L'editoriale introduce un focus interamente dedicato al conflitto in Ucraina che si troverà all'interno del fascicolo di Aggiornamenti Sociali in uscita ad Aprile. Il focus coinvolge diversi Autori e Autrici della nostra Rivista nell'analisi di tematiche quali l'accoglienza dei rifugiati, la dottrina internazionale nell'ambito degli interventi militari, il coinvolgimento delle religioni nel conflitto, la copertura mediatica della guerra, la cyber-guerra, il contesto più ampio di crisi in cui essa si colloca in seguito a due anni di pandemia. È possibile esplorare una parte di tali contributi alla pagina "Focus Ucraina". Tutti gli approfondimenti in versione integrale saranno disponibili tramite abbonamento.
L'invasione russa dell’Ucraina ha trasformato il conflitto regionale
del Donbass in una guerra che coinvolge l’intero continente europeo.
Si combatte a duemila chilometri di distanza dai nostri confini,
ma anche noi da giorni viviamo in un clima di guerra. Si tratta di una
conseguenza comprensibile, inevitabile per molti aspetti, di un evento che
ci tocca nel profondo e ha suscitato una vasta gamma di reazioni.
Clima di guerra
Siamo passati dall’incredulità iniziale allo smarrimento e alla preoccupazione
per uno scenario di guerra che ci illudevamo non potesse più
verificarsi nel nostro continente e che risveglia timori da tempo sopiti, soprattutto
per quanto riguarda il ricorso ad armamenti nucleari. La strenua
e per molti versi inattesa resistenza del popolo ucraino e del suo presidente
Volodymyr Zelenskyy, talora riletta come una drammatica riproposizione
della lotta tra Davide e Golia, e le proteste dei cittadini russi contro la
guerra, in aperta sfida alla narrazione ufficiale del loro Governo, suscitano
in noi un miscuglio di emozioni che vanno dall’ammirazione, allo sgomento e all’impotenza. Lo stesso accade di fronte alla tragedia umanitaria
che si sta consumando, la più grave in Europa dai tempi della Seconda
guerra mondiale con milioni di profughi in fuga.
La vicinanza geografica
e la presenza di una numerosa comunità ucraina nel nostro Paese ci rende
particolarmente sensibili a questi avvenimenti, come testimoniano tante
e concrete manifestazioni di solidarietà. Inoltre, viviamo in presa diretta
quanto accade grazie al flusso ininterrotto di notizie in cui siamo immersi,
che ci raggiungono attraverso i media tradizionali e i canali social.
Tuttavia, questo clima di guerra, in cui la partecipazione emotiva
gioca un ruolo molto importante, porta con sé una radicalizzazione
delle posizioni, una netta contrapposizione tra schieramenti, che è naturalmente
foriera di divisione. In questo senso la guerra è radicalmente
opposta alla pace, che nella sua etimologia rinvia all’unire, al legare, al
tenere insieme.
Per questo, oggi risuonano con particolare forza le parole di
Pio XII, pronunciate nel 1939 per scongiurare il conflitto mondiale: «Nulla
è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra». Ascoltarle in questo
momento significa lasciarci provocare da esse, per chiederci che cosa non
possiamo permetterci di perdere di vista perché la pace non sia irrimediabilmente
compromessa, in una prospettiva che va oltre il conflitto ucraino.
Proteggere il pluralismo dalle semplificazioni
Non possiamo perdere la lucidità nel riconoscere che su una questione
così grave e delicata come un conflitto armato in Europa è legittimo
che vi siano posizioni diverse, interpretazioni anche distanti sulle sue
cause e le soluzioni percorribili. Ed è legittimo e importante, espressione
della democrazia a cui teniamo, che le varie opinioni possano essere
espresse e dibattute in modo civile, che possano essere smentite se si tratta
di disinformazione, ma il tutto in un confronto aperto e non in un’arena
di gladiatori, come purtroppo accade sempre più spesso. Altrimenti
nemmeno noi saremmo distanti dall’imposizione di un pensiero unico, da
una forma surrettizia di censura, che invece giustamente rimproveriamo ai
regimi come quello russo.
Non possiamo perdere di vista la complessità della realtà, sfuggendo
alla sfida di accoglierla: il rischio è di cadere nei cortocircuiti delle
generalizzazioni e delle semplificazioni, che finiscono per causare profonde
e ingiuste ferite, le quali richiedono tempi lunghi prima di poter essere
riconciliate. L’aggressione decisa da Putin e da quanti lo sostengono
non può tradursi automaticamente in una messa sotto accusa di ogni
cittadino russo, come purtroppo è accaduto. Non possiamo dimenticare
quanti hanno preso posizione contro la guerra sapendo di andare incontro
a gravi conseguenze e rischi per la propria sicurezza. Allo stesso modo
è necessario ricordare la controinformazione sistematicamente praticata
dai media russi sulla situazione in Ucraina e non solo, che ha riguardato anche i giovani soldati di leva inviati a combattere una guerra decisa da
un Governo che il popolo russo non ha davvero potuto scegliere e le cui
conseguenze si profilano già molto gravi per l’intero Paese, a partire dal
piano economico.
