Alimenti "bio", tra falsi miti e luoghi (più o meno) comuni

L'Italia è tra i dieci maggiori Paesi produttori del mondo di alimenti biologici e a livello UE è seconda, dietro la Spagna, per superficie ed agricoltura biologica. Il nostro Paese è inoltre il primo esportatore mondiale, con un fatturato di 1,26 miliardi di euro.

In parallelo con la crescita dell'impatto economico, aumenta anche l'interesse e la riflessione dei consumatori sugli aspetti socioculturali connessi all'alimentazione biologica. Le grandi imprese agroalimentari, a loro volta, “fiutano” l’affare, con la conseguente presenza di numerosi prodotti “bio” sugli scaffali della grande distribuzione. 
Ma che cosa vuol dire biologico e quali sono i suoi valori? Come porsi di fronte ai luoghi comuni sul biologico? Quale futuro lo attende? A queste domande risponde l'articolo di Sabrina Giuca, del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, uscito sul numero di maggio di Aggiornamenti Sociali, con il titolo «Alimenti "bio" tra sostenibilità e business». Pubblichiamo di seguito un paragrafo dell'articolo, che può essere acquistato in versione pdf, con carta di credito.

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Proviamo ora ad affrontare questioni sociali più ampie, talvolta dei veri e propri miti e luoghi comuni privi di fondamento. 

Un primo mito da sfatare è che il biologico possa contribuire a sfamare il mondo e allo stesso tempo salvaguardare l’ambiente e limitare lo sfruttamento delle risorse naturali. Nonostante la rapida crescita negli ultimi due decenni, la produzione biologica rappresenta, oggi, solo l’1% dei terreni agricoli globali: pertanto, il passaggio dal convenzionale al biologico, ammesso che tutti gli agricoltori siano d’accordo e che non ci siano squilibri nel sistema agricolo mondiale, richiederebbe decenni: e se nel frattempo il mondo sarà cambiato nei suoi aspetti tecnologici, economici e politici? E gli agricoltori dei Paesi in via di sviluppo come possono far fronte a capacità, investimenti e un’organizzazione efficiente per il biologico lungo tutta la catena produttiva e commerciale? E nei territori come quelli africani, che a causa del clima hanno bisogno di maggiori nutrienti, come si concilia il metodo di produzione biologico a nullo o limitato uso di input chimici? Dunque, per risolvere il problema della fame non si tratta solo di produrre abbastanza e in modo ecocompatibile ma di ripensare, anche, alle modalità di distribuzione delle risorse, così da consentire un più equo accesso al cibo, nonché di contenere gli sprechi di alimenti (cfr l'ebook di Aggiornamenti Sociali: Giacomo Costa (ed.), Le dimensioni del cibo. Dodici chiavi per entrare in EXPO) e l'editoriale del numero di maggio 2015, di Paolo Foglizzo e Chiara Tintori, Expo, il cibo oltre i sofismi). 

Altri due luoghi comuni sostengono che l’agricoltura biologica sia inefficiente, cioè che richieda più consumo di terra per produrre la stessa quantità di cibo, e che sia meno redditizia. Negli ultimi anni gli studi in materia hanno fornito un contributo importante nel chiarire alcuni aspetti del biologico. In particolare, Reganold e Wachter («Organic agriculture in the twenty-first century», in Nature Plants, 2, 265-286) per primi hanno analizzato 40 anni di studi scientifici, confrontando l’agricoltura biologica e convenzionale attraverso i quattro obiettivi di sostenibilità individuati dalla National Academy of Sciences: produttività, economia, ambiente, benessere della comunità. A fronte di rendimenti più bassi, l’agricoltura biologica è più redditizia per gli agricoltori perché i consumatori sono disposti a pagare prezzi più elevati che possono essere giustificati come un modo per compensare i produttori per la fornitura di servizi eco-sistemici che evitano danni ambientali ed esternalità negative. È stato dimostrato che le aziende biologiche immagazzinano più carbonio nel suolo e ne riducono l’erosione, creano meno inquinamento del suolo e dell’acqua e meno emissioni di gas serra (Rahman R., «Biodiversity and organic farming: What do we know?», in vTI Agriculture and Forestry Research, 3, 189-208). L’agricoltura biologica è più efficiente e si traduce in un risparmio di costi per l’agricoltore che non deve fare un uso eccessivo di fertilizzanti sintetici o pesticidi (AA. VV., Bioreport 2014-2015, L’agricoltura biologica in Italia, Rete Rurale Nazionale, Roma). Il biologico, infine, è associato a una maggiore biodiversità di piante, animali, insetti e migliora, pertanto, la capacità dei sistemi agricoli di adattarsi al mutare delle condizioni ambientali (Pimentel D. – Seidel R. – Hepperly P. – Hanson J. – Douds D. (2005), «Environmental, energetic and economic comparisons of organic and conventional farming systems», in Bioscience, 7, 573-582). 

Un ulteriore luogo comune è che gli alimenti biologici abbiano una composizione nutrizionale analoga ai prodotti convenzionali. I lavori scientifici sulla qualità nutrizionale dei prodotti biologici degli ultimi venti anni, molto più accurati e approfonditi (Rodale Institute 2015), mostrano che le pratiche di allevamento biologico permettono di avere latte e formaggi più ricchi di acidi grassi polinsaturi, che possono avere effetti positivi sulla salute, così come la gestione biologica delle colture induce la presenza di contenuti più alti di composti fenolici antiossidanti nella frutta e nella verdura. Tuttavia, dai risultati degli stessi studi non è possibile fare previsioni sul valore nutrizionale dei prodotti stessi, così come non si è in grado di stabilire l’effetto sulla salute del consumo di un alimento in base al suo valore nutrizionale, perché occorrono studi epidemiologici che coinvolgano un ampio numero di persone, per stabilire, ad esempio, come la scelta di consumare prodotti biologici incida sull’assunzione di pesticidi con la dieta e come questo possa essere messo in relazione con i potenziali rischi per la salute (AA. VV., op. cit.).


31 maggio 2016
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