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Chiesa sinodale: uno spazio per la partecipazione

Fascicolo: ottobre 2023

La Chiesa si interroga sul proprio futuro, sui rapporti tra i suoi membri e sui ruoli che ricoprono, sulle proprie forme organizzative e le possibilità di una loro riforma. Lo fa con un’intenzione precisa: diventare più capace di “camminare insieme” per compiere meglio la propria missione di annunciare il Vangelo in modo attraente e convincente per gli uomini e le donne del nostro tempo. Mettere meglio a fuoco in che direzione muoversi per perseguire questo obiettivo è il senso della Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, apertasi il 30 settembre 2023. A vario titolo, vi prendono parte quasi cinquecento persone – in maggioranza vescovi, ma anche sacerdoti, diaconi, religiose e religiosi, laici e laiche – provenienti da tutti i continenti.

A dire il vero, quello appena esplicitato è lo scopo dell’intero Sinodo 2021-2024, intitolato “Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione”. È “camminare insieme” il significato etimologico del termine “sinodo”, e quindi di espressioni come Chiesa sinodale e sinodalità, che indicano lo stile che la Chiesa vuole assumere sempre di più nel modo in cui le comunità cristiane si organizzano e si rapportano ai contesti sociali di cui fanno parte. All’interno del Sinodo 2021-2024 si colloca la sessione assembleare di ottobre 2023, che è stata preceduta da due anni di consultazione e ascolto del Popolo di Dio. In un dinamismo di dialogo a diversi livelli (locale, nazionale, continentale e universale), le Chiese di tutto il mondo hanno riletto la propria esperienza per comprendere meglio che cosa significa “camminare insieme” come credenti in Cristo inviati ad annunciare al mondo il suo Vangelo.

 

Per saperne di più

 

Sinodo 2021-2024: <www.synod.va>.

Costa G., «Sinodo 2021-24: Dare gambe al concilio», in La Civiltà Cattolica, n. 4158 (16 settembre 2023) 531-544.

Costa G., «L’“Instrumentum Laboris” per la prima sessione del Sinodo 2021-2024», in La Civiltà Cattolica, n. 4154 (15 luglio 2023) 121-135.

Costa G. – Foglizzo P., «Chiesa sinodale: avanti tutta», in Aggiornamenti Sociali, 12 (2022) 671-679.

Costa G. – Foglizzo P., «Sinodo: come la Chiesa ascolta la voce degli esclusi?», in Aggiornamenti Sociali, 3 (2022) 165-172.

Costa G., «Fare Sinodo: il coraggio della fecondità», in Aggiornamenti Sociali, 10 (2021) 507-512.

 

Da questa rilettura emergono consapevolezze e interrogativi, che puntano al futuro, cioè a individuare quali passi la Chiesa si sente chiamata a compiere per crescere nella propria dimensione sinodale. L’Instrumentum laboris (IL) li raccoglie e li sottopone al discernimento dell’Assemblea di ottobre 2023. I risultati saranno restituiti alla Chiesa intera, per attivare sperimentazioni e approfondimenti, ad esempio teologici o canonistici, ma soprattutto perché le comunità cristiane di tutto il mondo possano reagire. A partire da quanto emergerà, la Seconda Sessione dell’Assemblea (ottobre 2024) completerà il discernimento e ne offrirà al Papa il frutto.

In questo discernimento, la Chiesa incontra domande e inquietudini che attraversano la società, il dibattito politico, l’impegno e la ricerca sociale. Le affronta nella propria prospettiva e soprattutto in vista di una finalità del tutto peculiare – la missione di annuncio del Vangelo –, ma non astraendosi dal contesto al cui interno vive. Ne è un buon esempio il termine “partecipazione”: è una delle parole chiave del titolo del Sinodo 2021-2024, ma è anche al centro del dibattito filosofico e politologico sulla crisi e sul futuro della democrazia. In questo senso rappresenta il fulcro della riflessione a cui è chiamata la 50a Settimana sociale dei cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio 2024), intitolata “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”. È dunque un termine carico di risonanze: esplorarle, come proveremo a fare sinteticamente in queste pagine, consente di esplicitare meglio il senso che assume nei diversi contesti, ma soprattutto di cogliere il potenziale contributo che il cammino sinodale può offrire per illuminare questioni cruciali per la nostra società.

