Nell’arco dei ventidue anni passati alla guida della diocesi di Milano (1980-2002) il cardinale Carlo Maria Martini è intervenuto numerose volte sui grandi temi della convivenza civile in dialogo con una città, e più in generale con una società, che sperimentava rapidi e profondi cambiamenti di difficile lettura. Alcuni temi furono portati avanti da Martini perché li riteneva fondamentali, come la solidarietà, l’educazione o la comunicazione, a cui dedicò alcune lettere pastorali. Altri, invece, gli furono imposti dalla cronaca: dal terrorismo dei cosiddetti “anni di piombo” (anni ’70 e primi anni ’80) a Tangentopoli (anni ’90), dalle crescenti diseguaglianze sociali dovute al rallentamento dell’economia alla trasformazione multiculturale della società italiana o ai temi etici riguardanti la famiglia e la vita.
Attraverso i discorsi alla città per la festa di sant’Ambrogio, le relazioni ai convegni, le omelie e gli articoli sui giornali, Martini ha elaborato la sua riflessione e risposto alle sollecitazioni che riceveva non solo dagli ambiti legati alla Chiesa, ma anche da altri contesti (le istituzioni pubbliche internazionali e nazionali, il mondo accademico, quello delle imprese e del lavoro, ecc.), dove era stimato per la sua profondità e apertura. La varietà dei temi affrontati, dei generi usati e degli interlocutori a cui si è rivolto è un indice significativo della ricchezza del suo pensiero, che ci giunge attraverso i suoi scritti (cfr Martini C.M., Giustizia, etica e politica nella città, Bompiani, Milano 2017).
Tutti questi interventi hanno una comune impostazione: Martini ha sempre preso le mosse dalla sua lunga e assidua frequentazione delle Scritture, con il proposito di offrire ai suoi interlocutori, credenti o meno, orientamenti e spunti che potessero aiutare a costruire una città – immagine simbolica del vivere insieme e «sintesi di tutte le tematiche politiche» (ivi, 1819) – più giusta, solidale e inclusiva.
In principio è la Parola
Quando doveva intervenire su temi lontani dalla sua formazione, Martini si rivolgeva con umiltà agli esperti delle varie discipline che potevano aiutarlo e cercava «l’ispirazione nella Bibbia e nella grande tradizione del passato» (ivi, 1696). Consapevole della sua limitata competenza in alcuni ambiti, si metteva in ascolto delle persone, delle situazioni, dei saperi e delle Scritture con uno sguardo contemplativo, animato dall’intento di «far emergere, a partire dalla fede, anzitutto le possibilità e le potenzialità iscritte nel nostro vissuto personale e sociale» (ivi, 1387). La sua riflessione, perciò, non si collocava sul piano dei tecnici, ma su un orizzonte di fondo.
È allora cruciale capire come leggeva la Bibbia. La sua abitudine di fare riferimento a un’icona biblica, come amava dire, all’inizio di un discorso non aveva lo scopo di «operare immediati collegamenti, ad esempio tra una pagina biblica e un problema economico odierno, trasponendo meccanicamente norme, modelli, precetti antichi, alla situazione nostra» (ivi, 589). Martini in più occasioni tacciò di fondamentalismo approcci di questo tipo. Per lui era, invece, essenziale far emergere il dinamismo inscritto nel testo biblico, che può aiutare ad agire nella città in modo saggio e responsabile.
Per accedere a questo tipo di lettura, debitrice della lectio divina monastica, Martini suggerisce alcuni principi. Il primo è che ogni pagina biblica testimonia «l’azione di Dio a favore dell’uomo. […] La Bibbia non ha come scopo principale di imporre all’uomo gravosi precetti morali. Al contrario, vuole rassicurare, confortare, incoraggiare l’uomo rivelandogli che Dio è per lui» (ivi, 812). La buona notizia della Rivelazione, la cui proclamazione è la missione principale affidata alla Chiesa, è data dall’annuncio che l’amore di Dio è per l’umanità tutta e per ogni singola persona (cfr il riquadro qui sotto).
La Chiesa è un’istanza evangelica
La Chiesa non è principalmente un’istanza etica, il cane pastore dell’etica, ma un’istanza evangelica che allarga il cuore alla speranza. La Chiesa è proclamazione del Vangelo, della grazia, del dono dello Spirito Santo; è gioia profonda di Vangelo vissuto. Ovviamente, in seconda battuta ci sono pure delle implicazioni etiche che toccano diversi momenti dell’esistenza umana: la famiglia, la cultura, il lavoro, l’impresa. Tuttavia alla Chiesa interessa principalmente un successo pieno della persona che si realizza come figlio di Dio. Prima dell’etica c’è la grazia dello Spirito, c’è il cuore nuovo, la forza di amare e di servire, di vedere il volto di Dio nel prossimo. Non per niente Gesù inizia il suo grande discorso programmatico con le beatitudini: vogliamo la felicità vera, totale della persona (Martini C.M., Giustizia, etica e politica nella città, p. 1676).
