un
progressivo e concordato disarmo nucleare. Le risorse in tal modo
risparmiate potranno essere impiegate in progetti di sviluppo a
vantaggio di tutti gli abitanti e, in primo luogo, dei più poveri.
Nel settembre 2005, in occasione della Conferenza sull’applicazione del Trattato sulla messa al bando degli esperimenti nucleari (cfr il riquadro qui sotto), il rappresentante vaticano alle Nazioni Unite, mons. Celestino Migliore, dichiarò che «la dissuasione nucleare diviene giorno dopo giorno insostenibile, anche quando è invocata in nome della sicurezza collettiva».
Oltre al carattere insostenibile della posizione etica che distingue minaccia e utilizzo, la Santa Sede avanza un’altra ragione: il carattere discriminatorio del Trattato di non proliferazione (TNP). Non è possibile perpetuare l’attuale distinzione tra alcuni Stati che hanno il diritto di conservare le armi nucleari e altri che non lo hanno: «uno dei vantaggi di un’interdizione globale degli esperimenti nucleari sarebbe la riduzione della natura discriminatoria del Trattato di non proliferazione. Tuttavia questa discriminazione sparirà solo quando gli Stati che ad oggi detengono delle armi nucleari rinunceranno alla fiducia riposta in esse e agiranno prontamente per la loro eliminazione totale» (Martino 1993). La stessa argomentazione ritorna nella dichiarazione pubblicata nel giugno 1995 dai tre copresidenti – cattolico, ortodosso e protestante – del Consiglio delle Chiese cristiane in Francia, per biasimare la decisione del presidente Jacques Chirac di riprendere gli esperimenti nucleari: «L’egemonia che si arrogano i Paesi che possiedono l’arma nucleare non può ricadere sulle altre nazioni come una discriminazione inaccettabile» (Conseil d’Églises Chretiennes en France 1995).
La responsabilità dei Paesi per il bene comune
Una responsabilità particolare grava perciò sugli Stati che detengono armi nucleari, la cui politica non può essere determinata solo dalla percezione che hanno dei loro interessi nazionali di sicurezza, per quanto siano legittimi, ma da ciò che è più utile per il bene comune più universale. Lo ha ricordato il futuro cardinale Dominique Mamberti nel 1995, in occasione della rinegoziazione del Trattato di non proliferazione: «Gli Stati che detengono tecnologie e stock nucleari devono essere coscienti che non si tratta di semplici mezzi al servizio esclusivo dei loro interessi nazionali, ma che hanno una responsabilità di primo piano per il bene dell’insieme della comunità».
In vista della tutela del bene comune universale la Chiesa sostiene l’eliminazione delle armi nucleari, considerata un obiettivo prioritario rispetto al mantenimento delle capacità nucleari controllate da un piccolo gruppo di Paesi: non è moralmente accettabile privilegiare l’interesse di un singolo Paese a scapito del bene dell’intera umanità.
Con papa Francesco si conferma la rottura con il compromesso trovato dal concilio Vaticano II; non solo è condannato l’uso delle armi nucleari, ma anche il possesso: «anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano» (papa Francesco 2017). Ritroviamo la stessa condanna nel documento conclusivo del convegno «Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale», tenutosi in Vaticano nel novembre 2017: «L’uso e il possesso delle armi nucleari vanno condannati poiché sono strumenti di guerra indiscriminati e sproporzionati».
Risorse
Benedetto XVI (2005), Messaggio per la 39a Giornata mondiale della pace (1° gennaio 2006), Nella verità la pace, 8 dicembre, in <www.vatican.va>.
GS = Concilio Vaticano II, costituzione pastorale Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, in <www.vatican.va>.
Conseil d’Églises Chretiennes en France (1995), La reprise des essais nucléaires par la France, 19 giugno, <www.protestants.org/index.php?id=31092>.
Deutsche Bischofskonferenz (1983), Gerechtigkeit schafft Frieden, in <www.dbk.de>.
Papa Francesco (2017), Discorso ai partecipanti al convegno «Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale», 10 novembre, in <www.vatican.va>.
Giovanni Paolo II (1982), Messaggio alla II Sessione speciale delle Nazioni Unite per il disarmo, 7 giugno, in <www.vatican.va>.
— (1981),Discorso del Santo Padre Giovanni Paolo II al “Peace Memorial” di Hiroshima, 25 febbraio, in <www.vatican.va>.
Guicherd C. (1988), L’Église catholique et la politique de défense au début des années 1980, PUF, Parigi.
Lustiger J.-M. (1987), Le choix de Dieu, Éditions de Fallois, Paris (tr. it. La scelta di Dio, Longanesi, Milano 1988).
Martino R.R. (1993), «Discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 25 ottobre», in Documentation catholique, 5 dicembre.
Mellon Ch. (2000), «Éthique de la dissuasion nucléaire: l’Église catholique a changé», in Revue de la défense nationale, agosto-settembre, 12-19.
USCCB (United States Conference of Catholic Bishops, 1983), The Challenge of Peace: God’s Promise and Our Response. A Pastoral Letter on War and Peace, 3 maggio, in <www.usccb.org>.
Testo originale francese: «Dissuasion nucléaire», dicembre 2017, in <www.doctrine-sociale-catholique.fr>; traduzione italiana di Giuseppe Riggio SJ.