1. Un metodo a servizio della partecipazione

Il Sinodo 2021-2024, che finora ha coinvolto milioni di persone in tutto il pianeta, può essere descritto come un esperimento partecipativo, forse il più ampio mai tentato a livello globale. Portarlo avanti ha richiesto di mettere a punto gli strumenti per ascoltare le persone nei diversi contesti locali in cui la Chiesa è presente. Tra quelli suggeriti dal Vademecum metodologico, pubblicato a settembre 2021, uno si è a poco a poco imposto in virtù della sua vastissima adozione e dei frutti che ha permesso di conseguire: la conversazione nello Spirito (per una presentazione sintetica, cfr IL, nn. 32-42).

a) Partecipazione come espressione della dignità personale

Questo metodo offre ai partecipanti uno spazio in cui prendere la parola ed esprimere il proprio punto di vista, a partire da un lavoro di riflessione e preghiera personale sul tema dell’incontro. Alla presa di parola di ciascuno corrisponde l’ascolto da parte degli altri, mentre il metodo ostacola il passaggio al battibecco, alla contrapposizione e alla polemica. In molti contesti, soprattutto quelli più popolari, la possibilità di prendere la parola ha rappresentato una esperienza inedita, che ha toccato le persone in profondità, suscitando entusiasmo ed energia. Il più profondo senso della partecipazione, infatti, non sta nel coinvolgimento nell’esercizio di un qualche potere, ma nel riconoscimento della comune dignità, fondamento dell’uguaglianza di tutti. Per risultare credibile, questo principio ha bisogno di essere sperimentato, non solo affermato.

b) Costruire consenso

Dopo l’ascolto, il metodo prevede un dinamismo dialogico per mettere a fuoco i punti di convergenza, ma anche le divergenze e le intuizioni più promettenti, pur se minoritarie. L’obiettivo è pratico: identificare una direzione lungo cui procedere insieme, per concretizzare quello che insieme si è capito. In altre parole, il metodo mira alla costruzione di un consenso che non è definito come convergenza della maggioranza minima indispensabile (la metà dei partecipanti più uno), che così “vince”, in opposizione a una minoranza che invece “perde” e quindi inevitabilmente farà resistenza in attesa di rovesciare la situazione. Si tratta piuttosto di costruire un equilibrio che consenta a tutti i partecipanti di sentirsi rappresentati dalla conclusione comune. Salvo casi eccezionali, questo significherà che nessuno si sentirà rispecchiato al 100%, anzi potrà essere in disaccordo con qualche punto, ma tutti potranno concordare che la conclusione è rappresentativa del processo svolto, con i punti di accordo e di disaccordo effettivamente emersi. I conflitti non saranno così nascosti sotto una parvenza di unanimità, ma neppure deflagreranno, e l’articolazione delle posizioni permetterà di continuare a camminare insieme verso nuovi assetti, nel reciproco riconoscimento. L’applicazione di questo metodo non punta a soppiantare il principio di maggioranza, ma mette in evidenza che non può essere il riferimento unico, in quanto non appropriato a tutti i contesti. Ad esempio la comunità cristiana ha delle peculiarità che vanno salvaguardate.

L’esperienza indica che in società fortemente polarizzate come le nostre, il principio di maggioranza può rischiare di risultare divisivo e ha bisogno di trovare un complemento in dinamiche di rafforzamento del legame sociale. Inserito all’interno di un consenso più ampio in cui tutti possono riconoscersi, il dinamismo tra maggioranza e minoranza, per quanto vivace, non rischierà di essere percepito come oppressivo, spingendo le posizioni minoritarie a rinunciare alla partecipazione. Molti problemi di coesione che affliggono le nostre società derivano proprio dal ritiro di quei gruppi minoritari che si sentono esclusi a priori, anzi che non percepiscono alcun terreno comune su cui fondare la partecipazione.

c) La restituzione come strumento di trasparenza

Nel processo del Sinodo 2021-2024 c’è un ulteriore elemento metodologico di importanza cruciale: a ogni livello, chi riceve i frutti della conversazione nello Spirito, in vista di una sintesi e del passaggio al livello successivo (da parrocchiale a diocesano, da diocesano a nazionale, e così via), è tenuto a offrire una restituzione a coloro che hanno preso parte al processo. Deve cioè sottoporre a verifica la bontà del suo ascolto e la validità della sua sintesi, con la disponibilità a correggerla. In questo senso, le Assemblee continentali sono state l’occasione per verificare la validità della sintesi offerta dal Documento di lavoro per la tappa continentale. Si tratta di una modalità concreta per assumere la fondamentale esigenza di trasparenza implicita in ogni processo autenticamente partecipativo: senza possibilità di verifica, un esercizio di ascolto rischia di prestare il fianco alla manipolazione, erodendo la fiducia e negando nei fatti la dignità delle persone coinvolte. Come mostrano numerosi processi politici e sociali, la frustrazione di chi aveva investito nella partecipazione e si è sentito manipolato è una potente fonte di scetticismo e di disimpegno. Al tempo stesso, garantire trasparenza attraverso la restituzione consente di salvaguardare la riservatezza dello spazio dell’ascolto e del dialogo, in cui ciascuno ha bisogno di sentirsi libero di esprimersi senza remore. La promozione della partecipazione riconosce la qualità delle diverse fasi e trova il modo di contemperare le differenti esigenze.

