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Cristiani ed europei: le intuizioni di Paolo VI e Carlo Maria Martini

Nell’omelia per la festa di sant’Ambrogio del 1962, Giovanni Battista Montini affronta il tema dell’etica nell’azione civile dei cristiani, richiamando l’esperienza del patrono milanese, che «trasferì nell’esercizio dell’ufficio episcopale quell’educazione, quella virtus che lo aveva messo in luce quale perfetto magistrato imperiale», dimostrando «quali valori morali e umani possano essere assunti, e perciò onorati, dalla vita profana per darvi nuovo vigore e nuovo splendore, e per farli poi rifluire dalla sfera religiosa sulla sfera civile a suo più interiore conforto e a suo più saldo vantaggio» (Montini 1962). Più avanti il card. Montini indica sant’Ambrogio quale «precursore dell’umanesimo cristiano». Questa caratterizzazione, da cui non si può trarre una lettura univoca, potrebbe essere di riferimento per i cristiani e non cristiani in quanto componenti della comunità civile?

 

Su questa linea si muove, a mio avviso, il card. Carlo Maria Martini in un intervento del 1990, intitolato Responsabilità dei cristiani nell’Europa in costruzione, tenuto al Seminario su “L’avvenire dell’Europa e il pensiero sociale della Chiesa”, quando era anche Presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee. Nella sua riflessione, Martini non considera il ruolo della comunità dei cristiani in riferimento a un astratto progetto, ma all’ambito istituzionale concreto dell’edificazione europea in atto. Attraverso una serie di casi che spaziano dall’economia, alla demografia, agli elementi chiave dell’identità politica e culturale, il Cardinale traccia uno scenario dell’ambiente che i cristiani dovrebbero contribuire a costruire, fondato su valori e principi che guardino alla realizzazione del bene comune e che, in ultima istanza, traggano la loro ispirazione (non dogmatica) anche dalla dottrina sociale della Chiesa. Inoltre, richiama saldamente anche l’attenzione sulla delicata e fragile linea di separazione tra un «integralismo anacronistico» (Martini 1991, 234), che talvolta contrappone la dimensione temporale a quella spirituale dell’azione, e un approccio creativo e (cristianamente) etico-civile che pervenga a «forme del vivere concreto che sono esemplari e indicative di nuove vie per l’umanità» (ivi, 240).

 

Ritroviamo questo approccio in vari testi del card. Martini, tra i quali uno del 1998 in cui, trattando della globalizzazione, rileva che si assiste allo sviluppo di una nuova sfera di rapporti di potere economico-finanziari slegati dagli Stati o dai soggetti istituzionali sovranazionali, e quindi da quanti sono preposti al mantenimento dei rapporti di diritto necessari per la salvaguardia del bene comune. «Tale nuova dimensione di rapporti – scrive il Cardinale – mi sembra richieda un nuovo spazio “politico” in senso proprio, secondo l’assunto ubi societas, ibi ius. A una comunità economica internazionale deve poter corrispondere una società civile internazionale, capace di esprimere forme di soggettività economica ispirate alla solidarietà e alla ricerca del bene comune di tutto il globo» (Martini 2014a, 186).

Nel corso dei tanti anni in cui ho avuto la fortuna di collaborare con lui, dal 1983 al 2002, ho maturato la convinzione che il card. Martini meriti di essere definito «un costruttore del bene comune»1. Ovvero un sicuro riferimento per credenti e non credenti, fonte di ispirazione per una cultura delle opere mossa dal desiderio di sviluppo umano, che si declina altresì nel cristianesimo civile.

 

Nel seguito considereremo alcune “applicazioni” di questi principi alle relazioni internazionali e all’Europa, mossi dall’intento di trovare una direttrice per la tutela dei diritti umani in contesti istituzionali, che possono essere a loro volta orientati dall’umanesimo cristiano. Montini e Martini si appellano alla ragione e alla ragionevolezza, piuttosto che enfatizzare il bipolarismo del “tutto o nulla”, e invitano a vivere i faticosi ma necessari percorsi di avvicinamento agli obiettivi desiderati, sempre lontani ma forti perché basati sui principi.

 

Il ruolo delle comunità internazionali

Consideriamo anzitutto le comunità internazionali o sovranazionali che hanno cercato di tradurre in sistemi istituzionalizzati categorie come giustizia e valori umani, pari opportunità, anelito alla pace e alla fraternità.

