ArticoloEditoriali

Che cosa non possiamo permetterci di perdere per costruire la pace

Fascicolo: aprile 2022

L'editoriale introduce un focus interamente dedicato al conflitto in Ucraina che si troverà all'interno del fascicolo di Aggiornamenti Sociali in uscita ad Aprile. Il focus coinvolge diversi Autori e Autrici della nostra Rivista nell'analisi di tematiche quali l'accoglienza dei rifugiati, la dottrina internazionale nell'ambito degli interventi militari, il coinvolgimento delle religioni nel conflitto, la copertura mediatica della guerra, la cyber-guerra, il contesto più ampio di crisi in cui essa si colloca in seguito a due anni di pandemia. È possibile esplorare una parte di tali contributi alla pagina "Focus Ucraina". Tutti gli approfondimenti in versione integrale saranno disponibili tramite abbonamento

 

L'invasione russa dell’Ucraina ha trasformato il conflitto regionale del Donbass in una guerra che coinvolge l’intero continente europeo. Si combatte a duemila chilometri di distanza dai nostri confini, ma anche noi da giorni viviamo in un clima di guerra. Si tratta di una conseguenza comprensibile, inevitabile per molti aspetti, di un evento che ci tocca nel profondo e ha suscitato una vasta gamma di reazioni.

 

Clima di guerra

Siamo passati dall’incredulità iniziale allo smarrimento e alla preoccupazione per uno scenario di guerra che ci illudevamo non potesse più verificarsi nel nostro continente e che risveglia timori da tempo sopiti, soprattutto per quanto riguarda il ricorso ad armamenti nucleari. La strenua e per molti versi inattesa resistenza del popolo ucraino e del suo presidente Volodymyr Zelenskyy, talora riletta come una drammatica riproposizione della lotta tra Davide e Golia, e le proteste dei cittadini russi contro la guerra, in aperta sfida alla narrazione ufficiale del loro Governo, suscitano in noi un miscuglio di emozioni che vanno dall’ammirazione, allo sgomento e all’impotenza. Lo stesso accade di fronte alla tragedia umanitaria che si sta consumando, la più grave in Europa dai tempi della Seconda guerra mondiale con milioni di profughi in fuga.

La vicinanza geografica e la presenza di una numerosa comunità ucraina nel nostro Paese ci rende particolarmente sensibili a questi avvenimenti, come testimoniano tante e concrete manifestazioni di solidarietà. Inoltre, viviamo in presa diretta quanto accade grazie al flusso ininterrotto di notizie in cui siamo immersi, che ci raggiungono attraverso i media tradizionali e i canali social. Tuttavia, questo clima di guerra, in cui la partecipazione emotiva gioca un ruolo molto importante, porta con sé una radicalizzazione delle posizioni, una netta contrapposizione tra schieramenti, che è naturalmente foriera di divisione. In questo senso la guerra è radicalmente opposta alla pace, che nella sua etimologia rinvia all’unire, al legare, al tenere insieme.

Per questo, oggi risuonano con particolare forza le parole di Pio XII, pronunciate nel 1939 per scongiurare il conflitto mondiale: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra». Ascoltarle in questo momento significa lasciarci provocare da esse, per chiederci che cosa non possiamo permetterci di perdere di vista perché la pace non sia irrimediabilmente compromessa, in una prospettiva che va oltre il conflitto ucraino.

Proteggere il pluralismo dalle semplificazioni

Non possiamo perdere la lucidità nel riconoscere che su una questione così grave e delicata come un conflitto armato in Europa è legittimo che vi siano posizioni diverse, interpretazioni anche distanti sulle sue cause e le soluzioni percorribili. Ed è legittimo e importante, espressione della democrazia a cui teniamo, che le varie opinioni possano essere espresse e dibattute in modo civile, che possano essere smentite se si tratta di disinformazione, ma il tutto in un confronto aperto e non in un’arena di gladiatori, come purtroppo accade sempre più spesso. Altrimenti nemmeno noi saremmo distanti dall’imposizione di un pensiero unico, da una forma surrettizia di censura, che invece giustamente rimproveriamo ai regimi come quello russo.

Non possiamo perdere di vista la complessità della realtà, sfuggendo alla sfida di accoglierla: il rischio è di cadere nei cortocircuiti delle generalizzazioni e delle semplificazioni, che finiscono per causare profonde e ingiuste ferite, le quali richiedono tempi lunghi prima di poter essere riconciliate. L’aggressione decisa da Putin e da quanti lo sostengono non può tradursi automaticamente in una messa sotto accusa di ogni cittadino russo, come purtroppo è accaduto. Non possiamo dimenticare quanti hanno preso posizione contro la guerra sapendo di andare incontro a gravi conseguenze e rischi per la propria sicurezza. Allo stesso modo è necessario ricordare la controinformazione sistematicamente praticata dai media russi sulla situazione in Ucraina e non solo, che ha riguardato anche i giovani soldati di leva inviati a combattere una guerra decisa da un Governo che il popolo russo non ha davvero potuto scegliere e le cui conseguenze si profilano già molto gravi per l’intero Paese, a partire dal piano economico.

