Dopo la pandemia di COVID-19, niente sarà più come prima, sentiamo dire da studiosi di varie discipline: ma sarà vero? In campo ambientale, il 2020 avrebbe dovuto essere l’anno della svolta, con due importanti summit ONU – uno sulla biodiversità (Kunmimg, Cina, 15-28 ottobre) e l’altro sul clima (la COP26, Glasgow, Scozia, 9-19 novembre), entrambi rinviati al 2021 –, con la revisione degli impegni di ciascun Paese per ridurre le emissioni di gas serra nel medio e lungo termine e con il potente lancio di investimenti del Green Deal europeo. Nel quinto anniversario della pubblicazione dell’enciclica Laudato si’, la Chiesa si preparava a rilanciare la riflessione e l’azione a livello globale. Come WWF, preoccupati dai segnali di avvicinamento ai punti di non ritorno della crisi ecologica, puntavamo a lanciare il dialogo in vista di un accordo globale a difesa delle persone e della casa comune.
Una visione del futuro
Se ci pensiamo bene, tutto questo fervore scaturiva da una ritrovata consapevolezza della necessità di rafforzare l’azione per il bene comune, arginando gli interessi egoistici distruttivi. Con scopi e accenti diversi, se ne parlava nei circoli più improbabili, dal World Economic Forum di Davos alle assemblee degli azionisti delle grandi multinazionali, in alcuni casi con opportunismo, in altri a partire da una sincera intenzione di “aggiustare le cose”. L’emergenza da COVID-19 ha accentuato, non certo allontanato, questa necessità. Come ha sottolineato David Nabarro, uno dei sei inviati speciali dell’Organizzazione mondiale della sanità per la COVID-19, in un webinar a fine aprile, i punti di contatto tra la crisi climatica e quella legata alla pandemia sono molti, in particolare rispetto al ruolo pubblico della comunità scientifica e alle responsabilità degli attori statali, non solo nel gestire la crisi, ma anche nel comporre i diversi interessi per il bene di tutti. Il ruolo dello Stato è certamente quello più delicato, soprattutto rispetto al rapporto con i molti e diversi interessi particolari (di individui, gruppi, aziende, ecc.) e in un mondo in cui molte crisi di natura diversa rischiano di convergere.
Per quanto riguarda più da vicino il nostro Paese, la politica ha bisogno di una visione del mondo che verrà, delle minacce e delle opportunità, e di una strategia di lungo periodo, che dia continuità all’azione di governo anche in presenza di avvicendamenti. Serve un chiarimento sulle competenze (Stato, Regioni, Enti locali) che parta dall’obiettivo e non dai contendenti. Serve cambiare decisamente strada sul clima e sulla gestione delle risorse. Serve dare impulso alle produzioni di interesse nazionale, per esempio sostenendo lo sviluppo delle fonti rinnovabili o la produzione di batterie. Serve affrontare contemporaneamente i nodi delle disuguaglianze e dell’accompagnamento delle persone nella transizione. Serve, infine, raccogliere l’invito del segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, a non dare un solo dollaro (o euro) dei fondi per la crisi agli inquinatori.
Alcune misure strategiche
La chiave è accelerare, non ritardare la transizione, facendo in modo che i benefici sociali e ambientali vadano di pari passo. Le misure di sostegno alla ripresa economica devono perciò procedere in parallelo con quelle per l’emergenza climatica. In particolare il nuovo debito, finalizzato al finanziamento dei piani di rilancio, deve essere condizionato alla coerenza degli obiettivi climatici. Se invece finisse per aumentare il lock-in degli investimenti, risulterebbe insostenibile per un sistema economico che dovrà ripagare il debito per l’emergenza COVID-19 e contestualmente sostenere gli investimenti per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico. Altrimenti, rischiamo di rimanere intrappolati nell’economia del passato e di porre lavoratori e imprese in una situazione di crisi permanente e di lunghissima durata.
Va anche accelerata la regolazione del settore finanziario in maniera tale da rendere trasparenti gli investimenti, evitando che vadano a settori incompatibili con la decarbonizzazione. Strumento essenziale è la tassonomia europea, proposta dall’EU Technical Expert Group on Sustainable Finance (Gruppo tecnico di esperti dell’UE sulla finanza sostenibile), che, individuando i settori compatibili con la decarbonizzazione permette agli investitori di indirizzare le risorse sui settori non esposti ai rischi climatici e, al tempo stesso, agli azionisti di monitorare la destinazione dei capitali. Va richiesto alle società che vogliano accedere a risorse pubbliche nel quadro delle misure post COVID-19 di rispettare criteri minimi di trasparenza nella destinazione dei prestiti, in maniera che risultino compatibili con la tassonomia europea. È imprescindibile assicurarsi che le risorse pubbliche non siano indirizzate al settore dei combustibili fossili.