Lo stesso vale per le scelte ingiustificate di eliminare temporaneamente i
riferimenti alla cultura russa, perché “inopportuni”, o di escludere da contesti
culturali e sportivi i rappresentanti russi. La logica sottostante a questo
tipo di scelte è violenta e distruttiva: inseguendo una falsa idea del
rispetto finisce con cancellare il patrimonio culturale di un popolo, come
nella storia è stato fatto dai trionfatori di una guerra nei confronti dei vinti,
non solo rendendo tutta l’umanità più povera, ma soprattutto scavando
un abisso profondo di odio e ostilità da cui diventa davvero arduo risalire.
Non rinunciare al negoziato
La custodia della legittimità del pluralismo delle interpretazioni ha anche
un valore molto pratico in vista della costruzione della pace. Difficile
immaginare che la parola conclusiva dell’attuale conflitto giunga dal ricorso
alle armi: l’affermazione di una delle parti coinvolte non potrà mai
essere un modo per pacificare una conflittualità che risale a ben prima
dell’invasione russa della fine di febbraio.
Per questo il percorso che porta alla pace passa per la via del
negoziato: una soluzione capace di porre fine a questa violenza richiede
di sedersi allo stesso tavolo con chi la pensa diversamente ed è portatore
di interessi opposti, per trovare un punto di accordo, un compromesso.
Bandire le posizioni dell’altro o demonizzarlo non aiuta di certo a preparare
il terreno per una soluzione negoziale. In fondo, questo atteggiamento
parla di una volontà di cancellare l’avversario, che è la stessa che anima
l’invasione dell’Ucraina, solo che viene realizzata con altre modalità. Da
qui l’importanza di mantenere un atteggiamento di apertura al dialogo in
vista di possibili mediazioni.
In questa prospettiva si può comprendere la
posizione assunta da papa Francesco e dalla diplomazia vaticana: la
condanna netta dell’aggressione militare non si accompagna a toni offensivi,
ma si propone di avanzare insieme nella ricerca di una soluzione, senza
negare la realtà di quanto sta accadendo.
Salvaguardare la logica della cooperazione
Infine, non possiamo difendere la pace se perdiamo di vista la cooperazione
tra i popoli e gli Stati. Il virus della guerra ucraina ha già prodotto
conseguenze gravi in questo senso, facendoci precipitare verso un’improvvisa
e rapida corsa verso la militarizzazione, impensabile fino a poco tempo
fa e senza che vi sia stato un effettivo dibattito al riguardo. La logica della
contrapposizione, alimentata dalla paura, sta prendendo sempre più
spazio e alcuni eventi lo indicano con chiarezza. È il caso della scelta del Governo tedesco di aumentare la spesa per la difesa fino al 2% del PIL,
ponendo fine a una consolidata scelta politica di basso profilo militare.
Questa linea trova sostenitori anche in Italia: il 16 marzo 2022 la Camera
ha approvato a larga maggioranza un ordine del giorno che va nella stessa
direzione. In modo analogo vanno lette le valutazioni di Paesi tradizionalmente
neutrali, come Finlandia e Svezia, sull’opportunità di entrare
nell’Alleanza atlantica, oppure la ricerca di un’autonomia energetica dettata
da ragionamenti geopolitici, che prevalgono su altre dimensioni legate al
bene comune, a partire dall’attenzione all’ambiente.
A essere toccato è lo stesso percorso inclusivo e di costruzione della
pace dell’Unione Europa: nei suoi passi iniziali era compresa anche la dimensione
della difesa come tassello di un più ampio progetto politico, che
poi è naufragato a causa degli egoismi degli Stati.
L’Europa ha però saputo
trovare altre vie perché il male della guerra non venisse di nuovo sperimentato
dai propri cittadini. Si è scelto di costruire solidi legami all’interno
dell’Unione (estesi in molti casi anche ad altri partner europei), che vanno
dall’economia alla cultura, dalla politica sociale al diritto.
La solidarietà con il popolo ucraino che difende la propria indipendenza
– e con essa la difesa della pace – si realizza anche così, vegliando
nel nostro Paese e in Europa perché il clima di guerra, che porta con sé
odio, violenza, rigetto dell’altro e isolazionismo, non si faccia strada nelle
menti e nei cuori di tutti noi, come singoli e collettività.
Immagine: Civili e soldati ucraini si rifugiano sotto un ponte a Kiev per proteggersi dai bombardamenti.
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