Anche in questo caso il primo spunto ci è offerto dal discorso che Paolo VI, primo pontefice nella storia, pronunciò all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 4 ottobre 1965, affermando che l’ONU «riflette in qualche modo nel campotemporale ciò che la Nostra Chiesa cattolica vuol essere nel campo spirituale: unica ed universale. Non v’è nulla di superiore sul piano naturale nella costruzione ideologica dell’umanità. La vostra vocazione è quella di affratellare non solo alcuni, ma tutti i Popoli». E ancora: «Al pluralismo degli Stati, che non possono più ignorarsi, voi offrite una formula di convivenza, estremamente semplice e feconda. Ecco: voi dapprima vi riconoscete e distinguete gli uni dagli altri. Voi non conferite certamente l’esistenza agli Stati; ma la qualificate come idonea» (Paolo VI 1965).

In ricordo di Gianpaolo Salvini SJ

 

Quando il saggio qui pubblicato era concluso è venuto a mancare p. Gianpaolo Salvini SJ, del quale fui amico per decenni. Desidero ricordarlo con le parole della motivazione del conferimento del Premio internazionale Matteo Ricci nel 2008 dalla Facoltà di Scienze Politiche della Università Cattolica, su mia proposta quale Preside.

«Padre Gianpaolo Salvini SJ ha dato con la sua opera un contributo esemplare, sia attraverso i suoi numerosissimi studi, pubblicazioni, conferenze in Italia e in altri Paesi, sia nella sua lunga esperienza quale direttore di riviste che hanno segnato e segnano il raccordo, ma anche l’identità, della cultura cattolica con i più complessi problemi della modernità, che porta con sé un crescente ruolo delle scienze e della conoscenza. In particolare nella analisi e nella comprensione dei fenomeni dello sviluppo e del sottosviluppo, Padre Salvini SJ ha raccordato l’approccio politico-economico-istituzionale con quello improntato ai grandi principi che hanno un riferimento basilare nella ispirazione cristiana, per la promozione della persona umana in qualsiasi contesto storico-civile-politico-religioso in cui la stessa abbia a trovarsi».

Non c’è qui, forse, quella ispirazione di umanesimo cristiano che il card. Montini riferiva a sant’Ambrogio?

A distanza di quasi cinquant’anni, il card. Martini riconfigura un paradigma analogo ma molto più nitido a proposito di due eventi epocali dell’ultima parte del XX secolo: la globalizzazione e l’Unione Europea. Dopo aver riconosciuto che la globalizzazione può avere effetti positivi, aumentando produzione ed efficienza, egli ne mette in luce i risvolti negativi, che non si possono ignorare: aumento delle diseguaglianze, affermazione dei poteri economico-finanziari a scapito del ruolo delle istituzioni, conseguenze dannose per l’ambiente. Egli afferma quindi che «occorrono delle regole precise, non rigide. Ma chi le farà, e chi le farà osservare? Il problema diventa appunto “politico”». Su questa base Martini rileva che ci sono strumenti internazionali per correggere tali deviazioni, ma constata che la loro efficacia non è per ora adeguata. Quindi afferma: «Forse, ed è un’ipotesi, c’è bisogno di istituzioni di tipo comunitario e federativo, analogo a quello dell’Unione Europea, con una visione progetto, perché non siano qualcosa di puramente funzionalistico o burocratico, ma lavorino con coraggio anche maggiore nel superamento dei poteri dei singoli Stati» (Martini 2014a, 186).

 

A conclusione del suo ragionamento, Martini invia alcuni appelli, due dei quali ci interessano molto. Il primo è rivolto agli economisti: «Sappiano immaginare i tempi e le tappe di un cammino concreto […] per un benessere dignitoso per tutti. […] Propongano la globalizzazione quale incontro tra popoli non obbligati all’immigrazione ma sostenuti nel loro sviluppo armonico nella terra d’origine» (ivi, 187-188).

I destinatari del secondo sono i politici: «Continuino a operare seriamente per l’unità europea e facciano in modo che possa divenire un modello per allargare a livello mondiale la prassi di regole che rendano giustizia ai diritti essenziali della persona. Perseguano con coraggio l’impegno per un federalismo solidale che rimetta in moto nuove energie» (ivi, 188).

 

L’Unione Europea e la Eurodemocrazia

La Comunità europea, nelle sue varie e più avanzate forme, è un passo oltre il multilateralismo delle Nazioni Unite. Infatti, l’Eurodemocrazia è una nuova tipologia di democrazia nata dalla combinazione virtuosa di solidarietà e sussidiarietà, per assicurare lo sviluppo nelle istituzioni, nella società e nell’economia. Chi non riconosce questo successo non conosce la storia e ignora che la globalizzazione del XXI secolo avrebbe travolto i piccoli Stati europei ripiegati nel sovranismo “autarchico”. La costruzione dell’Eurodemocrazia, cominciata con la firma del Trattato di Roma il 25 marzo 1957, ha invece ottenuto grandi risultati (Quadrio Curzio 2002).

