Anche Pirelli parla cinese: rischio colonizzazione?

Se ne parlava da giorni e ora è ufficiale: ChemChina, azienda cinese a controllo statale, è il nuovo socio forte di Pirelli. Il Cda di Camfin - la "scatola" che possiede il 26,2% di Pirelli e fa capo a soci italiani (Tronchetti Provera, Intesa e Unicredit) e ai russi di Rosneft - ha dato infatti il via libera definitivo all'accordo con cui trasferirà la propria quota di Pirelli alla newco in cui il gruppo cinese avrà il 65%. Sede e centro di ricerca rimarranno in Italia, in base a un accordo che sarà modificabile solo con il 90% dei voti in assemblea.

È solo l'ultima di una serie di operazioni finanziarie che hanno fatto balzare il nostro Paese al 6° posto nella classifica dei Paesi in cui la Cina investe maggiormente, secondo dati di Kpmg riferiti al 2014.

E il fenomeno, come noto, non riguarda solo l'Italia: ma da dove vengono le risorse con cui le aziende cinesi realizzano queste operazioni? E quali sono i motivi che la spingono a tenere questa politica? Dobbiamo preoccuparci per quella che qualcuno chiama la "grande rinascita della nazione cinese"? A queste domande risponde Claude Meyer, professore a Sciences Po, in un articolo pubblicato sul numero di marzo di Aggiornamenti Sociali.
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