Dalla guerra, una speranza? Per una nuova politica dell’asilo in Europa
La guerra in Ucraina sta provocando una reazione inattesa e innovativa.
Con una di quelle accelerazioni impreviste che le grandi crisi a volte
imprimono alle vicende umane,
l’Unione Europea (UE) ha aperto
i confini a flussi di profughi stimati in questo momento oltre i due milioni
di persone, mentre la ministra Lamorgese ha parlato di un possibile
flusso di sette o otto milioni di persone. È notevole il fatto che i primi ad
accogliere siano alcuni Paesi del gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria), che
precedentemente avevano inalberato la bandiera del sovranismo contro ogni
istanza umanitaria, giungendo a scomodare anche simboli e riti religiosi per
sacralizzare la chiusura dei confini. Secondo fatto importante,
l’UE di fatto
ha prima sospeso l’applicazione delle convenzioni di Dublino, e poi attivato
per la prima volta la direttiva del 2001 sull’afflusso straordinario
di profughi, rimasta nel cassetto anche all’epoca degli arrivi di siriani e
iracheni nel 2015: i rifugiati non dovranno neppure presentare domanda di
asilo, potranno rimanere nell’UE per un anno (prorogabile fino a tre) spostarsi
attraverso i confini e insediarsi nel Paese di loro scelta, avranno diritto
a cercare casa, ad accedere ai servizi sanitari, a mandare i figli a scuola e a entrare nel mercato del lavoro. Terzo
fatto inaspettato e positivo,
l’Italia
sta aprendo le porte ai rifugiati
con grande trasporto, senza apparenti
distinzioni politiche e contrasti
interni.[Continua]
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