Lo stesso vale per le scelte ingiustificate di eliminare temporaneamente i riferimenti alla cultura russa, perché “inopportuni”, o di escludere da contesti culturali e sportivi i rappresentanti russi. La logica sottostante a questo tipo di scelte è violenta e distruttiva: inseguendo una falsa idea del rispetto finisce con cancellare il patrimonio culturale di un popolo, come nella storia è stato fatto dai trionfatori di una guerra nei confronti dei vinti, non solo rendendo tutta l’umanità più povera, ma soprattutto scavando un abisso profondo di odio e ostilità da cui diventa davvero arduo risalire.

 

Non rinunciare al negoziato

La custodia della legittimità del pluralismo delle interpretazioni ha anche un valore molto pratico in vista della costruzione della pace. Difficile immaginare che la parola conclusiva dell’attuale conflitto giunga dal ricorso alle armi: l’affermazione di una delle parti coinvolte non potrà mai essere un modo per pacificare una conflittualità che risale a ben prima dell’invasione russa della fine di febbraio.

Per questo il percorso che porta alla pace passa per la via del negoziato: una soluzione capace di porre fine a questa violenza richiede di sedersi allo stesso tavolo con chi la pensa diversamente ed è portatore di interessi opposti, per trovare un punto di accordo, un compromesso. Bandire le posizioni dell’altro o demonizzarlo non aiuta di certo a preparare il terreno per una soluzione negoziale. In fondo, questo atteggiamento parla di una volontà di cancellare l’avversario, che è la stessa che anima l’invasione dell’Ucraina, solo che viene realizzata con altre modalità. Da qui l’importanza di mantenere un atteggiamento di apertura al dialogo in vista di possibili mediazioni.

In questa prospettiva si può comprendere la posizione assunta da papa Francesco e dalla diplomazia vaticana: la condanna netta dell’aggressione militare non si accompagna a toni offensivi, ma si propone di avanzare insieme nella ricerca di una soluzione, senza negare la realtà di quanto sta accadendo.

Salvaguardare la logica della cooperazione

Infine, non possiamo difendere la pace se perdiamo di vista la cooperazione tra i popoli e gli Stati. Il virus della guerra ucraina ha già prodotto conseguenze gravi in questo senso, facendoci precipitare verso un’improvvisa e rapida corsa verso la militarizzazione, impensabile fino a poco tempo fa e senza che vi sia stato un effettivo dibattito al riguardo. La logica della contrapposizione, alimentata dalla paura, sta prendendo sempre più spazio e alcuni eventi lo indicano con chiarezza. È il caso della scelta del Governo tedesco di aumentare la spesa per la difesa fino al 2% del PIL, ponendo fine a una consolidata scelta politica di basso profilo militare.

Questa linea trova sostenitori anche in Italia: il 16 marzo 2022 la Camera ha approvato a larga maggioranza un ordine del giorno che va nella stessa direzione. In modo analogo vanno lette le valutazioni di Paesi tradizionalmente neutrali, come Finlandia e Svezia, sull’opportunità di entrare nell’Alleanza atlantica, oppure la ricerca di un’autonomia energetica dettata da ragionamenti geopolitici, che prevalgono su altre dimensioni legate al bene comune, a partire dall’attenzione all’ambiente. A essere toccato è lo stesso percorso inclusivo e di costruzione della pace dell’Unione Europa: nei suoi passi iniziali era compresa anche la dimensione della difesa come tassello di un più ampio progetto politico, che poi è naufragato a causa degli egoismi degli Stati.

L’Europa ha però saputo trovare altre vie perché il male della guerra non venisse di nuovo sperimentato dai propri cittadini. Si è scelto di costruire solidi legami all’interno dell’Unione (estesi in molti casi anche ad altri partner europei), che vanno dall’economia alla cultura, dalla politica sociale al diritto. La solidarietà con il popolo ucraino che difende la propria indipendenza – e con essa la difesa della pace – si realizza anche così, vegliando nel nostro Paese e in Europa perché il clima di guerra, che porta con sé odio, violenza, rigetto dell’altro e isolazionismo, non si faccia strada nelle menti e nei cuori di tutti noi, come singoli e collettività.

Immagine: Civili e soldati ucraini si rifugiano sotto un ponte a Kiev per proteggersi dai bombardamenti.
(© mvs.gov.ua via https://commons.wikimedia.org/).

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