Il successo del metodo della conversazione nello Spirito durante la fase della consultazione e dell’ascolto ha condotto ad adottarlo anche all’Assemblea di ottobre 2023, in particolare per i lavori di gruppo. Ma il riferimento al metodo vale anche a livello macro: in questo senso, il documento che sintetizzerà il lavoro dell’Assemblea può essere interpretato come una ulteriore restituzione al Popolo di Dio di quanto raccolto nei primi due anni, che metterà in moto un nuovo processo di consultazione e ascolto in vista della conclusione del discernimento a ottobre 2024.

2. Una Chiesa sinodale è aperta, accogliente e abbraccia tutti

La partecipazione non è soltanto il metodo del Sinodo 2021-2024, ma anche uno dei suoi oggetti e dei suoi obiettivi. Dalla fase della consultazione e dell’ascolto emerge la crescente consapevolezza che la Chiesa si sente chiamata a essere uno spazio di inclusione senza barriere all’ingresso. Il Documento di lavoro per la tappa continentale ha provato a esprimerlo scegliendo come titolo il versetto del profeta Isaia «Allarga lo spazio della tua tenda» (Isaia 54,2). A conferma dell’importanza del punto, anche molto recentemente papa Francesco ha continuato a insistere che «La Chiesa non ha porte, affinché tutti possano entrare», per usare le parole pronunciate a Fatima il 5 agosto 2023.

L’IL non è povero di stimoli in questa direzione e invita la Chiesa a interrogarsi sul posto dei poveri al suo interno (Scheda B 1.1), così come sui diversi tipi di barriere e pregiudizi che fanno sentire alcune persone e gruppi come non benvenuti (Scheda B 1.2). Nella stessa linea vanno le domande su come promuovere il riconoscimento e la partecipazione delle donne (Scheda B 2.3).

In questa sede è interessante sottolineare che la spinta all’accoglienza non è imperniata sull’affermazione di diritti individuali, in questo caso conseguenti alla comune dignità di tutti i battezzati, su cui pure l’IL insiste con forza. Come mostrano anche alcune dinamiche della società civile, la logica dei diritti individuali, pur importante, è esposta al rischio di derive rivendicative che finiscono per esasperare le polarizzazioni, oltre a risentire spesso di una mentalità individualista. Inoltre, in alcune occasioni, rischia di sottolineare il permanere di una distinzione tra chi chiede di godere di un diritto e chi lo “concede”. Lo evidenzia anche il linguaggio comune, che spesso indica gli strumenti per la tutela dei diritti fondamentali (salute, istruzione, sostegno economico per uscire dalla povertà, ecc.) come benefici concessi dalla pubblica amministrazione, specie nel caso di gruppi emarginati. Il linguaggio oppone così coloro che hanno dei bisogni – e sembrano non avere altro – e coloro a cui compete darvi risposta, coloro che chiedono accoglienza e coloro che la concedono.

La spinta all’accoglienza e all’inclusione si radica invece proprio nel dinamismo della partecipazione: mette al centro la missione comune e sottolinea l’esigenza che tutti abbiano la possibilità di contribuirvi. Enfatizzare il contributo insostituibile di ciascuno è un ulteriore modo di dare riconoscimento alla persona, che mai è totalmente priva di risorse. Si tratta di un approccio profondamente radicato nella dottrina sociale della Chiesa. Come afferma Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus annus (1991), «esiste un qualcosa che è dovuto all’uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità. Questo qualcosa dovuto comporta inseparabilmente la possibilità di sopravvivere e di dare un contributo attivo al bene comune dell’umanità» (n. 34). La dignità delle persone e dei gruppi il cui contributo non è valorizzato è ferita, e questo indica che c’è ancora strada da fare sul cammino dell’accoglienza.