 

Sull’Unione Europea il card. Martini si è soffermato spesso, sottolineando come essa abbia creato le condizioni concrete per l’incontro pacifico su un piano culturale comune tra Paesi che in precedenza si erano combattuti. Egli ritiene che il cristianesimo abbia contribuito in maniera sostanziale a questo processo. Di particolare rilevanza ci sembrano tre sue considerazioni formulate nel 1991, in un momento peculiare della storia europea, segnato dal crollo dei regimi comunisti e dalla fine della divisione in blocchi contrapposti.

 

La prima riguarda le istituzioni economiche, ovvero il “mercato” inteso non come fine ma come mezzo. Scrive il card. Martini: «L’Europa nella quale viviamo e che siamo chiamati a costruire ci appare oggi contraddistinta da notevoli cambiamenti, che ce la fanno apparire come un continente caratterizzato da una nuova giovinezza. Tra i fattori che contribuiscono a disegnare tale immagine, possiamo senza dubbio annoverare sia il processo di ulteriore integrazione nell’Europa occidentale, sia gli inaspettati cambiamenti nell’Europa centrale e orientale, sia le sfide che ci vengono dal Sud del mondo e da altre aree geografiche. […] La realizzazione del Mercato unico europeo, già previsto dai Trattati di Roma del 25 marzo 1957, segnerà un’ulteriore possibile tappa verso l’unificazione e l’integrazione europea. Siamo tutti convinti che oggi ci troviamo di fronte a cambiamenti profondi e sbalorditivi che, nel volgere di pochi mesi o addirittura di poche settimane, hanno cambiato il volto del Centro e dell’Est dell’Europa» (Martini 1991, 225).

 

La seconda si concentra sulle istituzioni politiche, per le quali è necessaria una «rilegittimazione statuale» così espressa: «È in atto un processo di rifondazione degli Stati e, più generalmente, della convivenza umana, sociale, civile e politica. C’è chi ha parlato, in proposito, di “rilegittimazione statuale” attraverso il passaggio dalla fondazione dello Stato sull’ideologia, alla fondazione dello Stato sul diritto e chi di passaggio dallo Stato di “sudditi” a quello di “cittadini”, la cui condizione necessaria è la creazione e la gestione di un effettivo pluralismo. Comunque sia, ci troviamo di fronte a una sfida e a un’impresa di portata storica, che chiede di essere correttamente interpretata» (ivi, 226).

 

La terza, infine, prende in considerazione le istanze di tipo etico: «L’evoluzione appena descritta contiene alcuni elementi e istanze anche di tipo etico […]. Essi rimandano, innanzitutto, a un profondo anelito alla libertà politica, che si fa […] richiesta di un ordinamento giuridico che garantisca tale libertà in uno Stato di diritto. […] Emerge un altro dato che gli avvenimenti e le prospettive dell’Europa contengono e sprigionano: si tratta della possibilità di costruire una società pluralista, a livello culturale, sociale e politico, dove non si sia costretti ad avere e a usare uno stesso linguaggio circa le questioni fondamentali della vita pubblica e privata» (ivi).

 

Diritti fondamentali e valori nell’Unione Europea

Queste valutazioni del card. Martini ci portano alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, proclamata il 7 dicembre 20002 e resa vincolante sul piano giuridico dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009. Le istituzioni europee e gli Stati membri, nell’ambito dello svolgimento delle proprie funzioni, sono tenuti a osservare la Carta, che è al vertice dell’ordinamento giuridico europeo e che tutela i diritti civili e moderni, i diritti economico-sociali e tutti i diritti garantiti dalle Costituzioni degli Stati membri. Ci troviamo di fronte alla codificazione di uno spazio di libertà, uguaglianza e giustizia conseguito pacificamente in quella che è ora la più grande e civile democrazia al mondo. Un risultato di portata simile è stato possibile anche grazie al comune sostrato universalistico che accomuna i Paesi membri dell’Unione, ovvero l’umanesimo civile.