Questa affermazione situa l’etica in una prospettiva diversa, facendone cogliere meglio il senso: «Chi accoglie le parole della Bibbia è liberato dal peso del suo passato ed è spinto ad amare ciò che Dio ama e come Dio ama. L’amore incondizionato verso il prossimo è quindi l’orientamento e la norma fondamentale di vita per il credente» (ivi). Il comandamento universale dell’amore è l’etica consegnata al cristiano, che ha fatto esperienza dell’amore di Dio, perché possa a sua volta amare allo stesso modo e, così facendo, trasformare la città.
Sempre nella Bibbia abbiamo i riferimenti che orientano i cristiani nel loro agire: sono i precetti di carattere generale, come le beatitudini, e i modelli di vita che presenta, Gesù innanzi tutto, ma anche il Samaritano (Luca 10,29-37) e altre figure. Anche in questo caso bisogna fare attenzione a non cadere in un’interpretazione fondamentalista della pagina biblica, ma riconoscere l’«invito a una riflessione attenta – il cosiddetto discernimento – su ciò che nell’oggi, in questa civiltà, in questa cultura e realtà tecnologica, può esprimere quel dinamismo di vita che ha reso luminosa ed esemplare l’esistenza di Gesù. Dobbiamo, in pratica, vivere domandandoci con intelligenza e realismo […] come sia possibile, di fatto, realizzare in una società complessa come la nostra le condizioni di attenzione agli altri e di dedizione assoluta che Gesù ha realizzato nel suo tempo. Ne deriva che non è possibile vivere la visione biblica nelle mutevolissime condizioni di oggi senza un continuo supplemento di attenzione e di creatività» (ivi, 812-813).
Il discernimento come bussola
Dinamismo di vita, realismo, attenzione, creatività: queste parole usate da Martini nel testo appena citato rinviano al discernimento, l’esercizio di intelligenza e di interpretazione della realtà alla luce del Vangelo vissuto dai cristiani quando compiono delle scelte. Si tratta di un compito al contempo necessario ed esigente, perché tante sono le domande che fa sorgere: «come articolare reciprocamente il necessario riferimento fondamentale al Vangelo di Gesù con una responsabile attenzione alla concretezza storica?» (ivi, 933). Non vi è il rischio di piegare la parola evangelica alle urgenze della realtà o alle proprie convinzioni? O, al contrario, di restare sordi e ciechi di fronte ai “segni dei tempi”, perpetuando l’applicazione di principi teorici astratti?
Dietro a questi interrogativi si coglie la fragilità odierna, che Martini sintetizzava ricordando lo scarto tra i valori cristiani in cui si crede, l’inadeguatezza che si sperimenta e l’ambiguità del mondo in cui viviamo. Per poter colmare questo scarto e dissipare l’ambiguità, Martini percorre la via del discernimento, che oggi richiama con insistenza anche papa Francesco, ossia «La ricerca di quelle scelte umane, libere, che nei fatti contingenti della storia obbediscono alla forza dello Spirito che trasforma il mondo» (ivi, 450), e così concorrono a costruire il maggior bene possibile per l’intera città (cfr il riquadro).
La ricerca della propria strada
L’uomo non è chiamato semplicemente ad affidarsi a vaghe ricette generiche o a tuffare il capo nella sabbia delle ideologie o a pascersi di visioni ipotetiche del futuro in cui c’è tanto cuore e poca intelligenza. L’uomo è invece chiamato a cercare con pazienza la sua strada nell’oggi, illuminato dalle grandi verità, che però non lo dispensano dalla ricerca responsabile, faticosa e talora difficile. È un compito che riguarda la Chiesa e riguarda anche tutti coloro che hanno responsabilità nella vita sociale e politica (Martini C.M., Giustizia, etica e politica nella città, p. 460).
In questa prospettiva, il discernimento consiste innanzi tutto in un «atteggiamento di vigilanza», nell’assunzione di «una posizione critica», nell’«affinamento dello sguardo per poter distinguere» (ivi, 456) gli elementi positivi da quelli che lo sono solo apparentemente o non lo sono affatto, individuando con lucidità e precisione i problemi effettivi e le possibili soluzioni. Si tratta, tra l’altro, di liberarsi dalle istanze relativiste, che tendono ad appiattire le differenze e a considerare come formalmente equivalenti tutte le opzioni, le proposte e i valori.
