ArticoloPunti di vista
Appunti dalla crisi dell’informazione
Per quanto la crisi dell’industria dell’informazione sia sotto i nostri
occhi da tempo, editori e giornalisti, pur essendone consapevoli, faticano
a trovare vie d’uscita che non siano segnate dalla nostalgia e
dal bisogno di continuare a far girare la macchina “come ha sempre girato”.
Anche se questo “sempre”, a guardare bene, ha una storia relativamente
breve, che risale a The Sun di New York del 1831, primo giornale pensato
per un pubblico vasto.
Questa aspirazione a difendere una stagione già finita è comprensibile,
ma rischia di non centrare il bersaglio. La digitalizzazione e la conseguente
disintermediazione, cioè il venir meno del ruolo tradizionale dei media di
informazione (giornali, radio, TV) di tramite obbligato delle notizie per il
pubblico, hanno cambiato tutto: l’emergere di media “sociali” e “personali”
ha democratizzato l’editoria (siamo tutti un po’ editori…), ma ha anche
ridotto il ruolo (e i ricavi) dei media giornalistici.
Studiosi come Jeff Jarvis, Clay Shirky, C.W. Anderson o Emily Bell
hanno avuto il merito di dire con chiarezza (cfr in particolare Anderson, Bell e Shirky 2014) che un mondo era finito e che bisognava attrezzarsi
per un mondo nuovo, in parte indefinito. La loro lezione è stata accolta
solo in parte, perché, appunto, chiara nell’analisi, ma ricca di incognite (e
scomoda) per il business editoriale. [continua]
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