Le misure oggetto della strategia di ricostruzione post COVID-19 determineranno un incremento del debito. Diventerà necessaria una revisione della fiscalità, con particolare riferimento a quella energetica. In un percorso verso la carbon tax (cioè la tassazione dei beni la cui produzione e consumo generano emissioni di anidride carbonica), raccomandiamo l’introduzione di meccanismi caratterizzati da flessibilità (come quelli tecnicamente noti quali carbon ed energy floor price), che permettano di incrementare il gettito durante i periodi di basso prezzo dei combustibili fossili per finanziare il sostegno alle famiglie e all’occupazione. Tra le misure di sostegno al reddito, abbiamo suggerito di premiare i comportamenti virtuosi e con prospettive a lungo termine, per esempio ridurre o persino azzerare il prezzo del trasporto pubblico urbano e locale, al fine di contenere l’uso dei mezzi privati, in particolare nei centri urbani. Lo sviluppo della mobilità leggera sarà un tassello importante di tale strategia e dovrà prevedere anche l’identificazione di percorsi ciclabili sicuri nelle città, in vista della creazione di un’infrastruttura ciclabile permanente.
Per il lavoro agile, occorre promuovere la connessione veloce e l’accesso informatico delle famiglie italiane, anche attraverso sconti alla connessione e l’accesso alle apparecchiature informatiche. Oltre a rendere possibile lo smart working e la didattica a distanza, la misura favorirebbe l’occupazione nel breve periodo. I benefit aziendali non dovranno più prevedere la defiscalizzazione dell’auto aziendale con il motore a combustione, ma la copertura dei costi informatici per la famiglia. Il WWF propone anche di introdurre meccanismi incentivanti per i prodotti a km 0, costruendo su un fenomeno cresciuto proprio in occasione del lockdown. La promozione di consumi a km 0 permette anche di ridurre il costo dei prodotti finali e dunque di aumentare il potere d’acquisto delle famiglie, di incentivare le economie locali, di ridurre i consumi energetici, di generare occupazione in tutta la filiera di produzione e commercializzazione.
È di fondamentale importanza incrementare l’efficienza energetica: è un intervento che contiene la spesa energetica delle famiglie, aumentandone il reddito disponibile, promuove occupazione e riduce le emissioni. Le misure fiscali, come l’ecobonus previsto dal recente Decreto Rilancio, sono tanto più efficaci, quanto più riescono a ridurre davvero i consumi energetici e a incentivare abitazioni più resilienti all’impatto del cambiamento climatico, e non la ristrutturazione di seconde case, che incidono poco sui consumi. Occorre poi far ripartire le energie rinnovabili, ferme da anni in Italia, che hanno un’intensità occupazionale 10 volte superiore alle fonti fossili. Gli impianti possono essere progettati e realizzati in tempi brevi e servono procedure autorizzative efficienti. È indispensabile stimolare il settore delle rinnovabili a generazione distribuita (cioè degli impianti a piccola e piccolissima scala, anche domestica). Possibili meccanismi di incentivazione fiscale dovrebbero prevedere la riduzione del tempo di ammortamento dell’investimento e la possibilità di cessione del credito a terzi, come stabilisce il Decreto Rilancio per l’installazione dei pannelli solari.
Tra le infrastrutture, è prioritaria l’elettrificazione dei trasporti (anche su gomma). I costi vengono compensati dalle ricadute occupazionali e da una dotazione infrastrutturale compatibile con lo scenario energetico futuro, evitando di fenomeni di lock-in. La misura dovrebbe prevedere un importante intervento infrastrutturale nelle città e nella rete di distribuzione con l’installazione di colonnine di ricarica veloce. Sempre nel campo delle infrastrutture, è necessario introdurre chiari strumenti di condizionalità. Le infrastrutture che risultino davvero necessarie per raggiungere l’obiettivo a lungo termine delle emissioni zero, devono essere avviate in tempi brevi, ma vanno stabiliti criteri rigorosi basati sulla decarbonizzazione e la sostenibilità ambientale che escludano, per esempio, tutti i combustibili fossili. Gli investimenti che determinano un allontanamento dagli obiettivi non dovranno accedere alle risorse per la ricostruzione. Particolare attenzione dovrà essere dedicata alle zone oggetto di chiusura delle centrali a carbone entro il 2025, in cui sarà fondamentale orientare le risorse al sostegno dell’occupazione nel lungo periodo individuando per ciascuna un progetto di riconversione (tra i settori compresi nella tassonomia) attraverso procedure di manifestazioni d’interesse su cui potranno essere convogliati fondi pubblici, compresi quelli comunitari dedicati.
Nelle prossime settimane e mesi vedremo di che pasta sono fatti non solo i governanti, ma anche i manager di imprese e banche, gli investitori e le associazioni di interessi. Sapremo chi cercherà di temporeggiare, come già accaduto negli ultimi decenni, e chi invece diventerà protagonista del futuro. Vedremo anche chi farà le scelte di sempre – ad esempio il gas – cercando di farle passare come verdi. L’importante sarà coinvolgere in questo progetto milioni di persone, fondando sulle loro competenze e sulla loro progettualità le basi per costruire insieme il mondo che verrà.