Questa opera di discrimine aiuta a ricostruire nel modo più esaustivo possibile l’orizzonte nel quale si è chiamati a decidere e agire, perché «solo la visione d’insieme permette anche di individuare gli spazi disponibili all’iniziativa responsabile e di misurare le possibilità effettive per l’impegno pratico» (ivi, 460), cogliendo anche insospettate potenzialità. Il buon esito di tale processo, soprattutto quando riguarda una realtà ampia, non può essere rimesso all’azione di un singolo o di un gruppo, ma dipende dall’apporto consapevole e proattivo di tutti i soggetti coinvolti.
Il discernimento così svolto fa sì che non vi sia una sovrapposizione estrinseca e aprioristica tra i principi generali che ispirano l’azione e i dati di fatto, ma che si realizzi un vero e proprio dialogo tra principi e realtà, volto a individuare la scelta migliore possibile nella situazione concreta perché si aprano nuove vie per l’umanità. L’esito di qualunque discernimento è, infine, una decisione che va poi tradotta in pratiche concrete. A tal proposito, Martini osservava che non basta “prendere una decisione”, ma bisogna “decidersi”, cioè essere consapevoli che l’autenticità di una decisione richiede una radicale messa in gioco di se stessi, il passare dalla condizione di osservatore neutrale ed esterno a quella di chi si coinvolge e si impegna in prima persona insieme ad altri.
Operatori di speranza
L’accento forte posto da Martini sul “decidersi” proietta verso il futuro e rinvia alla responsabilità in capo a tutte le persone coinvolte nel discernimento perché agiscano consapevolmente per un bene più ampio. Il discernimento, in effetti, permette «di guardarsi intorno e di scoprire nelle esperienze ecclesiali, nei cammini della comunità umana, quei germi, quelle energie, quelle forze riconciliative che già operano visibilmente, a diversi livelli, nella società. Questo avviene anche a quei livelli dove meno ce lo aspetteremmo e anche in quelle realtà, come le megalopoli, dove pure sembrano operare tante forze negative e dissolventi» (ivi, 290).
In modo instancabile, Martini ha ricordato in ogni suo intervento le forze positive presenti nella città. Non lo ha fatto per un ottimismo superficiale, perché era ben cosciente dei problemi concreti, talora veri e propri drammi, vissuti dalle persone che incontrava a causa della mancanza di lavoro o della casa, di un’assistenza sanitaria insufficiente, di un sistema educativo non sempre all’altezza del suo compito o dei condizionamenti dovuti all’illegalità. Questioni gravi che richiedevano risposte pronte e lungimiranti. Ma era altresì consapevole delle difficoltà di una classe dirigente sempre meno capace di farsi promotrice di una visione di largo respiro e di lungo termine e del ripiegarsi della società su posizioni individualistiche.
Eppure, senza mai scadere in una lettura irenica della realtà, in cui i problemi sono minimizzati o derubricati a fenomeni marginali, o assumere una visione cinica, che fa inclinare verso la disillusione e la rassegnazione, Martini si è sempre proposto di cogliere le potenzialità insite nella società e di attivarne le energie positive perché si mettessero all’opera, a servizio di una città migliore, in cui la dignità di ogni persona fosse onorata e tutelata. Continui sono stati i suoi inviti ai cristiani perché tornassero a impegnarsi nella politica e nel sociale, senza dire loro “dove” farlo, ma indicando il “perché” farlo: «Agisce in modo conforme all’ordine morale, cristiano e anche semplicemente umano, chi pone come fine del suo agire politico il bene comune e considera il potere e il suo esercizio come un mezzo, uno dei mezzi per attuare il bene comune» (ivi, 564).
Martini ha proposto perciò una visione alta e realistica del compito di costruire una città nel segno della solidarietà e della giustizia, senza mai giocare al ribasso, pur vivendo un momento storico confuso, per l’incerta transizione che era in atto nel nostro Paese. Tale visione è stata alimentata dalla sua fede, dalla convinzione che ogni tempo è segnato dalla grazia di Dio e va letto in chiave provvidenziale; allora se «Il nostro è un tempo in cui la frustrazione e la disperazione crescono continuamente; il compito fondamentale dovrebbe essere quello di dare speranza» (ivi, 1700). Una speranza che non è rivolta solo al futuro, ma già spera e opera nel presente.