3. L’autorità a servizio della partecipazione

Come nella sua semplicità evidenzia lo stesso metodo della conversazione nello Spirito, la partecipazione non è una forma di spontaneismo vagamente anarchico. Ha bisogno di uno spazio organizzato, di strutture e istituzioni che la proteggano e la promuovano. Altrimenti con facilità può degradare nella prevaricazione o nella manipolazione di molti da parte di pochi. La partecipazione è fondamentale per il passaggio dall’io al noi e la costruzione della comunità. Da quanto detto finora, risulta chiaro che la partecipazione rientra tra le «condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente» (Gaudium et spes, n. 26) e dunque fa parte del bene comune. Perciò, secondo la tradizione di pensiero su cui si fonda, ad esempio, il n. 26 dell’enciclica Pacem in terris (1963), ha bisogno di una autorità che se ne prenda cura.

Ecco perché il titolo della Sezione B 3 dell’IL accosta la partecipazione all’autorità, proponendo poi un quesito sul cambiamento in chiave sinodale di strutture e istituzioni. Insistere sulla partecipazione non punta all’abolizione o all’evaporazione dell’autorità: nella Chiesa la dimensione sinodale e quella gerarchica sono entrambe costitutive. Quello che l’IL propone al discernimento dell’Assemblea è piuttosto il recupero del significato e quindi del compito originario dell’autorità, che non è il controllo, ma la capacità di far crescere. Gli interrogativi riguardano allora le forme con cui l’autorità è esercitata, alla ricerca di quelle più appropriate a una Chiesa sinodale. In questa linea, emerge la fondamentale importanza dei ruoli di garanzia della qualità sinodale e partecipativa dei processi, validandone i risultati. È questo il ruolo che il processo sinodale ha invitato i vescovi a sperimentare, ciascuno nella sua diocesi e insieme nelle conferenze episcopali: competeva loro aprire la fase della consultazione e dell’ascolto, dare vita alle istituzioni incaricate di portarla avanti (tipicamente le équipe sinodali) e infine certificare che la sintesi finale corrisponde al processo e che questo si è svolto con modalità effettivamente sinodali.

In ambito secolare il termine “autorità” suona piuttosto ostico e si usano parole come leadership e governance, che risultano aliene in ambito ecclesiale, specie al di fuori dei Paesi anglofoni. Per questo l’IL sceglie di non farvi ricorso. Il bisogno di rinnovamento di leadership e governance non è meno profondo di quello dell’esercizio dell’autorità all’interno della Chiesa, e il dibattito è ben più acceso. Non è il compito dell’Assemblea sinodale, ma non si può non auspicare che il dialogo fra le diverse prospettive consenta di superare i problemi di lessico e permetta la condivisione di riflessioni ed esperienze attorno a problematiche che presentano forti analogie, in vista di un mutuo arricchimento.

4. Per un Sinodo che sia profetico

Attraverso il Sinodo 2021-2024 la Chiesa si interroga sul senso e il valore della partecipazione. Quesiti analoghi, spesso più laceranti e oggetto di dibattiti assai più accesi, se non addirittura di scontri, percorrono molte società e nazioni. Se il Concilio Vaticano II costituisce l’ispirazione e il solido fondamento del processo sinodale, quest’ultimo è anche l’occasione per fare esperienza diretta della celeberrima affermazione con cui si apre la costituzione Gaudium et spes (1965): «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo». Come l’intera umanità, anche i credenti si interrogano sull’esercizio dell’autorità.

Molti cristiani, in particolare quelli che hanno scelto di partecipare alla fase della consultazione e dell’ascolto, ripongono grandi attese nell’Assemblea di ottobre 2023 e nel prosieguo del processo sinodale. Le conoscenze sul Sinodo e quindi le attese sono assai inferiori tra coloro che non hanno partecipato o si sentono estranei alla Chiesa. Questo non significa che il Sinodo avrà valore solo per coloro che si sono coinvolti. La posta in gioco è potenzialmente assai più ampia: come sottolineava già il Documento preparatorio, «Una Chiesa sinodale è un segno profetico soprattutto per una comunità delle nazioni incapace di proporre un progetto condiviso, attraverso il quale perseguire il bene di tutti» (n. 15). Ancora una volta tocchiamo con mano come il Sinodo 2021-2024 costituisca una grande opportunità per la Chiesa e per il compimento della sua missione. Quindi, per coloro che vi si sono coinvolti, a partire dai partecipanti alla Assemblea di ottobre 2023, rappresenta una grande responsabilità.

 

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