«Dobbiamo imparare a vivere in molti su un piccolo continente. Lo spazio è limitato, le risorse sono scarse. Sono perciò necessarie alcune regole di casa. Tali regole dovrebbero comprendere: il principio di uguaglianza di tutti coloro che vivono nella casa, indipendentemente dal fatto che siano forti o deboli; il riconoscimento di valori quali la libertà, la giustizia, la tolleranza, la solidarietà, la partecipazione; un atteggiamento positivo verso le persone di diversa religione, cultura e visione del mondo; porte e finestre aperte, in altri termini: molti contatti personali, scambi di idee, dialogo, anziché violenza nella risoluzione dei conflitti.»

Carlo Maria Martini

Una simile consapevolezza ha ispirato anche la decisione dell’allora presidente della Commissione europea Romano Prodi, che si spese meritoriamente per la citata Carta, di istituire il Reflection Group on the Spiritual and Cultural Dimension of Europe (di cui anch’io ero membro) composto da personalità dei vari Paesi europei, con diversi orientamenti ideali e politici. Questo gruppo tra il 2002 e il 2004 ha elaborato un documento (Gruppo di riflessione della Commissione europea 2005) con l’obiettivo di facilitare anche l’integrazione dei Paesi appartenenti all’ex blocco sovietico che purtroppo, nel tempo, si sono rivelati poco sensibili ai valori della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

 

Concludendo, voglio richiamare ancora una volta il lascito intellettuale e spirituale del card. Martini, nella misura in cui “lancia” alcuni suggerimenti alle comunità degli economisti e dei politici. Ad entrambe le categorie, il monito del Cardinale è quello di operare costantemente per la realizzazione del bene comune, percorrendo con ideali il cammino della concretezza per lo sviluppo umano integrale. Tutto ciò richiede anche la competenza in quelle che per me sono le “scienze istituzionali”. A questo proposito, Martini è ancora una volta illuminante, quando afferma che «si stanno compiendo sforzi notevoli nella società mondiale per proporre delle regole, e ci sono pure istituzioni che tentano, con un certo successo, di camminare in questa linea. Ma bisogna fare di più se si vuole giungere ad avere qualche autorità espressa democraticamente e con il compito di fissare regole valide per tutti. […] In questo senso ho affermato più volte come, a mio parere, l’Unione Europea potrebbe costituire un modello per un mondo unito e pacificato» (Martini 2014b, 208-209). Questa affermazione riporta la mia riflessione su due eventi della recente storia dell’Unione Europea, che ha affrontato in modo troppo difensivo la crisi finanziaria del secondo decennio del XXI secolo e che sta invece affrontando l’attuale crisi pandemica con innovazioni istituzionali importanti, che devono però diventare durevoli all’insegna dell’umanesimo civile e del solidarismo liberale.

 

1 È questo il titolo della prefazione che ho scritto al volume di saggi del card. Martini Affrontare la tempesta con serenità e forza, che ho curato con don Walter Magnoni. Nel volume sono anche indicate le molte collaborazioni, individuali e collegiali, avute con il Cardinale e le pubblicazioni elaborate in vari modi con la sua consultazione.

2 Ai lavori per la redazione della Carta partecipò Giovanni Maria Flick in rappresentanza del Governo italiano, mentre alla guida della Commissione europea era al tempo Romano Prodi, entrambi grandi estimatori del card. Martini e laureati alla Università Cattolica.

 

* Si ringrazia Giovanni Barbieri per gli utili commenti, fermo restando che la responsabilità è solo mia.

 

 

Risorse

Gruppo di riflessione della Commissione europea (2005), La dimensione spirituale e culturale dell’Europa. Osservazioni conclusive, Comunità europee, Lussemburgo.

Martini C.M. (2014a), «Riflessione sulla globalizzazione e cinque messaggi pratici», in Martini C.M. – Magnoni W. – Quadrio Curzio A., Affrontare la tempesta con serenità e con forza, Centro Ambrosiano, Milano, 181-189.

— (2014b), «Il principio a cui ci ispiriamo», in Martini C.M. – Magnoni W. – Quadrio Curzio A., Affrontare la tempesta con serenità e con forza, Centro Ambrosiano, Milano, 201-212.

— (1991), «Le responsabilità dei cristiani nell’Europa in costruzione», in La Civiltà cattolica, 3375, 225-240.

Montini G.B. (1962), Precursore dell’umanesimo cristiano, Omelia nella celebrazione dei vespri e della messa vigiliare della festa di sant’Ambrogio, 6 dicembre, in <www.chiesadimilano.it>.

Paolo VI (1965), Discorso del Santo Padre alle Nazioni Unite, New York, 4 ottobre, in <www.vatican.va>.

Quadrio Curzio A. (2002), Sussidiarietà e Sviluppo. Paradigmi per l’Europa e per l’Italia, Vita e Pensiero, Milano.

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